55 Per Crespi la distanza sociale è connessa ai processi di formazione dell’identità individuale e collettiva (si tratta di una dimensione soggettiva e percettiva).
2.6. Linee principali del dibattito contemporaneo sulle disuguaglianze social
2.6.3. La subordinazione dei “nuovi ceti popolari”
In quel che segue si fa riferimento alla ricerca di Magatti e De Benedittis (2006) sulle condizioni di vita di una fascia della popolazione italiana che vive in una condizione di svantaggio, a causa della posizione lavorativa e delle risorse culturali e sociali di cui dispone, anche se non si ritrova in condizioni di esclusione o marginalità sociale. Le argomentazioni degli autori si inseriscono nel dibattito sulla valenza del concetto di classe sociale e sulla natura delle “nuove disuguaglianze sociali” (Ranci, 2002). Con l’espressione “nuovi ceti popolari” gli autori si riferiscono alle trasformazioni della classe operaia ed, in particolare, al delinearsi di “aggregazioni fluttuanti, relativamente poco definite in quanto esposte a una pluralità di sollecitazioni, e identificate di volta in volta con riferimento alla sfera dal lavoro, dei consumi, del territorio” (Magatti e De Benedittis, 2006: 16). L’uso del termine “ceti” indica la pluralità delle condizioni che possono essere distinte, non necessariamente in ordine gerarchico. Esiste una molteplicità di gruppi solo apparentemente omologhi ma in realtà differenziati tra loro.
Le trasformazioni della classe operaia sono legate ai cambiamenti che hanno investito le società negli ultimi decenni e che riguardano sia gli aspetti strutturali delle società sia le esperienze soggettive degli individui che vi appartengono. Frammentazione sociale, precarietà, nuovi modi di rapportarsi con lo spazio e con il tempo sono i fenomeni determinati dai processi di globalizzazione e dall’affermarsi di regimi di accumulazione flessibile. I sistemi capitalistici mostrano segni di crisi dal punto di vista della regolazione sociale basata sulla stretta connessione tra sistemi occupazionali, familiari e intervento degli stati nazionali. Non predomina più il regime occupazionale e familiare basato sulla figura del male bread winner occupato a tempo indeterminato. La stabilità del posto di lavoro diminuisce mentre aumentano le forme di lavoro “atipiche”. Dal punto di vista delle esperienze soggettive e delle biografie personali, si è verificata una loro progressiva individualizzazione. I cambiamenti verificatisi nella sfera del lavoro sembrano
essere la causa principale di questa trasformazione e del generarsi di una crescente frammentazione sociale (Crompton, 1999: 237).
Gli autori ritengono che “le categorie usate per indicare i vecchi gruppi sociali, nati con la Rivoluzione industriale non sembrano in grado di dar conto della realtà”. [La sensazione espressa dagli autori è che] “la sola “dimensione verticale sia ormai inadeguata per leggere una realtà così frastagliata” (ibidem: 9). Quanto sostenuto dagli autori non intende opporsi alla tesi di Schizzerotto (2002), secondo cui le classi e gli effetti esercitati da queste ultime sulle disuguaglianza sociale risultano stabili durante l’intero Novecento. Non contraddicendo tale argomentazione (quindi l’importanza della dimensione di classe), gli autori intendono valorizzare anche altri aspetti quali i nuovi “processi di definizione simbolica” e le nuove “esperienze quotidiane” di fronte alle quali oggi i gruppi sociali si trovano. Essi sostengono che “ai fini della comprensione di come si strutturano le disuguaglianze e i rapporti nella società contemporanea si debba abbandonare la metafora “geologica” della stratificazione. (…) la prospettiva analitica da assumere deve far riferimento al modo in cui i gruppi sociali hanno accesso alle diverse risorse disponibili nei vari ambiti – usando la terminologia di Bourdieu, i diversi tipi di capitale (economico, culturale, sociale, simbolico) - e come ciò pesi nel terminare i destini sociali delle persone e la loro capacità di interpretare se stessi e il mondo circostante” (ibidem: 13). Dire che la posizione occupazionale o reddituale non è più sufficiente a definire i nuovi assetti delle società, non significa negare la loro importanza; “significa accettare l’idea che le disuguaglianza non si determinano più nella sola sfera economico-lavorativa, ma coinvolgono anche la dimensione culturale e soprattutto la relazione tra queste due dimensioni” (ibidem: 14).
Gli autori, inoltre, tengono conto del fenomeno della de- differenziazione generatosi nelle società contemporanee. Ciò vuol dire che alcune linee di differenziazione tra gli spazi e i gruppi sociali tipiche della società fordista diventano meno visibili. L’apparente omogeneizzazione non conduce ad una maggiore coesione o alla irrilevanza delle differenze soggettive. “Il punto semmai è che la distanza oggettiva minima nello spazio sociale può coincidere con la massima distanza soggettiva, poiché le differenze percepite non sono le differenze oggettive e la vicinanza sociale, luogo dell’ultima differenza, ha tulle le possibilità di essere anche il punto di maggior tensione” (Bourdieu, 2005, 214 in ibidem:15)”.
