• Non ci sono risultati.

55 Per Crespi la distanza sociale è connessa ai processi di formazione dell’identità individuale e collettiva (si tratta di una dimensione soggettiva e percettiva).

2.6. Linee principali del dibattito contemporaneo sulle disuguaglianze social

2.6.1. La rilevanza attuale delle classi social

Nel dibattito sociologico è stata messa in discussione l’ipotesi, presente sia nelle teoria delle classi che in quelle della stratificazione (pur in misura diversa), in merito al carattere sistematico e

coerente delle differenze sociali e, dunque, alla possibilità di fissare la collocazione sociale di individui e gruppi. Si è delineata una spaccatura tra quanti affermano il declino e l’irrilevanza sostanziale delle classi nelle società tardo-capitalistiche e quanti ritengono che nella società contemporanea sono rintracciabili ancora strutture di classe che influenzano le disuguaglianze ed al tempo stesso sono frutto di esse. I primi ritengono che le classi sociali nella contemporaneità hanno perso visibilità e significato. La sfera del lavoro è stata interessata da profonde trasformazioni per cui si è avuto un ridimensionamento della classe operaia considerata come classe omogenea ed una crescita dell’eterogeneità delle classi medie. La perdita di visibilità delle classi, poi, appare evidente, se si guarda ai conflitti sociali, i quali hanno assunto un carattere segmentato e particolaristico, diventando espressione di singole categorie professionali volte ad ottenere vantaggi esclusivi. Inoltre, si riconoscono ulteriori fattori di divisione presenti all’interno delle singole classi. Nella classe operaia, ad esempio, si possono individuare gruppi più garantiti e protetti ed altri privi di tutela ed ancora risultano significative le stratificazioni di questi gruppi in base al sesso, all’appartenenze etnica o razziale, alla zona di residenza più o meno sviluppata. Anche l’intervento dello Stato nei meccanismi economici del capitalismo è considerato come uno dei fattori di mutamento dei conflitti nella sfera dell’organizzazione del lavoro e di dissolvenza della lotta di classe. La perdita di rilevanza delle classi è anche letta con riferimento ai cambiamenti inerenti il processi di formazione dell’identità personale e i criteri dell’agire individuale. Ancora, a sostegno della tesi della scarsa importanza delle classi, si riconosce l’affermarsi di disuguaglianze differenziate anziché strutturate, dunque, l’esistenza di più fonti e manifestazioni delle disuguaglianze, separate tra loro ed intrecciate secondo molteplici possibilità; per questo non sarebbe possibile individuare un ambito di disuguaglianza più importante rispetto agli altri e da cui derivano le differenze osservabili tra individui e gruppi. Secondo la teoria dell’articolazione delle disuguaglianze sociali, i sistemi sociali contemporanei sono interessati da processi di differenziazione che li rendono maggiormente diseguali e frammentati e per cui le diverse forme di disuguaglianza non si sovrappongono tra loro né si cristallizzano. Il concetto di irriducibilità delle disuguaglianze corrisponde al dire che le molteplici differenze osservabili tra gli individui (connesse al sesso, all’etnia, al contesto socio-economico, al reddito, ai consumi, alla partecipazione al sistema politico, alla fruizione dei servizi) non possono essere ricondotte ad un meccanismo unitario di disuguaglianza e non sono riferibili alle situazioni di lavoro e di mercato dei diversi ruoli occupazionali. La partecipazione al mondo del lavoro, in altre parole, non consentirebbe più di individuare raggruppamenti sociali distinti gli uni dagli altri ed al loro interno caratterizzati da situazioni complessive di vita omogenee69.

