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3.7.2 I concetti di habitus e di pratica

4. REGGIO CALABRIA: UNA RICOSTRUZIONE STORICA

4.1. Dall’Unità al terremoto del

4.1.1. Le condizioni storico-politiche

Nella seconda metà dell’Ottocento, dopo l’Unità d’Italia, a Reggio si manifestavano insofferenza e malcontento. La situazione era aggravata dalle condizioni di miseria in cui vivevano gli abitanti delle campagne e dal fatto che l’economia reggina era attraversata da una grave crisi agraria. I rapporti ancora semifeudali tra contadini e proprietari e l’assenza di associazioni ben organizzate per la tutela degli interessi dei lavoratori peggioravano la situazione economica. Le fonti storiche indicano, in quel periodo, l’assenza, nella città, del principio di associazione ed il prevalere, nei casi di elezioni, dell’influenza dei cosiddetti grandi elettori. Questi, insieme all’apparato clientelare, gestivano il consenso elettorale incrinando l’azione della politica volta al bene comune. I collegi erano dominati da poche famiglie potenti e nei decenni postunitari gli eletti al parlamento, in genere, appartenevano a grandi casati del mondo agrario. Gli elettori erano una esigua minoranza, in quanto la maggioranza dei cittadini rimase esclusa dalle liste fino al 1913, quando fu introdotto il suffragio universale per i soli elettori maschi. Non nascevano associazioni politiche ed era assente la partecipazione alla vita politica; mancavano una stimolante azione costruttiva ed un vivo dibattito a livello amministrativo che potessero insieme combattere i problemi della città. L’avvento del nuovo Stato non portò elementi di novità dirompente né nei rapporti sociali né nelle gerarchie di potere a livello locale cosicché i ceti rurali non furono affatto coinvolti nella lotta politica. Il mondo contadino rimase frammentato, non si organizzò in moti collettivi e tra i ceti proletari delle campagne non si formò una piena identità di classe. (Borzomati, 1993; Bevilacqua, 1985). “Così, l’avvenuta saldatura della vita locale (…) con il sistema politico e parlamentare di uno Stato moderno veniva non a trasformare, ma a rendere più stabili ed anzi ad attivare i meccanismi autoctoni delle lotte di potere (…) la maggior parte degli uomini politici che riuscivano ad insediarsi nel parlamento nazionale costituiva la propria fortuna, e talora la propria durata, su punti di partenza del potere localmente goduto: prestigio del casato, ricchezza terriera, ampiezza delle alleanze familiari e parentali” (Bevilacqua, 1985: 318, 319). .

Le condizioni della pubblica sicurezza erano precarie. La mafia imponeva le sue regole, soprusi e tangenti ed in sostanza impedendo lo sviluppo di Reggio. Si andava alimentando una grande sfiducia nello Stato e nelle sue istituzioni, le quali venivano strumentalizzate da pochi, in vista del

raggiungimento dei propri fini. Si delineava, in generale, nella città, una situazione di sottosviluppo economico e sociale ed un acuirsi delle sperequazioni.

4.1.2 L’economia reggina prima del terremoto del 1908

Le debolezze descritte concernenti la vita sociale e politica reggina non escludono, tuttavia, una certa dinamicità che interessava alcuni comparti dell’economia cittadina. L’agrumicultura costituiva l’attività produttiva più fiorente della città; il perimetro urbano era ricco di limoneti, aranceti, mandarineti e, soprattutto, bergamotteti. La produzione agrumicola veniva esportata verso i paesi europei ed era la risorsa primaria di un’importante filiera produttiva; questa costituì per molti decenni la più spiccata specializzazione economica cittadina, le cui radici sono lontane nel tempo. Al contrario, l’olivicoltura e la viticoltura, che in passato erano stati gli altri due settori principali dell’agricoltura reggina, si ritrovavano in declino e così anche la coltura del gelso e l’allevamento del baco (Cersosimo, 1993).

