4. Assetto proprietario e strumenti di separazione tra proprietà e controllo
4.4 Separazione tra proprietà e controllo
4.4.3 Società italiane ed il ricorso effettivo ai principali strumenti di separazione tra proprietà e
4.4.3.4 Piramidi societarie
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relazione al capitale sociale. 3 Percentuale di imprese che utilizzano azioni privilegiate in relazione al numero totale di imprese quotate.
4 Percentuale di azioni privilegiate in relazione al capitale sociale.
Fonte: Report on corporate governance of Italian listed companies. Consob (2019)
Le evidenze empiriche, in definita, mostrano che l’uso delle dual class shares è diminuito gradualmente nel corso del tempo e che le imprese che hanno ricorso al voto multiplo rappresentano una piccola parte di quelle presenti sul mercato. Le ragioni di questo fenomeno sono da ricercare nel fatto che gli investitori ritengono che tali strumenti partecipativi arrechino più rischi che benefici. Il principale svantaggio, come detto in precedenza, consiste nel maggiore incentivo all’estrazione di benefici privati da parte dell’azionista di riferimento. Le ricapitalizzazioni tramite emissioni di azioni speciali a voto multiplo, inoltre, hanno l’effetto di ridurre il prezzo delle azioni ordinarie, poiché il mercato sconta i maggiori costi di agenzia e la minore contendibilità dell’impresa. La regola one share-one vote, invece, si applica meglio alle caratteristiche peculiari del sistema italiano, che è sempre più improntato all’investimento estero e alla contendibilità del controllo. Il legislatore italiano, all’interno del decreto-legge del 13 maggio 2020, ha previsto la possibilità per le società già quotate di emettere azioni a voto multiplo, con l’obiettivo di favorire la diffusione di tale tipologia di titoli e di rendere più competitivo l’ordinamento italiano nei confronti delle giurisdizioni straniere, scoraggiando così la quotazione nei paesi esteri che prevedono meccanismi di rafforzamento dei diritti di voto.
145 (Pirelli & C., Telecom Italia, Telecom Italia Media, TIM) e da due patti di sindacato che consentono ai soci aderenti di governare Pirelli e Telecom. La capogruppo, sfruttando il meccanismo della leva azionaria, è grado di controllare grandi aziende come Pirelli e Telecom, tramite una quota esigua del loro capitale, pari rispettivamente allo 0,74% e allo 0,41%.
Figura 14: Struttura proprietaria del gruppo Telecom e strumenti di separazione tra proprietà e controllo utilizzati (2003)
Fonte: Lassini (2003). Il gruppo Camfin – Pirelli – Telecom.
Lo studio condotto dall’ Aidaf (2012) sulle holding dei gruppi italiani a controllo familiare nel periodo 2007-2009, rivela che il 38% delle aziende familiari è controllato da una holding di partecipazioni industriali13. Le variabili che incidono maggiormente sulla diffusione delle holding sono la dimensione del gruppo, (le holding sono più diffuse al crescere della dimensione dei gruppi) il settore di attività (le holding sono più diffuse nei gruppi manifatturieri) e la longevità aziendale, che può determinare una naturale deriva generazionale nell’ambito della compagine familiare proprietaria. Le strutture di controllo dei gruppi familiari italiani, analizzate attraverso i livelli e il numero di società che si frappongono tra la famiglia proprietaria e le società a capo dei vari settori di attività, sono relativamente semplici, visto che tre gruppi su quattro si caratterizzano per la presenza di un unico livello societario nella catena e solo il 3,2% ha tre o più strati societari tra la famiglia e la società caposettore. Il 57,1% delle aziende del campione è controllata dalla famiglia attraverso una holding patrimoniale, mentre è meno diffuso l’utilizzo di quella di tipo finanziaria (17,2%). Le società governate da una capogruppo, inoltre, hanno una redditività maggiore e una più alta capacità di rimborso del debito rispetto alle società controllate direttamente da persone fisiche. Tali risultati sembrano indicare che la costituzione di una holding crea valore nella gestione del business rispetto ai casi in cui il controllo è detenuto da singoli individui. I 49 gruppi industriali di maggiori dimensioni sono nel 57% dei casi monobusiness, mentre sono rari i casi in cui essi operano in tre (6%) o quattro (8%) business. I gruppi di
13 L’holding di partecipazioni industriali è una persona giuridica che controlla una società, in particolare che possiede una percentuale di azioni superiore al 50% in società non quotate o superiore al 25% in società quotate.
