55 Per Crespi la distanza sociale è connessa ai processi di formazione dell’identità individuale e collettiva (si tratta di una dimensione soggettiva e percettiva).
2.6. Linee principali del dibattito contemporaneo sulle disuguaglianze social
2.6.2. La multidimensionalità delle disuguaglianze sociali e la vulnerabilità sociale
La posizione di Schizzerotto, come egli afferma, si avvicina maggiormente all’orientamento neoweberiano secondo cui si determina un intreccio tra le diverse cause e i diversi meccanismi di produzione delle disuguaglianze; si evidenziano molteplici forme di disuguaglianza ma si considerano le classi sociali come le componenti principali della stratificazione sociale nelle società contemporanee, seppure poco visibili soprattutto.
La posizione per certi versi simile di altri studiosi, tra i quali Paci (1993), si differenzia per il fatto che essi, riconoscendo le tante dimensioni della disuguaglianza sociale (appartenenza di genere e di generazione, contesto socio-territoriale di residenza, classe sociale), non ritengono possibile individuare quali di queste dimensioni sia più importante delle altre76.
I risultati della ricerca di Paci (1993) vengono confermati a quasi dieci anni di distanza dall’analisi condotta da Ranci (2002), il quale rileva “l’esistenza di disuguaglianze sociali relative all’esposizione (maggiore o minore) ad un set articolato di rischi e di fattori di vulnerabilità” (Ranci, 2002: 310). Rischi e insicurezze riguardano da una parte l’accesso differenziato a risorse fondamentali (come un reddito sufficiente ed un’abitazione adeguata), dall’altra la posizione più o meno stabile nei sistemi di distribuzione delle risorse e di integrazione sociale, ossia, il mercato del lavoro, le reti familiari, il sistema di welfare. La riflessione di Ranci si inserisce nel dibattito sull’aumento delle disuguaglianze sociali e sui processi di frammentazione sociale che si sono
76 In un articolo pubblicato nel 1981 Paci evidenzia la limitata capacità euristica del paradigma economicstico
nell’analisi delle classi, il quale finisce con l’appiattire la complessità crescente della struttura sociale, escludendo un insieme di strati e gruppi, specialmente quelli che non fanno parte della sfera produttiva. Paci evidenzia la fisionomia non univoca assunta dalla struttura di classe, l’impossibilità di tracciare linee nette di divisione entro un profilo gerarchico basate sulla collocazione dei gruppi nei rapporti sociali di produzione. Nuovi gruppi si intersecano e si confondono con le linee tradizionali delle classi.
verificati in seguito ai cambiamenti avvenuti nella sfera occupazionale (Paci, 1986; Crompton, 1987).
La ricerca di Ranci evidenzia l’emergere di nuovi “meccanismi di costruzione” delle disuguaglianze sociali e di nuovi fattori di rischio la cui distribuzione non coincide completamente con la strutturazione della società in classi sociali. Scrive infatti Ranci (2002: 18): “L’acuirsi della distanza tra gruppi sociali diversi coincide tuttavia con una spiccata opacizzazione della struttura sociale. Pochi infatti sono disposti a spiegare la nuova frammentazione sociale sulla base dell’operare dei meccanismi di stratificazione che hanno dominato la società salariale. La disuguaglianza odierna è infatti una «nuova disuguaglianza». Essa è determinata dall’azione di fattori sociali ed economici inediti, ben diversi da quelli che hanno scatenato i conflitti sociali di tipo industriale”. Accanto alle appartenenze di classe, che continuano ad influenzare la distribuzione dei rischi nella popolazione, compaiono, dunque, nuovi elementi di differenziazione sociale i quali determinano l’esposizione differenziata delle diverse fasce della popolazione a rischi sempre più individualizzati. Ranci introduce nel dibattito italiano la categoria di vulnerabilità sociale. La diffusione di condizioni di vulnerabilità (come si specificherà in seguito) “(…) non avviene lungo le linee dei disuguaglianza tipiche delle società industriali avanzate, ma introduce nuove forme di differenziazione sociale. (…) l’appartenenza di classe incide in modo significativo sul profilo dei rischi a cui i cittadini sono esposti. Tuttavia la vulnerabilità mantiene una dinamica indipendente da quella della stratificazione di classe, venendo a dipendere anche da altri elementi, quali la collocazione nel corso di vita, l’organizzazione delle relazioni familiari, il genere la collocazione territoriale. Si delinea infatti una «mappa del rischio sociale» assai più complessa ed eterogenea di quanto sia desumibile osservando esclusivamente la posizione occupazionale degli individui oppure i redditi delle famiglia. Da questo punto di vista, la vulnerabilità costituisce una dimensione parzialmente trasversale alla stratificazione sociale” (Ranci, 2002: 330).