Risultavano compromesse le ambizioni di Reggio Calabria di diventare una grande città marittimo-commerciale. Intorno agli anni sessanta Reggio non era dotata di una struttura portuale di rilievo. I lavori del porto furono avviati nel 1873 ma le opportunità prospettate per Reggio non decollarono; esso rimase addirittura subordinato a Napoli e a Messina, privo di un collegamento diretto con Genova. Né l’apertura del Canale di Suez nel 1869 costituì l’occasione per diventare punto nodale tra le rotte orientali e quelle europee. Fu Messina, dunque, a concentrare su di sé la maggior parte dell’import-export della provincia reggina. Inoltre, il porto di Reggio perse anche l’importante funzione di collegamento, tramite i ferry-boats, tra la costa calabra e quella sicula, dato che nei primi del Novecento venne costruito l’invaso di Villa San Giovanni che consentì di abbreviare il collegamento tra la penisola e l’isola. “E così – scrive Piero Bevilacqua – la città perdeva irrimediabilmente la possibilità di costituire la testa di ponte obbligata fra il paese e l’isola maggiore. Anche per questa via, quindi, negli anni che seguirono vennero a poco a poco ridimensionate le sue ambizioni e le sue reali possibilità di assurgere al ruolo di grande città marinara” (Bevilacqua, 1985: 157-158)

Intorno all’ultimo decennio dell’Ottocento, sorgevano nuove insidie per alcune delle attività agrarie e commerciali che nei decenni precedenti erano riuscite ad inserirsi nei mercati internazionali. Infatti, l’esportazione di agrumi, in particolare delle arance, dovette scontrarsi con la concorrenza della Spagna e soprattutto dell’America, proprio quel paese che, inizialmente, per la ricettività di mercato, aveva costituito parte consistente della domanda agrumaria. Per la marginalità geografica del territorio reggino erano molto alti i costi dei trasporti che gravavano sul prezzo dei frutti nei mercati del Nord. Tali costi insieme all’inadeguatezza delle infrastrutture portuali e

ferroviarie ed alla marginalità spaziale rendevano lo scenario commerciale estremamente difficile. Anche l’olio di oliva non costituì più quel prodotto così ambito per il quale navi russe e inglesi, nei decenni precedenti l’Unità, approdavano sulle coste calabresi pur prive di approdi. “E la Calabria, estrema appendice confinata in fondo al Mediterraneo, che aveva aggirato la sua marginalità e battuto l’avversità degli spazi grazie al carattere quasi di monopolio dei suoi prodotti ora doveva gareggiare con un crescente numero di comprimari (…). La possibilità di fondare sulla fortuna mercantile di oli, arance, vino una forma di accumulazione agraria capace di innescare una complessiva trasformazione dell’economia regionale era ormai compromessa” (Bevilacqua,1985: 244-245).

4.1.3. La città

La città di Reggio, sorta all’estremità meridionale della Calabria e affacciata sullo Stretto di Messina, appariva delimitata dal mare e dall’immediato rilievo collinare che si eleva fino all’Aspromonte. Da un lato erano ancora forti i suoi legami con l’economia e l’ambiente culturale ed umano delle campagne, dall’altro era evidente il volto urbano di Reggio quale centro in cui si svolgevano i servizi ed in cui erano presenti luoghi ed istituzioni tipici delle città. Inoltre, “la forte presenza di un’economia commerciale, legata ai traffici portuali e agli scambi con la prospiciente Messina, valeva più di ogni altro attributo a renderla qualcos’altro dal mondo rurale” (ibidem: 338- 339, 344).

Dopo il terremoto del 1783, distruttivo dell’antico borgo medioevale, in epoca di governo borbonico,la riedificazione urbana era stata impostata dall’ing. Mori secondo uno schema razionale che prevedeva l’esistenza di tracciati viari disposti secondo una lineare trama ortogonale tutt’ora esistente nelle parti centrali della città. Si delineava, inoltre, per la città, l’importante affaccio sul mare, il quale tendeva a trasformare il volte di Reggio da centro agricolo in una città a stretto contatto con il mare. Aveva origine una città nuova, priva di legami con la città medioevale, divisa in rioni ognuno dei quali comprendeva più isole. Nella seconda metà dell’Ottocento, il centro di Reggio apparirà percorso da quattro lunghe strade parallele alla linea di costa: la via Marina ed il corso Garibaldi, l’arteria più importante lungo la quale erano collocati gli edifici più significativi; vi erano poi le vie Torrione e Aschenez che tagliavano, in linea retta, le tante stradine lungo i fianchi delle colline, dove viveva buona parte della popolazione reggina. Il terremoto del 1783 ha determinato, per Reggio Calabria, la perdita quasi totale della sua memoria storica; la città, del suo passato, ha finito per conservare soltanto la localizzazione, la traccia del suo corso principale (l’attuale Corso Garibaldi) e le torri del castello aragonese. Tutto ciò, se da un lato è dovuto ai danni

prodotti dal sisma, dall’altro, ed in misura maggiore, sembra essere dipeso dalle scelte politiche in termini di pianificazione (Bevilacqua, 1985; Currò, Restifo, 1991).

