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1. Go public or Stay private

1.6 Sviluppo del sistema finanziario italiano

1.6.4 Evoluzione delle offerte pubbliche iniziali

1.6.4.1 Prime fasi storiche

Borsa Italiana ha realizzato molti sforzi per attrarre le società alla quotazione, come i benefici fiscali concessi dalla legge Tremonti e la riforma della doppia imposta sul reddito, soprattutto per favorire il listing delle società industriali di piccole e medie dimensioni. Negli anni ’90 l'avanzamento del programma di privatizzazione del governo italiano ha contribuito al flusso di nuove IPO (Figura 5). Grazie anche allo slancio favorevole degli indici di borsa, culminato nel 1999 e nei primi mesi del 2000, il mercato azionario ha registrato un aumento del numero di IPO (42 nel 2000). Dopo lo scoppio della bolla della nuova economia e le drammatiche crisi nell'ambiente internazionale, il numero di IPO è costantemente rallentato in Italia, Europa, Stati Uniti e ha ripreso vigore solo partire dal 2005, sebbene la quantità di IPO non sia ancora paragonabile al numero più consistente di imprese che diventano pubbliche negli Stati Uniti e nel Regno Unito. In questo periodo l'ultima IPO sul Nuovo Mercato è stata registrata nel 2001, mentre il mercato Expandi ne ha ospitato solo 5 tra il 1994 e il 2004. Le società quotate a seguito di un’Offerta Pubblica in Italia, dal 1990 al 2004, rappresentavano oltre il 50% delle imprese quotate in borsa in quel frangente di tempo.

Figura 5: IPO realizzate in Italia dal 1985 al 2004, per anno di quotazione

Fonte: Dalle Vedove et al. (2005). The Evolution of Initial Public Offerings in Italy

Durante questo periodo si possono distinguere cinque diverse fasi: dal 1985 al 1988, molte aziende, sfruttando lo slancio rialzista del mercato, hanno intrapreso la via del go public, con un boom di 32 nel 1986, la maggior parte delle quali, tuttavia, erano spin-off di società già quotate in borsa. La tabella 4, focalizzandosi sul settore commerciale in cui operano le società, utilizzando la classificazione adottata da Borsa Italiana, mostra che le categorie più rappresentate sono le Holding, le banche e le società di costruzione. Il mercato ha vissuto una fase fredda per le nuove quotazioni dal 1989 al 1994, poiché in sei anni solo 19 IPO sono state realizzate in Italia, in prevalenza effettuate da imprese finanziarie. Il periodo tra il 1995 e il 1997 è stato caratterizzato dal fatto che molte piccole e medie imprese industriali si sono quotate, sfruttando lo slancio positivo sul mercato e i benefici fiscali concessi dalla legge Tremonti. Nessuna holding (società senza attività operative rilevanti diverse dalle azioni di altre società quotate) è diventata pubblica in questo lasso di tempo.

37 Gli anni dal 1998 al 2000 sono stato influenzati dalla bolla mondiale delle IPO tecnologiche, con un livello record in Italia di 42 nel 2000. Le aziende delle categorie servizi (media, software, tecnologia dell'informazione) sono state le più rappresentate. Questa fase è stata anche favorita dall'introduzione di incentivi fiscali per gli aumenti di capitale (imposta sul doppio reddito), in particolare per le Offerte Pubbliche (Super DIT). Tra il 2001 e il 2004 si è verificato un nuovo calo del numero di IPO, durante il quale però un gran numero di imprese che erogano servizi pubblici ha scelto la via della quotazione. Il settore più attivo, durante tutto il ventennio preso in considerazione, è stato quello industriale, con 124 imprese quotate, contro le 47 e 71 del comparto finanziario e dei servizi.

Tabella 4: IPO realizzate in Italia dal 1985 al 2004, per settore di business (classificazione adottata da Borsa Italiana)

Fonte: Dalle Vedove et al. (2005). The Evolution of Initial Public Offerings in Italy

Dalle Vedove et al. (2005) analizzano tutte le Offerte Pubbliche Iniziali condotte da imprese quotatesi sulla Borsa Italiana tra il 1985 e il 2004, mostrando l’evoluzione delle loro caratteristiche nel corso dei due decenni.

