4. Assetto proprietario e strumenti di separazione tra proprietà e controllo
4.4 Separazione tra proprietà e controllo
4.4.1 Benefici privati del controllo
Un corposo filone della ricerca economica, negli ultimi anni, ha evidenziato, con riferimento a paesi appartenenti a tradizioni giuridiche diverse, una relazione significativa tra il contesto legale e istituzionale, da un lato, e lo sviluppo dei mercati dei capitali e del credito e il governo societario, dall’altro (La Porta et al., 1997). Le legislazioni appartenenti ai sistemi di origine anglosassone favoriscono lo sviluppo di mercati ampi e liquidi grazie alla capacità delle relative norme di diritto societario e finanziario di limitare l’appropriazione dei benefici privati del controllo (BPC) da parte degli azionisti di controllo a danno di quelli di minoranza. I BPC fanno riferimento alla capacità di un soggetto che controlla un’impresa di utilizzarne le risorse per perseguire obiettivi personali. Essi comprendono la facoltà di influenzare la gestione aziendale attraverso la
127 scelta del management o dei membri del consiglio di amministrazione, la possibilità di eseguire operazioni che si prospettano come rispondenti a interessi del gruppo, oppure l’appropriazione di compensi non monetari, quali quelli che si possono godere sul posto di lavoro (arredi degli uffici) o che sono in qualche modo monetizzabili (iscrizione a un circolo privato, disponibilità di un’automobile o di una carta di credito).
Ehrhardt & Nowak (2003), facendo riferimento alla dicotomia monetari/non monetari, suddividono i benefici in quattro tipologie:
• Self-dealing: comprendono i benefici pecuniari, che nascono dal trasferimento di risorse economiche dell’azienda;
• Diluition: sono i benefici monetari non trasferibili e non facilmente replicabili. Questi si differenziano dai precedenti perché non comprendono un diretto trasferimento di assets;
• Amenities: corrispondono ai benefici non monetari e non collegati alla ricchezza degli azionisti di controllo. Essi sono facilmente trasferibili e provengono dall’esercizio del potere personale o dal settore in cui la società opera.
• Reputation: sono i classici benefici non monetari non facilmente trasferibili, come il prestigio, la fama e sono specifici dell’azionista di controllo.
Bianchi & Bianco (2006) dividono i benefici tra “buoni” e “cattivi”. I primi sono remunerativi e provengono da elementi psicologici, quali la fama, il prestigio e il senso di potere. Gli autori affermano che tali benefici non sono da condannare ma da incentivare, in quanto fungono da stimolo al soggetto possessore, che sarà incentivato a svolgere al meglio il proprio compito. Essi rappresentano, inoltre, uno strumento atto a garantire il corretto raggiungimento dell’efficienza del controllo in maniera statica. (Bebchuk, A Rent-Protection Theory of Corporate Ownership and Control, 1999) trova che la struttura proprietaria è fortemente influenzata dai benefici privati che l’azionista di maggioranza si attende di conseguire dalla partecipazione societaria. Un imprenditore, se i benefici privati del controllo sono significativi, sceglie quella struttura proprietaria che gli consente il mantenimento di un “lock” sul controllo. Questo gli consente sia di evitare tentavi di impossessarsi del comando da parte di altri investitori, attratti dai consistenti benefici, sia per consentire all’azionista di catturare larga parte del valore generato dall’eventuale trasferimento del controllo. Grossman & Hart (1988) ritengono, invece, che i BPC non sono necessariamente un fattore di inefficienza, in quanto possono essere la maniera più efficiente per la società di catturare parte del valore aggiunto. Gli autori propongono l’esempio di un dirigente aziendale che acquisisce importanti informazioni sulle opportunità di investimento in altre linee di business che la società non avrebbe voluto acquisire. Esso genera, consegnando queste informazioni all’impresa, un effetto socialmente benefico a favore di tutti gli azionisti, che apporta valore alla società.
I BPC posso essere stimati mediante due metodologie: la prima si fonda sul differenziale fra il prezzo pagato dall’acquirente per il pacchetto di controllo e il prezzo di mercato delle azioni il giorno dopo il trasferimento del controllo (block premium). Quest’ultimo avviene attraverso una transazione privata, in modo tale che il prezzo pagato dal nuovo proprietario non venga influenzato dalla reazione del mercato al passaggio di proprietà. Il differenziale di prezzo rappresenta il premio di controllo, che è un indicatore della somma dei benefici privati e dei potenziali incrementi di valore dell’impresa (Barclay & Holderness, 1989). La disponibilità a pagare un prezzo superiore rispetto al reale valore dei titoli, infatti, riflette sia le aspettative dell’acquirente sui guadagni di efficienza, realizzabili tramite un ricambio del management, sia la sua capacità di estrarre benefici privati. La seconda misura dei BPC è rappresentata dal differenziale di prezzo fra azioni con e senza diritto di voto (voting premium). La tipologia di azione più utilizzata per valutare tale differenza è l’azione di risparmio, a cui le imprese italiane hanno fatto grande ricorso in seguito alla sua introduzione.