146 maggiori dimensioni sono caratterizzati inoltre, come lecito attendersi, da strutture di controllo più articolate, infatti il 14,3% di essi presentano 3 o più livelli societari. Ciò implica da un lato che la leva azionaria assume maggior rilievo nei gruppi di maggiori dimensioni, dall’altro indica che tra i gruppi familiari italiani il ricorso a strutture piramidali non sia molto diffuso. Le holding sono dunque costituite principalmente per controllare le società del gruppo, e non per favorire l’ingresso in nuovi business. L’analisi dei modelli di governo mostra come la maggior parte delle holding di maggiori dimensioni sia guidata da un unico leader al vertice (73,5%), anche se in un cospicuo numero di casi la leadership è affidata a due (16,3%) o più (10,2%) amministratori delegati aventi compiti e responsabilità di simile ampiezza.
Rigamonti (2007), analizzando le imprese quotate nel periodo 1985-2005, rileva che lo strumento più utilizzato per separare la proprietà dal controllo è la piramide societaria, infatti il 96% delle società che ricorrono a mezzi di dissociazione trai i diritti patrimoniali e di voto, prima della quotazione, fanno parte di tale tipologia di struttura. Al momento dell’IPO, invece, più del 70% delle imprese appartiene a un gruppo di imprese, mentre una sola società ha creato una struttura piramidale. Il 33% delle società del campione, a distanza di dieci anni dal processo di listing, continua ancora ad utilizzare questo meccanismo di dissociazione. Bianchi e Bianco (2006) mostrano che nel 1993 il 56% delle imprese quotate apparteneva a un gruppo piramidale e che tale struttura era poco utilizzata tra le private companies. Gli autori riscontrano che quando un’azienda faceva parte di un gruppo, la concentrazione della proprietà era estremamente elevata, con l'azionista di maggioranza che deteneva in media l'84% del capitale totale. I gruppi quotati, all'inizio degli anni '90, avevano una struttura piramidale caratterizzata da un’ampiezza verticale e orizzontale che mirava, da un lato, a massimizzare la leva del controllo (struttura verticale), e dall'altro a gestire, attraverso entità giuridiche separate, l'ampia diversificazione delle attività (struttura orizzontale). La piramide era formata da azionisti dominanti al vertice, da un gran numero di società al fondo, dove erano concentrate gran parte delle attività economiche, e da una catena di holding e sub-holding al centro.
Gli autori analizzano la struttura delle piramidi societarie nel periodo 1990- 2005 e rilevano che i dieci maggiori gruppi privati non finanziari subiscono una drastica riduzione, sia della "larghezza" che della
"profondità", misurate rispettivamente dal numero di public companies appartenenti allo stesso gruppo e dal numero di livelli nella catena di controllo. Il numero di società quotate appartenenti ai primi 10 gruppi è diminuito da 68 nel 1990 a 24 nel 2005 (Tabella 35). La distribuzione delle società in base alla loro posizione nelle catene di controllo si è spostata dai livelli più bassi verso il vertice. La riduzione del numero medio di società quotate per gruppo (da 6,8 a 3,4) è stata più pronunciata per i gruppi più grandi (se i dati sono ponderati per capitalizzazione la riduzione è da 13,9 a 5,7). La privatizzazione di alcune grandi società, negli anni precedenti il 2001, realizzata mediante la dispersione della partecipazione di controllo sul mercato, ha creato l'opportunità di assumere il controllo di tali società da parte di strutture piramidali già quotate, che, in questo modo, hanno allungato la loro compagine. La profondità dei gruppi, tra il 2001 e il 2005, è diminuita più che nel precedente periodo, mentre la loro larghezza ha continuato a ridursi ma con un ritmo rallentato.
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Tabella 23: Posizione delle società quotate nelle strutture delle dieci maggiori imprese private non finanziarie. 1 Numero di livelli che separano le società dalla capogruppo. 2Somma della capitalizzazione delle aziende per ogni livello in percentuale della capitalizzazione totale dei dieci gruppi considerati
Fonte: Bianchi M. e Bianco M. (2006). Italian corporate governance in the last 15 years: from pyramids to coalitions?.
L'evoluzione dei dati sopra riportati riflette i diversi fattori economici che hanno spinto la struttura del gruppo elencato verso attività più concentrate e semplificate. I fattori che, secondo gli studiosi, hanno determinato questi cambiamenti sono stati, in un primo periodo, la riduzione della diversificazione delle attività economiche svolte, e in un secondo momento, l'apertura del mercato finanziario italiano agli investitori istituzionali internazionali, che ha causato una pressione competitiva tale da scoraggiare l’utilizzo di questo strumento di separazione tra proprietà e controllo. La graduale diminuzione delle strutture piramidali viene confermata anche da Intrisano (2009), il quale valuta i cambiamenti di questa struttura negli anni 1999-2007.