Il pensiero dell’autore richiama la concezione di Beck (2001) in merito alla frammentazione dei nuovi profili di rischio e alla individualizzazione dei rischi e delle forme di vita in termini di stili di vita e forme di azione77. Ranci definisce “sterile” il dibattito sulla persistenza o meno delle classi nelle società contemporanee, ritenendo che “l’emergere del nuovo ordine sociale non ha cancellato
77 Le disuguaglianze per Beck si frammentano secondo un principio individualistico; esse non sono più socialmente
strutturate e pertanto non è possibile individuare gruppi stabili rifacendosi alla posizione che essi ricoprono. I processi di differenziazione funzionale, nelle società contemporanee, determinano, secondo Beck, l’indipendenza tra i diversi ambiti di disuguaglianza e la moltiplicazione, in ciascun ambito, dei fattori di disuguaglianza (come il genere, l’età l’istruzione, la professione). Questi fattori possono combinarsi tra loro in modo diverso per ogni individuo (anche a seconda degli ordinamenti istituzionali in cui egli è inserito); pertanto la società attuale appare caratterizzata dalla frammentazione a livello individuale delle condizioni di vita. Da un lato si delineano per le persone maggiori opportunità di scelta e maggiore libertà nel disegnare la biografie individuali, dall’altro ci si scontra con la crescita dei fattori di rischio (di tipo ambientale, tecnologico, economico, ecc.) ai quali nessuno può sottrarsi. I tradizionali meccanismi di integrazione sociale appaiono destrutturati e gli individui si ritrovano esposti a rischi crescenti ed a condizioni di incertezza.
né ha reso irrilevanti la disuguaglianza fondata sulla posizione lavorativa. E’ accaduto, semmai, che il quadro delle disuguaglianze si sia fatto più frammentato e abbia reso più evidente che in passato il carattere multidimensionale delle situazioni di maggiore svantaggio e povertà” (Ranci, 2002: 11).
Riconoscere il carattere multidimensionale della disuguaglianza, come già detto, vuol dire sostenere l’esistenza dell’intreccio di molteplici fattori o fonti di disuguaglianza, non ordinabili gerarchicamente e tra i quali nessuno è determinante (Paci, 1996, Negri e Saraceno, 1996, Sen, 1992). Ciò significa superare l’approccio economicistico nell’analisi delle disuguaglianze ed introdurre un “modello integrato di analisi della stratificazione sociale” (Paci, 1996, in Ranci 2002) in cui si possa tener conto di fattori aggiuntivi alla condizione lavorativa o di mercato. Non è facile, per l’autore, analizzare la relazione tra quelle che vengono chiamate “disuguaglianze tradizionali” e “nuove disuguaglianze”, dunque tra le disparità nelle opportunità tradizionalmente considerate e i nuovi rischi sociali (legati, ad esempio, alla mancanza ed alla precarietà del lavoro, all’assenza ed alla debolezza dei legami familiari, alla mancanza di supporto da parte del welfare state).
I dati analizzati dall’autore mostrano che l’appartenenza di classe protegge dalle difficoltà soltanto gruppi ristretti come la borghesia (ossia gruppi dirigenziali e ceti professionali più elevati) ed ampi gruppi dei ceti medi impiegatizi ad alta qualificazione. Il resto della popolazione, al di là dei confini di classe e di ceto (oltre le classi sociali più marginali), si ritrova esposto alle insicurezze ed ai fattori di vulnerabilità tipici del nuovo ordine sociale. In particolare, si verifica un appiattimento delle condizioni di vita e delle aspettative di quanti occupano una posizione “intermedia”(componenti del ceto medio) nella scala sociale. La “nuova questione sociale”, scrive Ranci (2002: 319-320), si manifesta in “percorsi occupazionali difficili e tormentati (…) si rivela nelle rinnovati difficoltà finanziarie di molte famiglie «normali», ripiegate su un equilibrio economico che, se consente di adeguarsi a modelli di consumo dominanti, d’altro canto non permette di elaborare strategie di promozione sociale e non protegge a sufficienza dai rischi connessi ad eventi precipitanti (una malattia, uno sfratto, la perdite del posto di lavoro, e via dicendo) oppure a transizioni difficili (come la nascita di un figlio oppure il declino progressivo di un genitore anziano). Si prolunga nella solitudine di molte esistenze, soprattutto di quelle della popolazione più anziana, e nelle crescenti difficoltà organizzative delle famiglie a dare protezione ai membri più deboli della società (come i bambini e le persone che richiedono cura continua). Emerge infine in una inquietudine diffusa, nelle ansie e nel senso di insicurezza che sembra crescere nella popolazione e che sono determinate dalla perdita di riferimenti sociali stabili, dalla sensazione di essere più vulnerabili e soli, di fronte alle difficoltà crescenti della vita sociale”.
