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Il terremoto del 1908 e l’inizio della ricostruzione

3.7.2 I concetti di habitus e di pratica

4. REGGIO CALABRIA: UNA RICOSTRUZIONE STORICA

4.2. Il terremoto del 1908 e l’inizio della ricostruzione

4.2.1 La catastrofe del 1908 e la gestione dell’emergenza

Il 28 dicembre 1908 il territorio della città di Reggio fu completamente sconvolto da un sisma che in pochi attimi arrecò uno sconvolgimento in tutto ciò che era preesistente; decimò risorse umane ed economiche e, in alcuni casi, cancellò completamente i manufatti ed il capitale fisso sociale accumulati nel tempo. Iniziò per Reggio una lunga fase di emergenza sociale. L’attenzione rimase a lungo concentrata sui problemi più immanenti posticipando e condizionando la fase della ricostruzione vera e propria (Cingari, 1988).

In città si formarono gruppi organici di baraccamenti in legno distribuiti nelle aree esterne al nucleo urbano. Le aree in cui sorsero i baraccamenti corrisponderanno alle zone di futuro ampliamento della città ed ospiteranno soprattutto quartieri popolari (tra questi, il quartiere Annunziata, Santa Caterina, Tremulini, Spirito Santo. Nel 1911 la “città di legno” risultava costituita da circa quattro mila baracche destinate ad abitazioni, uffici pubblici, scuole. La costruzione delle baracche e la realizzazione di opere infrastrutturali di base costituirono le attività intorno a cui si incentrarono in gran parte le prospettive di ripresa economica della città. Intorno a queste attività, infatti, si mobilitarono le forze imprenditoriali locali e trovarono occupazione, seppure precaria, molti disoccupati. Le attività agricole si ridussero consistentemente sia per le conseguenze dirette del terremoto sia per la destinazione di parte delle superfici agrarie alla costruzione delle baracche. Ovviamente, anche il settore dei commerci e dei servizi scomparve quasi completamente e nuovi esercizi commerciali sorsero in maniera disordinata e spesso abusiva (Cersosimo: 1993: 356-358).

4.2.2 Il Piano De Nava e L’Ente Edilizio

Successivamente alla sistemazione della popolazione in vasti accampamenti di baracche iniziò l’opera di ricostruzione. Il terremoto determinò la necessità di superare i confini spaziali entro cui la città si era estesa negli ultimi decenni. Si rendevano necessari l’occupazione di un’area più vasta per gli insediamenti ed un piano regolatore con norme, criteri e direzione della ricostruzione. Appariva più che mai indispensabile la predisposizione di uno strumento urbanistico, sia per potere gestire l’emergenza abitativa, sia per sfruttare la possibilità dei finanziamenti concessi a causa del sisma. Fu l’ing. Pietro De Nava, assessore ai Lavori Pubblici del Comune (nell’amministrazione Foti), ad

essere incaricato della stesura del piano regolatore che venne approvato definitivamente nel 1914 dall’Amministrazione comunale e che rimarrà vigente fino al 1969 (pur non mancando importanti modifiche) (Bevilacqua, 1985: 360).

La ricostruzione della città fu prevista, secondo il piano regolatore, nella medesima area in cui sorgeva il centro urbano prima del sisma. Il progetto De Nava mostrò una stretta continuità rispetto al vecchio piano Mori (successivo al terremoto del 1783) utilizzato come base su cui ridisegnare la nuova città e la localizzazione dei baraccamenti in previsione della futura ricostruzione. L’impianto a scacchiera venne mantenuto ed esteso alle aree di espansione a Nord e a Sud della città. La città, precedentemente compresa tra l’Annunziata a Nord, il Calopinace a Sud e la via Reggio Campi ad est si estendeva oltre le due fiumare. Se la struttura della città, nella parte in cui corrispondeva alla antica configurazione del Mori, appariva ben definita, diventava indeterminata nelle espansioni oltre i due torrenti principali che rappresentavano due testate della città, a Nord e a Sud, al di là di questi sorgeranno le aree periferiche della città.Il ritardo con cui venne approvato il piano regolatore incise sulla ripresa economica della città; senza di esso, infatti, non si poteva avviare l’opera di ricostruzione di Reggio e attivare gli stanziamenti speciali nazionali per la costruzione di abitazioni ed edifici pubblici. Per molti anni si verificò, così, una paralisi totale dell’edilizia pubblica e privata, anche se, pur in assenza del piano regolatore, furono lo stesso avviate e a volte completate alcune costruzioni pubbliche e private, tramite le quali si alimentarono piccole economie urbane (Cersosimo, 1993; Menozzi, 1988; Campanella, 2004).