Il fatto che sia diminuita la capacità euristica del concetto di classe nel senso che esso è sempre meno in grado di spiegare le dinamiche che attraversano le società odierne, non vuol dire che le sperequazioni economiche siano diminuite né che non esistano più differenze tra gruppi. Ciò che gli autori intendono affermare è che “si sia passati da una subordinazione gerarchica e manifesta – tipica della grande fabbrica, dover essere operaio corrispondeva ad una ben precisa identità sociale
e l’accettazione /contestazione dell’ordine importa dalla logica della produzione industriale – a una più implicita e diffusa, basata anche su differenziazioni di ordine culturale” (ibidem: 21).
Il capitale scolastico, secondo gli autori, costituisce l’elemento maggiormente discriminante tra le diverse fasce di popolazione e, dunque, l’elemento che più di altri consente di cogliere le debolezze di coloro non dispongono di un titolo di studio medio-alto e le difficoltà ad accedere alle diverse risorse indispensabili per vivere nei contesti odierni. Questa tesi è confermata dalle ricerche che riconoscono l’istruzione come il fattore oggi determinante nella strutturazione dei processi di disuguaglianza. Esse evidenziano, infatti, quanto origine sociale e accesso all’istruzione siano strettamente correlati: conseguono titoli di studio superiori soprattutto coloro i quali appartengono a famiglie di classe superiore (imprenditori, liberi professionisti e dirigenti), poi quanti appartengono a famiglie di classe media impiegatizia; di molto inferiore è la probabilità di ottenere la laurea per i figli della classe operaia urbana ed ancora minore per i figli dei braccianti agricoli. Inoltre, sembra essere in particolar modo il capitale culturale accumulato dalla famiglia di origine (non solo quello economico) ad influire sul successo scolastico dei figli e sulla loro motivazione a proseguire gli studi superiore. Altro aspetto che conferma l’importanza del capitale culturale è il legame tra il conseguimento di titoli di studio elevati e le possibilità di mobilità sociale.
Magatti e De Benedittis (2006) indicano alcuni fattori di debolezza che interessano i ceti popolari e si combinano tra loro in modo variabile. La condizione di debolezza è vissuta a livello individuale senza trovare forme di ricomposizione collettiva legate ad una comune condizione economica. Raramente si verificano processi di aggregazione. Tra i fattori di debolezza, uno si collega al processo di “frammentazione sistemica e culturale”. La classe operaia aveva acquisito la consapevolezza di condividere una medesima condizione, il che era favorito dalla comune esperienza di lavoro svolta nella fabbrica e dall’attività dei movimenti socialisti ed operai. Il riconoscimento di una stessa condizione costituiva un ancoraggio comune e la forza della classe operaia. La maggiore complessità delle società odierne e la diffusione della precarietà lavorativa rende difficile ai veti popolarsi di riconoscersi parte di una comunità e, quindi, elaborare discorsi comuni ed azioni collettive. I processi di frammentazione impediscono in un certo modo la costruzione di un’identità comune fondata sul lavoro. Esistono forti differenze relative alle paghe alle posizioni contrattuali, ai percorsi lavorativi individuali. I meccanismi di riconoscimento, di integrazione, socializzazione passano sempre più attraverso lo spazio estetico ( di cui sono parte media e consumi) il quale è accessibile anche alle fasce sociali più basse.Un secondo fattore di debolezza è la vulnerabilità sociale ed economica dei i ceti popolari. La stabilità economica dei ceti medio-bassi garantita dalla società fordista-welfarista è ormai parte del passato. Oggi, fasce di
popolazione, si ritrovano, in una condizione di inserimento vulnerabile nei principali sistemi di integrazione sociale (Ranci, 2002: 25).
La variabilità dei gruppi sociali presi in considerazione è studiata attraverso l’analisi di quattro assi o ambiti, analiticamente separati ma connessi nelle situazioni concrete in un unico campo di forze in cui i ceti popolari agiscono. La questione principale riguarda le possibilità di accesso dei ceti popolari a questi ambiti. Il primo asse è quello lavorativo, l’accesso al quale ed alle posizioni lavorative più elevate sono strettamente correlati al possesso di quote significative di capitale culturale. Questo aspetto, oltre alle risorse messe a disposizione dalle famiglie, produce la differenziane all’interno dei ceti popolari.