Contrastano le riflessioni sulla perdita di rilevanza della classi coloro che riconoscono, nelle società contemporanee, la persistenza delle classi sociali seppur meno visibili e più complesse. Questi studiosi ritengono che, a fronte delle trasformazioni che hanno investito le società industriali, continuano ad esistere forme di disuguaglianza tra loro connesse ed interpretabili attraverso il concetto di classe (Schizzerotto, 1994; Crompton, 1993). Tra questi, Crompton (1993) riconosce, nelle società attuali, la presenza di disuguaglianze sociali strutturate. Sostiene che le teorie delle classi sono ancora utili alla comprensione della riproduzione delle disuguaglianze, in termini di ricchezza e potere, legate alla produzione ed al mercato, ed in termini di accesso all’istruzione. Si verifica un’interrelazione fra le diverse dimensioni della stratificazione. Nella teoria quanto nella ricerca empirica, continua la studiosa, è difficile separare la dimensione economica e quella socio- culturale. Così scrive la studiosa: “…possiamo legittimamente descrivere le società capitalistiche industriali come caratterizzate da gruppi che, in virtù della loro differente partecipazione alla proprietà, alla produzione e al mercato, sono dotati di diversi livelli di vantaggi e svantaggi materiali e simbolici. Naturalmente i processi di classe non sono i soli fattori che concorrono a questa strutturazione (anche il sesso, la razza e l’età, per esempio, svolgono un ruolo importante); inoltre, esistono significative variazioni internazionali” (Crompton, 1993: 229).

Schizzerotto ritiene ancora utile prestare attenzione, nell’analisi sociale, alle classi che si configurano nella sfera del lavoro e del mercato e, quindi, alle disuguaglianze che si strutturano attorno ad esse70. Il lavoro costituisce ancora la principale fonte di ricompense materiali; le disuguaglianze legate alla sfera del lavoro condizionano sensibilmente e sistematicamente le altre forme di disuguaglianze che si manifestano in altre sfere; le classi continuano ad essere “una fonte cruciale di strutturazione delle disuguaglianze nelle possibilità di accesso alle risorse, al potere, ai privilegi” (Schizzerotto, 1994: 54). Ciò che fa differenza è innanzitutto l’essere o non essere occupati. Poi, il tipo di professione svolta influisce significativamente sul reddito percepito e su un insieme di vantaggi economici e simbolici ottenuti. L’autore precisa che le disuguaglianze individuate dal concetto di classe non rappresentano l’unico principio di differenziazione sociale delle società contemporanee71 e che il concetto di classe non racchiude tutti i fattori di differenziazione sociale, dunque non definisce tutti gli aspetti della vita dei singoli e dei gruppi; ad subalterna ed, in particolare la scomparsa della classe operaia addetta alle mansioni manuali. Altri sostengono che le posizioni occupazionali non determinano da sole le opportunità di vita degli individui, le quali sono sempre più condizionate da variabili politiche. E’ la sfera politico-amministrativa che pertanto si configura come fonte autonoma di produzione di disuguaglianze ben più incisive di quelle afferenti alla sfera lavorativa.

Una sintesi articolata delle argomentazioni relative alla perdita di rilevanza delle classi si ritrova in Crompton (1993) e Schizzerotto (1994).

70 L’autore definisce la classi sociali sulla base della situazioni di lavoro e di mercato. La situazione di lavoro fa

riferimento alla posizione che individui dotati di uno stesso insieme di risorse occupano nel processo di produzione (in termini di controllo sui mezzi di produzione e sull’attività di quanti vi partecipano). La situazione di mercato fa riferimento alle capacità di procurarsi vantaggi in termini di reddito, opportunità di carriera e prestigio.