La riflessione sui mutamenti relativi alla natura, al generarsi ed al configurarsi dei fenomeni di disuguaglianza nelle società odierne non può prescindere dal considerare le trasformazioni che
hanno interessato, negli ultimi decenni, la società italiana, nel nostro caso, nel suo complesso e nelle sue diverse sfere, nell’organizzazione economica e sociale. Nella configurazione dei fenomeni di disuguaglianza, si evidenzia, così, l’intreccio tra processi economici e processi sociali. Il ventesimo secolo è stato in gran parte dominato da un modello di “regolazione socio-economica” basato sulla stretta connessione tra il modello della famiglia nucleare, la diffusione del lavoro salariato, il ruolo del welfare state e degli attori collettivi nel quadro degli stati nazionali (Esping- Andersen, 1999). In particolare, quella che è stata chiamata “società salariale” poggiava sull’integrazione tra un sistema di organizzazione del lavoro di tipo fordista ed un modello di organizzazione familiare basato sulla divisione dei ruoli in base aa genere (per cui al capofamiglia maschio si è attribuita la responsabilità reddituale mentre alla donna sono stati attribuiti i ruoli di cura della casa e dei membri familiari deboli). Il sistema di welfare, di tipo occupazionale, ha contribuito alla saldatura di questi due sistemi attraverso i trasferimenti monetari alla famiglia, proteggendo prevalentemente gli occupati dalla perdita de lavoro e del reddito relativo per motivi di età, invalidità, malattia.
La società salariale è stata investita da profonde trasformazioni interconnesse sia nell’organizzazione del lavoro sia nell’organizzazione familiare, rompendo il legame fino allora esistente tra questi due sottosistemi. La “nuova questione sociale”, dice Ranci, è particolarmente legata alla fragilizzazione dei due vettori che nella società salariale proteggevano la popolazione dal rischio di impoverimento, ossia l’inserimento nel mercato del lavoro salariato e la familizzazione dei disagi sociali; questo processo di fragilizzazione espone a nuove condizioni di rischio ed insicurezza, di fronte alle quali il welfare state italiano non sembra attrezzato per fornire risposte adeguate ed efficaci.L’organizzazione del lavoro è cambiata in seguito alle trasformazioni del modello produttivo di tipo fordista, ai processi di terziarizzazione e di flessibilizzazione. Risultano visibili nuove forme di lavoro ed un quadro di frammentazione ed eterogeneità dei profili lavorativi (Crompton, 1987 , Mingione, 1997, in Ranci, 2002). Castel (1996) evidenzia i tre processi in cui si articola la precarizzazione del lavoro, ossia la destabilizzazione di chi è stabile, l’insediamento nella precarietà e la creazione di una popolazione soprannumeraria costituita da coloro che non trovano alcuna collocazione nel mercato del lavoro. Nella sfera familiare, i cambiamenti vedono la diffusione di nuove forme di convivenza e processi di riorganizzazione interna nell’ambito dei
78 Al mercato del lavoro di tipo salariato si è affiancato, in Italia, un welfare state di tipo assicurativo basato su criteri
occupazionali, volto soprattutto alla salvaguarda dell’occupazione stabile.