Il secondo asse si riferisce ai consumi culturali ed ai media (elementi dello spazio estetico), entrambi parte della “dimensione simbolica del vivere” e legati alla dimensione culturale. Il ruolo del capitale culturale sembra essere più discriminante del capitale economico rispetto al tipo di consumi che si praticano e rispetto agli orientamenti di critica verso i beni che si consumano. Collegati ai consumi sono i media, “parte integrante dello stesso spazio estetico”, cruciali “nella costruzione del sé” e nella socializzazione. E’ ancora il capitale culturale a determinare differenze nell’accesso ai diversi tipi di media e nel loro utilizzo. La televisione, ormai posseduta dalla quasi totalità delle famiglie, è ormai integrata nella quotidianità delle persone. Diversamente accade per altri media come il cinema, il teatro, i musei i concerti e per la fruizione di giornali e libri strettamente legata a livelli culturali alti. Le differenze educative, poi, risultano fondamentali nell’utenza di Internet, non solo riguardo alle possibilità di accesso ma anche e soprattutto relativamente alle capacità e competenze di selezione da parte dell’utente di fronte all’abbondanza di informazioni. L’accesso ai consumi rappresenta una forma di compensazione rispetto alle difficoltà incontrate nel percorso scolastico ed in quello lavorativo. Esso rende possibile la sensazione di sentirsi parte delle società; non rappresenta un fattore di distinzione ma un mezzo attraverso il quale ottenere riconoscimento sociale. Riduce la sensazione di sentirsi in una posizione inferiore lungo la scala sociale, permette di occultare le differenze. Anche la televisione svolge questa funzione. Dai media, i ceti popolari traggono gran parte dei riferimenti simbolici e culturali. Ma in realtà si tratta di un’integrazione apparente, soltanto percepita, dato che le scarse risorse economiche e culturali pongono i nuovi ceti popolari in una posizione subordinata
Il terzo asse considerato concerne le reti di relazione stabili ed il rapporto con il territorio. La letteratura sociologica ha messo in luce l’importanza del capitale sociale nell’incrementare le possibilità di accesso alle migliori posizioni lavorative. Le conoscenze e le abilità individuali risultano maggiormente spendibili sul mercato del lavoro quando si dispone di reti sociali estese. Anche le ricerche sui servizi alla persona hanno dimostrato l’importanza delle relazioni come
sostegno agli individui in difficoltà, siano esse finanziare, lavorative, di salute. L’accesso a determinati spazi di socialità sembra essere favorito dalla disponibilità di capitale culturale. Gli esempi possono riguardare le possibilità di instaurare contatti e relazioni nell’ambito di determinate istituzioni scolastiche oppure, negli spazi sociali legati al tempo libero (come corsi di lingue, club enogastronomici, palestre, cineforum) ed il cui accesso dipende dal capitale culturale: Il terzo asse tiene conto anche del territorio, un aspetto a cui si legano significative differenze tra i gruppi di una società. Il rapporto con lo spazio sembra essere produttore di disuguaglianza in relazione alla possibilità di mobilità e di scelta dei luoghi di fissazione nello spazio. Anche questo aspetto è in relazione con il capitale culturale. La lettura del rapporto con lo spazio si articola su due livelli: la dimensione locale e quella globale. La prima fa riferimento alla città ed ai suoi mutamenti. Anche le dinamiche abitative presentano aspetti nuovi , legati alla dotazione di capitale culturale oltre che di capitale economico. “Anche in questo caso –scrivono gli autori - è il capitale culturale- certamente a partire da una sufficiente dotazione di capitale economico – la variabile fondamentale della scelta del luogo di residenza” (ibidem:36). A livello urbano bisogna tener conto di un altro processo: la città non è più considerata uno spazio di integrazine dove si incontrano persone con culture e stili di vita diverse, ma sempre più l’aspetto di uno spazio costituito da territori contigui non comunicazione tra loro. “Al di là della variabile economica, che naturalmente impedisce per esempio a un lavoratore a basso reddito di abitare in un esclusivo quartiere residenziale, ci pare che anche il capitale culturale sia rilevante in questo processo, in quanto struttura prima di tutto cognitivamente quel senso di operazione territoriale, portando a dire “quel posto non fa per me”, “lì non ci vivrei mai”, anche quando le proprie possibilità economiche lo permetterebbero” (ibidem: 37). La dimensione globale è stata letta attraverso le possibilità di viaggiare. Ancora una volta, accanto al capitale economico è il capitale culturale ad essere produttore di differenze: spesso le persone con scarse conoscenze ed informazioni ma dotate di adeguato capitale economico per fare un viaggio all’estero, scelgono i villaggi turistici e visitano i centri commerciali dei luoghi di vacanza.
L’ultimo asse preso in esame riguarda in legami istituzionali con riferimento alla sfera politica e quella religiosa Nelle società, le istituzioni svolgono un ruolo cruciale di intermediazione tra i singoli individui ed il mondo sociale che li circonda e costituiscono un importante fattore di costruzione del senso di appartenenza sia a livello individuale che collettivo. Gli autori evidenziano il delinearsi di una distanza dalla politica e di una sfiducia nei suoi confronti. I ceti popolari non si sentono protagonisti all’interno della sfera politica, che sembra piuttosto essere un mondo per altri. Prevale, invece, la partecipazione nell’ambito sociale, attraverso la partecipazione ad associazioni. Tengono conto in particolare dell’indebolimento della politica nelle sue capacità di coinvolgimento,
di orientamento della vita dei singoli e di regolazione della vita collettiva. Le istituzioni politiche non costituiscono degli interlocutori per i ceti popolari. Così, il potere simbolico rimane nelle mani dei media e dell’economia. La religione, infine,