esempio, la conoscenza della posizione di classe non consente di individuare automaticamente le relazioni sociali, gli stili di consumo, il comportamento elettorale, le convinzioni religiose ed i modelli valoriali degli appartenenti alla classe stessa. Le manifestazioni delle disuguaglianze nelle diverse sfere della società non si sovrappongono le une alle altre. E’ anche vero, come già detto, che in merito ad alcuni aspetti si possono avanzare delle ipotesi e che spesso alcune caratteristiche degli individui tendono a mutare in relazione alla collocazione di classe. La ricerca empirica di Bourdieu evidenzia, appunto, come gli stili di vita ed il gusto degli individui si differenziano sulla base delle differenze di classe (in particolare sulla base del capitale economico e culturale posseduto dagli agenti sociali). L’ipotesi, espressa da Schizzerotto (1994: 54) è, pertanto, che “nei sistemi sociali contemporanei, la struttura di classe sia rappresentabile come una rete le cui maglie definiscono i confini del campo di variazione delle posizioni assunte in alcune significative manifestazioni di ineguaglianza, le quali, a loro volta, possono ulteriormente articolarsi secondo principi aggiuntivi di differenziazione (di carattere ascrittivo o acquisitivo, materiale o culturale, temporaneo o permanente) operanti all’interno o a fianco delle classi. (…) questi fattori aggiuntivi di differenziazione risultano, per molti versi e nel lungo periodo, meno incisivi delle classi; e d’altra parte (…) essi possono, a volte, configurarsi come linee di divisione e di tensione sociale più acute e visibili delle stesse fratture di classe”. La maggiore incidenza della classe sociale, rispetto ad altre ineguaglianze, risulta, ad esempio, evidente nelle ricerche empiriche condotte sull’istruzione e sui processi di mobilità. Le opportunità di successo scolastico, in altre parole, sono maggiormente influenzate dalla classe d’origine anziché da altri fattori come il sesso, l’età, l’area socio-economica di residenza. Allo stesso modo la posizione d’origine influenza le opportunità di mobilità sociale.

In particolare, lo studio più recente curato da Schizzerotto (2002) affronta, in relazione alle disuguaglianze, il tema del cambiamento, contrastando con gli orientamenti teorici che hanno sostenuto l’esistenza, nelle società occidentali, di tendenze al mutamento sociale di tipo lineare o monotonico nell’ambito delle disuguaglianze72 (che hanno cioè configurato allontanamenti progressivi dalle condizioni di disuguaglianza73 sin dall’inizio del XX secolo). I risultati della ricerca condotta, contraddicendo le teorie del cambiamento sociale monotonico, rilevano la

72 Vengono esaminati e criticati diversi filoni analitici sulle disuguaglianze, alcuni dei quali sostengono il mutamento

delle disuguaglianze in termini lineari durante il XX secolo ed ipotizzano lo stesso andamento per il futuro. In questa prospettiva si inseriscono la teoria liberale dell’industrialismo, le tesi sulla differenziazione funzionale nelle società contemporanee e le teorie della frammentazione della disuguaglianza. Si prende poi in considerazione l’orientamento teorico che evidenzia la centralità delle variabili politico-amministrative nella determinazione e nella consistenza delle disuguaglianze. Tutti questi indirizzi teorici sostengono la scomparsa delle classi nella stratificazione delle società contemporanee, indicano diverse linee di divisione sociale senza, però, individuare nuovi raggruppamenti sociali (Schizzerotto, 2002).

73 Il riferimento è ad una diminuzione delle disparità sociali, una crescita della libertà di scelta e un miglioramento delle

tendenza spesso non lineare del cambiamento negli ambiti di disuguaglianza considerati e la stabilità nel tempo dei fattori e dei meccanismi generativi delle disuguaglianze sociali74.

In particolare si fa riferimento all’Italia, riscontrando un miglioramento delle condizioni complessive di vita dall’inizio del Novecento fino alla prima metà degli anni Sessanta ed, in seguito, un rallentamento e quasi un invertirsi di segno di tale processo di miglioramento; pertanto le opportunità educative ed occupazionali sono state maggiori per le generazioni nate nella prima metà del secolo, mentre sono rimaste inalterate o si sono ridotte per le generazioni successive. Schizzerotto (ibidem: 40) afferma che “nelle società contemporanee gli ambiti cruciali di disuguaglianza, cioè quelli che maggiormente incidono sulle condizioni e sui corsi di vita, non sono radicalmente mutati nel corso degli ultimi decenni”.