Il voting premium emerge se esiste la possibilità che le azioni con diritto di voto possedute dai soci di minoranza (ossia il flottante rappresentato da azioni ordinarie) diventino rilevanti nella formazione di una nuova coalizione di comando. Il loro prezzo, in questa circostanza, incorpora il valore stesso del controllo,
128 associato al diritto di voto. Il differenziale fra il prezzo di borsa delle azioni ordinarie e quello delle azioni di risparmio, nel caso di una società controllata di diritto e in relazione alla quale non vi sono aspettative di mutamento della struttura proprietaria, è pari a zero, poiché la probabilità che il voto dell’azionista marginale possa contribuire a ridefinire l’assetto di comando della società è nulla; viceversa, quando la proprietà è dispersa, la probabilità di una scalata è maggiore di zero e il voto marginale può avere un certo valore. Il voting premium esprime dunque il valore dei benefici privati, scontato per la probabilità che abbia luogo un ricambio del controllo, probabilità che a sua volta dipende dal grado di concentrazione dell’assetto proprietario dell’impresa. Ciò implica che il differenziale di prezzo tra titoli con e senza diritto di voto non sempre riflette i benefici privati del controllo e non sempre consente di inferire la qualità della legislazione sul governo societario, poiché, nel caso di un’azienda con struttura concentrata, il valore del voting premium è zero.
Linciano (2002) ritiene che lo scostamento di prezzo tra azioni con diritti di voto e patrimoniali differenziati è legato alla contendibilità dell’impresa e al valore dei benefici del controllo. Il voting premium è positivo in quanto la presenza di distinte categorie di titoli permette, in occasione di una scalata, di spuntare un prezzo di offerta più elevato, che incorpora parte del surplus del potenziale acquirente. Il premio del controllo, pertanto, è tanto maggiore quanto più alta è la probabilità di una scalata e quanto minore è la concentrazione proprietaria. Un motivo che in parte spiega il differenziale di prezzo è rappresentato dal fatto che le azioni prive del diritto di voto sono sottovalutate, a causa della corretta anticipazione da parte del mercato delle redistribuzioni di ricchezza attuate a sfavore dei saving shareholders. Tale tesi trae origine dal fatto che nel caso italiano lo sconto delle azioni secondarie appare eccessivo, considerata l’assenza di public companies e il conseguente modesto ruolo dei piccoli investitori nella determinazione degli assetti di controllo. La presenza di una struttura proprietaria stabile, infatti, implica che solo le azioni ordinarie appartenenti al pacchetto di controllo incorporano il valore complessivo dei benefici privati, mentre, a parità di diritti patrimoniali, la valutazione di mercato delle varie categorie di titoli non dovrebbe mostrare alcun divario.
I metodi di misura dei BPC, tuttavia, tendono a sottostimare il valore del controllo, soprattutto in quei paesi dove c’è una maggioranza di benefici privati non pecuniari. Le stime, infatti, possono essere deviate da diversi fattori, come la presenza di pagamenti sistematici in eccesso, oppure ritardi nell’incorporazione delle informazioni. Barclay e Holderness (1989) stimarono che il valore dei benefici privati del controllo negli USA corrispondeva al 4% del valore delle azioni, mentre Dyck & Zingales (2004), in Italia, segnalano un premio di controllo medio del 37%, il più grande tra i paesi industrializzati. La tabella 17 confronta il block premium e il voting premium in Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Essa mostra che l’Italia è il paese con il block premium più alto (37%), mentre gli altri paesi presentano valori bassi. Il voting premium è invece più elevato in Italia e Francia, moderato in Germania e Regno Unito, mentre è basso negli Stati Uniti. I risultati suggeriscono che il valore del controllo è più grande in Europa continentale piuttosto che nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
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Tabella 17: Benefici privati del controllo misurati attraverso il block premium e il voting premium (2005). Confronto tra Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti
Fonte: Enriques L. e Volpin P. (2007). Corporate Governance Reforms in Continental Europe. Journal of Economic Perspectives, 21 (1).
Lo stesso Zingales L. (1995) rileva che, nel periodo 1984-1992, il differenziale di prezzo tra azioni ordinarie e azioni di risparmio osservato sul mercato finanziario italiano ammontava mediamente all’80%, contro il 10%
degli Stati Uniti e il 13% del Regno Unito. Linciano (2002) analizza il voting premium con riferimento all’universo di imprese italiane quotate in borsa che hanno emesso azioni di risparmio nel periodo 1989-2000. L’autore registra una diminuzione del differenziale di prezzo, che passa dal 32% al 21%. Le modifiche legislative, introdotte nel 1998, alla disciplina delle società quotate hanno contribuito a ridurre i benefici privati del controllo e dunque ad aumentare il grado di protezione degli azionisti di minoranza. L’entrata in vigore del Tuf ha ridotto la quota del voting premium sulla capitalizzazione di borsa delle società da 5,42 a 6,46 punti percentuali. L’introduzione dell’OPA obbligatoria nel 1992, invece, ha avuto un effetto opposto sulla differenza di valore tra azioni ordinarie e di risparmio, che è cresciuta del 3% nel periodo successivo all’entrata in vigore della legge.