79 Il sistema di welfare italiano, basato in gran parte sull’erogazione di trasferimenti monetari piuttosto che sui servizi,
ha affidato alle famiglie il compito di fronteggiare situazione di disoccupazione, malattia, anzianità, insufficienza di reddito, isolamento sociale. La familizzazione di tali rischi e la funzione di protezione svolta dalle famiglie si mostrano attualmente indebolite. Ciò è legato innanzitutto alla diversificazione dei modelli familiari; alla famiglia nucleare si aggiungono single, coppie senza figli, famiglie monogenitoriali, famiglie “lunghe”. Ciò comporta un cambiamento nella capacità delle famiglie di svolgere la tradizionale funzione di ammortizzazione sociale e la conseguente espansione della domanda di servizi (Ranci, 326-328).
modelli familiari classici80. Intanto il sistema di welfare italiano sembra aver mantenuto lo stesso assetto di tipo occupazionale, esso si basa, come detto, sull’erogazione di trasferimenti alla famiglia più che sulla diffusione di servizi assistenziali (la quale appare del tutto residuale) e rivolge attenzione maggiormente a quanti sono inseriti nella struttura produttiva della società salariale ed ai rischi legati all’anzianità piuttosto che ai nuovi rischi sociali ed alle manifestazioni contemporanee del disagio sociale (come la perdita del lavoro e della casa, la tossicodipendenza, l’isolamento) (Ranci, 2002: 324; Ferrera, 1998; Esping-Andersen, 1999).
Dai cambiamenti che hanno portato al superamento della società fordista sono scaturiti nuovi rischi sociali, diversi da quelli della società salariale sia in termini quantitativi che qualitativi. Di fronte ai rischi sociali, le famiglie, fino ad oggi, più di tutti gli altri attori sociali, hanno protetto i loro membri ed hanno evitato che l’esposizione ai rischi si trasformasse in disagio sociale. Oggi le famiglie sono soggetti più fragili, sia nella loro azione di combinare risorse di diversa provenienza sia nella loro capacità di cura dei soggetti più deboli. Ranci evidenzia la complessità e la diversa valenza del ruolo che le famiglie oggi svolgono in relazione ai processi di vulnerabilità. Si è verificato un processo di diversificazione delle forme familiari, alcune delle quali, dice l’autore, appaiono più esposte alla vulnerabilità, mentre altre si mostrano più in grado di fronteggiare eventuali rischi. Le famiglie, pertanto costituiscono un fondamentale fattore di differenziazione, a parità di condizione economica. L’organizzazione familiare può essere al tempo stesso un fattore di protezione dalla vulnerabilità ed un fattore di rischio. Pertanto essa diviene fattore di disuguaglianza. Il grado di esposizione a fattori di rischio come la disoccupazione, la malattia, la mancanza di reddito variano a seconda del modello di convivenza familiare.
L’area della vulnerabilità, invece, ha origine dall’inserimento precario e difficoltoso nei principali sottosistemi di integrazione sociali, il lavoro, la famiglia ed il sistema di welfare, i quali, si è detto, sono interessati da fenomeni di cambiamento. “La vulnerabilità – scrive Ranci (2002: 13) – riguarda una popolazione che, pur integrata nei principali sistemi di organizzazione della società, sperimenta direttamente su di sé, nella propria organizzazione quotidiana e nei propri comportamenti, gli effetti più indesiderabili del nuovo ordine socioeconomico”. Il concetto di vulnerabilità, pertanto, si distingue da quello di esclusione sociale81 il quale, pur evidenziano la
80 Così, ad esempio, si sono diffuse le famiglie unipersonali e quelle monogenitoriali. Nell’ambito delle famiglie
nucleari, le donne hanno assunto sempre più il doppio ruolo di lavoratrici e di mogli-madri; inoltre le famiglie hanno assunta la forma “lunga” dovuta alla prolungata permanenza dei giovani-adulti nella famiglia di origine.
81
Il concetto di esclusione sociale si è diffuso a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso con riferimento ai paesi dell’Unione Europea per indicare la condizione di coloro che non sono inseriti nel processo produttivo o perché ne sono stati espulsi o perché non vi sono mai entrati. Il fenomeno che ha avviato il dibattito sull’esclusione sociale è stata la crescita della disoccupazione di lunga durata e la dirompenza degli effetti cumulativi, di tipo economico, sociale e psicologico, che essa ha sulla vita degli individui. La disoccupazione di lunga durate può costituire per un individuo l’inizio di una “carriera di degrado” che interessa le relazioni familiari e sociali, l’identità personale, le motivazioni, l’autostima. La condizione di esclusione investe tutte le sfere esistenziali di un individuo; le condizioni di povertà e
natura multidimensionale del disagio sociale (gli aspetti sociali e relazionali oltre che economici), si concentra sugli stadi ultimi di tale disagio, induce a distinguere in termini dualistici quanti sono integrati e quanti esclusi, non riesce ad evidenziare la natura composita di questi gruppi né altre forme di disuguaglianza e condizioni intermedie che non corrispondono a situazioni di povertà e marginalità.