Nel 1791, data della partenza di Mori dalla città, il piano di riedificazione, astratto dalla realtà dei luoghi, non era stato affatto realizzato. La ricostruzione, iniziata dopo il 1815, diede origine ad una città in parte diversa dal disegno di Mori ma comunque non più corrispondente all’assetto precedente. Verso la metà dell’ottocento si rendevano visibili alcune importanti tendenze di sviluppo in atto: le fiumare, Calopinace a Sud e Annunziata a Nord, sembravano dividere la città in sobborghi quali Archi e S. Caterina a Nord e le Sbarre al sud; Archi e S. Caterina apparivano come “campagne abitate” in stretto rapporto di contiguità con la città. L’incremento demografico richiedeva nuovi spazi di progettazione rispetto a quelli delineati nel Piano Mori, ma intanto i gruppi di nuovi immigrati iniziavano ad occupare spontaneamente alcune zone della città.Pertanto, le aree più centrali, che ospitavano gli edifici pubblici e le residenze delle classi più abbienti, si distinguevano marcatamente dalle aree più periferiche in cui gli abitanti, perlopiù nuovi immigrati, risiedevano in precarie condizioni abitative. La crescita demografica rendeva necessaria la realizzazione di un Piano d’Ingrandimento rispetto al Piano Mori delineato sulla base di una popolazione di circa 8.000 abitanti. Fino alla redazione di nuovo piano nel 1898 saranno apportate diverse variazioni dovute soprattutto all’ampliamento del porto (che consentirà l’attraversamento dello Stretto con le navi-traghetto) ed al progetto della ferrovia tirrenica (Currò, Restifo, 1991).

Nel 1871 risiedevano nel comune di Reggio Calabria 35.235, tenendo conto anche delle frazioni circostanti la città ed incluse nel censimento. Quote significative di questi vivevano in insediamenti popolari, come «ai Cappuccinelli», al «Crocifisso», al «Pantano» segnati, per lungo tempo, dalla miseria, dal degrado e dall’insalubrità. Gli abitanti del centro storico, invece, videro migliorare la qualità della vita ed il patrimonio infrastrutturale si arricchì di nuove costruzioni: il lungomare, le stazioni ferroviarie, il Palazzo di città, la Villa comunale ed altre realizzazioni (Cingari, 1988). Con riferimento alla seconda metà dell’ottocento, i cambiamenti della città riguardarono interventi di ristrutturazione interna e di bonifica dei quartieri malsani e fenomeni di espansione della città

Intanto la popolazione reggina continuava raggiungendo nel 1901 44.569 residenti. Poco più del 15% era costituito da lavoratori agricoli, perlopiù braccianti, spesso proprietari di piccolissimi fondi. Nei comparti extragricoli (commercio, edilizia, industria manifatturiera), tipici di una struttura sociale urbana, trovava occupazione circa un quarto della popolazione complessiva118. “Ciononostante, Reggio era ancora lontano dal potersi considerare una formazione socio-economica

118 Nel settore delle attività produttive, il polo ferroviario era il solo ad occupare una quota consistente di lavoratori,

circa 400. C’erano poi piccole e piccolissime fabbriche. Ampiamente sviluppato, seppur anch’esso polverizzato, risultava il settore dei servizi. Il più sviluppato era quello commerciale con circa 900 occupati. Le attività tipiche dell’artigianato di servizio erano ampiamente diffuse (Cersosimo, 193: 354).

compiutamente urbana né semplicemente una delle non poche agrotowns disseminate in quegli anni nel Mezzogiorno, tantomeno una città industriale caratterizzata da un consistente e crescente proletariato di fabbrica” (Cersosimo, 1993: 353).