L’analisi mostra un calo del numero gruppi piramidali, cha passano da un valore iniziale di 29 a un valore finale di 19 (Tabella 36). Questa contrazione coinvolge anche la quantità di aziende facenti parte del gruppo (da 90 nel 1999 a 49 nel 2007) e, di conseguenza, la loro incidenza sulla capitalizzazione di mercato, che si porta dal 70% al 39%. La flessione maggiore avviene tra il 2002 e il 2004, poiché la capitalizzazione cala di venti punti percentuali (da 68% a 47%). Ciò è dovuto al fatto che, durante questo intervallo di tempo, le società a più alta capitalizzazione hanno semplificato il proprio assetto proprietario, riducendo in maniera sostanziale il grado di separazione fra diritti patrimoniali e di voto. Il numero dei gruppi piramidali, nella fase 2003-2007, si mantiene pressoché costante, a differenza del loro peso in Borsa, che tra il 2006 e il 2007 diminuisce di sei punti percentuali, attestandosi al 39%.
Tabella 24: Andamento storico (1999-2007) dei gruppi piramidali nelle società quotate italiane
Fonte: Intrisano (2009). Proprietà e controllo: dual class, patti parasociali e gruppi piramidali.
148 Le evidenze empiriche appena analizzate, in definitiva, mettono in luce il fatto che le strutture piramidali si siano ridimensionate nel corso del tempo, in termini di numero di livelli e società coinvolte. La diminuzione di questo fenomeno non sembra essere tuttavia dovuta ad un cambiamento negli aspetti normativi, ma più che altro a un mutamento di natura competitiva del panorama economico italiano secondo l’interpretazione di Bianchi e Bianco.
Alvaro et al. (2014) rilevano questo andamento anche negli anni successivi, anche se la situazione raffigurata in Italia nel 2012 documentava comunque la presenza di gruppi societari all’interno dei quali era possibile trovare le imprese di maggior dimensione del mercato borsistico, per una capitalizzazione complessiva superiore addirittura alla metà del totale di borsa. Il report redatto dalla Consob (2019) conferma il trend decrescente che ha caratterizzato questo tipo di assetto proprietario, infatti continua a ridursi la percentuale di società italiane quotate appartenenti a gruppi piramidali o alla parte verticale di un gruppo misto, che risulta pari, a fine 2018, al 15,5% del listino (Tabella 37). Il calo è comprovato anche dal numero di imprese italiane quotate che non fa parte di nessun gruppo societario, che passa dal 56% nel 1998 all'81% nel 2018, e dalla percentuale di imprese appartenenti a una piramide di imprese, il cui valore si porta dal 36.1% di inizio periodo al 12.1% di fine periodo. La percentuale di imprese appartenenti alla parte verticale di un gruppo misto è del 3,5% (4,3% nel 2017) e solo il 2,2% delle aziende appartiene ad un gruppo orizzontale. L’analisi del grado di separazione tra proprietà e controllo, misurato confrontando i diritti di voto e i flussi di cassa detenuti dal principale azionista, rivela una diminuzione sia della leva finanziaria che della differenza tra diritti di voto e flussi di cassa. Il leverage, alla fine del 2018, si attesta a 1.6 (1.9 nel 2010 e 3.5 nel 1998), mentre il voting premium è pari al 12,7% (16,8% nel 2010 e 24,2% nel 1998). Il numero medio di imprese parte di gruppi verticali, nel periodo 1998-2016, è passato da 3.3 a 2.8, la leva da 3.5 a 1.7 e il wedge dal 24.2% al 13.6%.
Tabella 25: Andamento storico (1998-2018) dei gruppi piramidali e delle imprese indipendenti nelle società quotate italiane
Fonte: Report on corporate governance of Italian listed companies. Consob (2019)
Il fenomeno delle strutture piramidali, in definitiva, ha subito un declino costante, dalle prime misurazioni degli anni 90’ fino ai giorni nostri. La diminuzione dei benefici privati del controllo a cui si è assistito e gli interventi legislativi hanno contribuito a rendere meno conveniente l’utilizzo di tali strutture. Le holding a capo dei gruppi di maggiori dimensioni, infatti, hanno gradualmente ridotto le attività svolte. Questi assetti proprietari hanno più che dimezzato i ricavi e i dipendenti e hanno accorciato la catena di controllo, con l’obiettivo di ridurne i costi.
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