L’area della vulnerabilità è definita da tre ambiti principali di rischio: la disponibilità limitata delle risorse di base per la sopravvivenza e la riproduzione familiare (reddito, abitazione, benefici di welfare), la scarsa integrazione nelle reti di integrazione sociale (il lavoro e le relazioni familiari e amicali), le limitate capacità di fronteggiamento delle situazioni di difficoltà (tali capacità si riferiscono all’istruzione, allo stato di salute, all’accesso ai mezzi di informazione, alla partecipazione alla vita sociale e politica, all’usufruire dei servizi pubblici). I diversi aspetti di rischio si combinano tra loro in maniera diversa senza essere necessariamente coesistenti dando luogo ad una molteplicità di condizioni possibili (ibidem: 29-30).
L’autore poi individua gli ambiti principali in cui si verificano situazioni di vulnerabilità. Il primo ambito riguarda la disponibilità di risorse materiali (reddito, patrimonio mobiliare o immobiliare, situazione abitativa costituiscono i fattori di rischio materiale). Reddito e patrimonio oltre a consentire di sostenere i costi di mantenimento della famiglia e permettono di per far fronte ed eventuali situazioni di emergenza familiare. (patrimonio come garanzia verso i rischi). La vulnerabilità materiale appare connessa alle particolari situazioni familiari e relazionali degli individui. Essa, pertanto, risulta più forte in determinate fasi del ciclo di vita familiare (come la nascita di un figlio o l’entrata nell’età anziana avanzata), in assenza di un doppio reddito familiare, oppure in situazioni di debolezza dei legami familiari (ad esempio in caso di vedovanza o di rottura del legame familiare). Il secondo ambito riguarda l’integrazione nel mercato del lavoro, dunque la condizione lavorativa. Fenomeni di disoccupazione e precarietà lavorative costituiscono un fattore di fragilizzazione delle famiglie che pur non cadendo in condizioni di povertà si ritrovano in condizioni economiche difficili (rientrando nell’area della vulnerabilità materiale). Spesso, non è il breadwinner ad essere colpito da disoccupazione, ma altri membri come il partner o un figlio lavoratore adulto, di fronte ai quali la famiglia continua ad essere il soggetto che offre protezione. Di fronte alle situazione di disoccupazione, di ricerca prolungata di un lavoro, o di precarietà solitudine diventano irreversibili (Gallino, 2000: 87-88). La categoria di esclusione sociale si riferisce, dunque, agli esiti ultimi dei percorsi di impoverimento, i cui effetti risultano facilmente visibili. La condizione di esclusione corrisponde alla mancanza di risorse primarie, all’assenza di relazioni sociali (Ranci, 2002). Altri autori evidenziano l’aspetto dinamico dei processi di esclusione sociale rispetto alle caratteristiche di staticità del concetto di povertà. Evidenziano l’accezione multidimensionale e relazionale del termine, rispetto alla prevalente accezione economicista del concetto di povertà (Negri, 1995; Negri e saraceno, 2000). Castel (200) introduce il oncetto di disaffiliazione per indicare una rottura del legame sociale, tipica delle società contemporanee, derivante da una doppia sconnessione con le reti di socialità e con il mondo del lavoro.
occupazionale, le famiglie svolgono un ruolo di ammortizzatore e di stabilizzazione economica, internalizzando i costi relativi alle difficoltà che alcuni membri delle famiglie incontrano sul mercato del lavoro (in particolare i giovani e le donne). Il terzo ambito della vulnerabilità concerne l’indebolimento delle reti di socialità e di mutuo soccorso, in particolare quelle familiari. La vulnerabilità, dunque, dice Ranci, presenta due volti: uno materiale, riferito alla presenza di risorse economiche e dell’abitazione, ed uno relazionale, riguardante l’inserimento nella sfera lavorativa e le reti familiari ed amicali.