La ricerca condotta da Schizzerotto prende in considerazione tre fattori di strutturazione delle disuguaglianze sociali, le appartenenze di classe, di genere e di generazione, interrogandosi sulla loro ampiezza, intensità e variazione nel tempo75. L’analisi condotta mostra che “le appartenenze di classe esercitano significativi condizionamenti, diretti o indiretti, sulla grande maggioranza delle posizioni e transizioni studiate. Segnatamente, le classi influiscono sulle durate delle varie tappe che conducono alla vita adulta, sulle scelte educative, sui rischi di disoccupazione e di ingresso in relazioni di impiego o a protezione legale e contrattuale nulla o limitata, sulle chance di carriera, sulla scelta del coniuge in termini di collocazione occupazionale e livello di istruzione. Per contro, le appartenenze di genere e di generazione condizionano un insieme più contenuto di disparità sociali” (Schizzerotto, 362-363). L’autore, alla luce dei risultati della ricerca svolta, giunge ad affermare che le classi costituiscono il principale fattore generativo di disparità nelle condizioni e nei corsi di vita degli individui e che gli effetti delle appartenenze di classe appaiono stabili nell’arco di tempo preso in considerazione, il Novecento (ibidem). Sintetizzando, Schizzerotto scrive: “ci sembra di potere sostenere che – processo di ricerca del primo impiego a parte –

74

Ciò avviene nonostante evidenti cambiamenti negli assetti istituzionali e nei meccanismi di funzionamento intervenuti nelle società. Non è negata, dall’autore, l’esistenza di fenomeni di mutamento sociale monotonico in relazione agli ambiti di disparità sociali analizzati. Ne sono esempi la crescita delle classi medie, l’aumento della partecipazione al sistema scolastico, la maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro, la crescente difficoltà delle nuove generazioni nel trovare un’occupazione stabile, la propensione all’omogamia educativa. Alcuni di questi fenomeni, però, sono da considerarsi fallimenti delle teorie sostenitrici la progressiva riduzione delle disuguaglianze. Molteplici risultanze empiriche dimostrano l’invarianza nel tempo del peso esercitato dai fattori di disuguaglianza presi in considerazione. Ad esempio, risultano invariati, attraverso le coorti analizzate, il peso della classe di origine sulle possibilità di conseguire titoli di studio superiori, il peso esercitato dalla classe del primo impiego nei percorsi di mobilità intragenerazionale e la propensione verso l’omogamia educativa ed occupazionale. Anche le norme relative ai ruoli legati al genere ed all’ordine delle transizioni verso la condizione adulta mostrano segni di persistenza nel tempo (Schizzerotto: 353– 362).

75 L’autore ribadisce l’importanza di un altro fattore di disuguaglianza, quello della zona geografica di residenza, per

cui, in Italia si verificano situazioni di svantaggio per le regioni meridionali ed insulari rispetto alle aree settentrionali. L’analisi svolta tiene contro di questo fattore, misurando gli effetti degli altri fattori al netto del peso esercitato da questa variabile. Risulta che le influenze delle classi sociali, dell’appartenenza di genere e di generazione valgono allo stesso modo in tutte le aree geografiche del Paese.

l’appartenenza di classe abbia conservato sostanzialmente inalterati i suoi effetti per tutto il secolo mentre le influenze di genere e di generazione hanno conosciuto andamenti complessivamente divergenti” (ibidem: 365). Diversi studi hanno mostrato come molteplici aspetti variano in base alla classe di appartenenza (livelli di reddito e di consumo, titoli di studio, relazioni sociali, comportamenti politici). Pertanto Schizzerotto (2002: 44-45) afferma che le classi costituiscono nel lungo periodo la fonte più importante delle disuguaglianze nelle condizione e nei percorsi di vita degli individui nonostante esse non esauriscono il fenomeno della disuguaglianza sociale, il quale si declina attraverso molteplici dimensioni; altre variabili, infatti, oltre alla classe, concorrono a determinare le esistenze degli individui e queste variabili nel breve o medio periodo possono risultare più visibili ed incisive rispetto alla dimensione della classe.