L’edilizia residenziale venne realizzata lentamente. Per garantire l’edilizia privata intervenne lo Stato, inizialmente come intermediario tra i cittadini e gli istituti di credito e fornitore di aiuti limitati ai dipendenti statali, successivamente per sovvenzionare l’edilizia popolare da realizzare nel rispetto di criteri stabiliti. Nel 1914 fu istituito, per volontà di Giuseppe De Nava, l’Ente Edilizio il quale svolse un’importante ed intensa attività119 Esso fu preposto a gestire l’attività di sbaraccamento e a progettare e realizzare nuovi alloggi. Il compito dell’Ente fu quello di concentrare i finanziamenti statali ed altre erogazioni per costruire abitazioni civili di carattere popolare. L’attività dell’Ente iniziò sperimentalmente nel 1915 nel vecchio quartiere dell’Annunziata; rispetto al fabbisogno abitativo essa fu particolarmente limitata nei primi anni ma si ampliò nel corso degli anni venti e trenta (Bevilacqua, 1985; Currò, Restifo, 1991; Menozzi, 1988).

119 Alla ricostruzione della città, in primo momento, presero parte diversi Enti, tra i quali l’Unione Edilizia messinese

ed altri perlopiù a carattere privato. Ma data la difficoltà per le classi meno abbienti di accedere ai mutui, si rese necessario l’intervento dello Stato. di iniziativa privata”. Ma si rese necessario l’intervento dello Stato per la costruzione delle case economiche, data la difficoltà per le classi meno agiate di accedere ai mutui L’opportunità di istituire l’Ente Edilizio fu data dal R. D. 27-7-1908, il quale attribuiva ai Comuni la possibilità di realizzare case economica e popolari tramite la gestione, da parte di un istituto autonomo, del capitale finanziario messo a disposizione dallo Stato. (Campanella, 2004: 49).

4.2.3 Reggio prima del fascismo

Durante gli anni successivi al terremoto la classe dirigente non si fece interprete delle reali istanze della popolazione, né operò per la realizzazione del bene comune, né per sradicare l’apparato clientelare. La città, comunque, dimostrava un desiderio di ripresa e lavorava per ritrovare un nuovo equilibrio. Reggio, ormai “estesa oltre le antiche delimitazioni a nord e a sud della linea di costa, apparve nuovamente attraversata in senso longitudinale dalla via del Mare e dalla lunga via Garibaldi, una volta centro simbolico dell’assetto cittadino” (Bevilacqua, 1985: 361). Furono completati i lavori dell’acquedotto comunale e furono avviate molte altre opere, tra cui la Prefettura, le Poste, il Palazzo di Giustizia, il nuovo Duomo. La ripresa della vita sociale e l’avvio delle prime opere infrastrutturali subirono un arresto a causa dello scoppio della prima guerra mondiale che determinò il peggioramento delle condizioni materiali di vita della popolazione (Cersosimo, 1993).

Nel quinquennio compreso tra il 1918 ed il 1923, l’amministrazione pubblica, sotto la direzione del sindaco Valentino, realizzò un’intensa e fattiva opera di costruzione di infrastrutture. Così, sul versante delle infrastrutture pubbliche la città, prima del fascismo, appariva realizzata, mentre il settore dell’edilizia abitativa, pubblica e privata, presentava un bilancio modesto. Si delineavano due città: “una centrale, moderna e in cemento armato, e l’altra periferica, baraccata e cadente” (Cingari, 1988, in Cersosimo, 1993: 360).

A Reggio, la popolazione, intanto, cresceva intensamente. Ciò era dovuto anche al trasferimento dai comuni della provincia alla città da parte di quanti avevano perso la propria casa distrutta dal terremoto; la trasportabilità del diritto di muto e le maggiori opportunità occupazionali in città incoraggiavano le persone a spostarsi. Questo aumento demografico, inoltre, a causa delle norme antisismiche che impedivano la costruzione di edifici superiori a due piani, richiedeva la disponibilità di una maggiore estensione di aree edificabili rispetto a quelle previste dal piano regolatore (Menozzi, 1983).

Nel 1921 la popolazione reggina raggiunse circa 60mila abitanti. Alla fine del 1922, dopo 14 anni dal disastroso terremoto, nel centro di Reggio (escluse le borgate circostanti) risiedevano circa undicimila famiglie pari a 48 mila abitanti. Solo 10mila di essi, corrispondenti a 2800 famiglie, però, allora, vivevano in vere e proprie case in muratura. Per il resto, 16 mila abitanti (circa un terzo delle famiglie) alloggiavano in baracche private, le restanti 22mila persone, ossia il 43% circa delle famiglie, trovavano alloggio nelle baracche dell’Ente Edilizio. Per la mancanza di finanziamenti pubblici, legata alle ingenti spese statali nel dopoguerra, furono sospese le opere pubbliche e private in corso.