Le statistiche su tale campione (Tabella 5) rivelano che dal 1985 al 1988 meno del 50% delle società ha raccolto nuovo capitale tramite OPS o OPVS; nel 1989-1994 questa percentuale aumenta fino al 68% (mentre le IPO con vendite secondarie diminuiscono dal 64% al 58%). Nell’intervallo di tempo tra il 1995 e il 2004, la maggior parte delle public companies ha effettuato vendite sia primarie che secondarie, con un incremento, rispetto alla fase precedente, di quelle che hanno emesso solo nuove azioni. Le ECO (imprese controllate da un’azienda o un gruppo di aziende già quotate) sono state frequenti negli anni 1985-1988, infatti molte holding hanno approfittato dello slancio del mercato rialzista per lo spin-off delle proprie filiali. Le società indipendenti sono invece predominanti dal 1995, visto che le ECO negli anni 1995-1997 hanno lanciato solo il 2,9% delle offerte realizzate in questo frangente, mentre le IPO di privatizzazione (PIPO) rappresentano oltre il 15% delle offerte nella fase temporale presa in considerazione.

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Tabella 5: Statistiche riguardanti la tipologia di IPO effettuate nel mercato azionario italiano nel periodo 1985-2004

Fonte: Dalle Vedove et al. (2005). The Evolution of Initial Public Offerings in Italy

Durante gli anni '80 le società di privatizzazione erano imprese industriali direttamente o indirettamente controllate dal governo, mentre negli anni '90 le banche e le utility controllate da altri enti pubblici (come le amministrazioni locali) hanno caratterizzato il flusso di IPO. Quasi tutte queste imprese, durante la quotazione e negli anni seguenti, hanno continuato a essere controllate da soggetti pubblici. Le aziende che diventano pubbliche nell'Europa continentale, tradizionalmente, sono grandi imprese consolidate, che non hanno bisogno di finanziare la crescita futura (Pagano, Panetta e Zingales, 1998). Questi ultimi sottolineano che la tipica matricola di borsa è molto più grande e antica in Italia che negli Stati Uniti. Una spiegazione data dagli studiosi è che la mancanza di protezione dei diritti delle minoranze rende più difficile per le società giovani e piccole catturare la fiducia degli investitori.

Il mercato delle IPO italiane era caratterizzato dal fatto che le imprese che diventavano pubbliche erano mature e non avevano bisogno di finanziare la loro crescita futura. L'età media delle imprese del campione è pari a 41 anni (mediana 28 anni), mentre se si escludono le ECO e le PIPO, tale valore è pari a 32 anni (mediana 24 anni). Negli anni 1985-1988 la media era pari a 48, registrando una significativa diminuzione fino al 2004 a 32, denotando che le imprese che si quotano sono sempre più giovani. I fattori alla base di questa decisione, per una società indipendente, sono diversi da quelli di una ECO. Le dimensioni non contano per quest’ultime, visto che i costi fissi di quotazione sono parzialmente ridotti, essendo già a carico della società madre. Le piccole aziende indipendenti, inoltre, hanno difficoltà a farsi conoscere dal pubblico degli investitori, mentre le consociate possono sfruttare la reputazione della propria holding. Myers e Majiluf (1984), a tal proposito, osservano che le imprese non appartenenti a gruppi industriali, hanno maggiori vincoli finanziari e sono più colpite da asimmetrie informative.

L'avvento dei Nuovi mercati in Europa (in Italia il Nuovo Mercato), negli anni 1997- 2000, ha contribuito a una riduzione dell'età e delle dimensioni medie delle società quotate. La Figura 6 confronta l'età media delle aziende che hanno effettuato un IPO in Italia, negli Stati Uniti e in altri paesi europei dal 1985 al 2004. I dati confermano che l'età media in Italia e in Europa, rispetto a quella delle IPO statunitensi, è più alta, ma il divario è diminuito nel tempo (in Italia nella fase 1998-2000, in Europa già nel periodo precedente). Nel periodo 2001-2004 il valore medio è ulteriormente diminuito in Italia, mentre è leggermente aumentato in Europa e negli Stati Uniti. Dalla figura emerge un netto calo della mediana italiana, che passa da 40 (1995-1997) a 16 (2001-2004).

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Figura 6: Età media delle imprese che hanno realizzato un’IPO in Italia, USA e in Europa (Belgio, Francia, Germania, Olanda e UK), per periodo di coorte

Fonte: Database di Jay Ritter per gli Stati Uniti e database di Giudici e Roosenboom per l’Europa

Rondi & Carpenter (2004), confrontando un panel di 1700 imprese italiane e statunitensi durante il periodo 1977-1999, rilevano caratteristiche simili per le public companies. Gli autori riscontrano che la dimensione delle aziende che diventano pubbliche in Italia tende ad essere molto più grande rispetto a quella delle IPO negli Stati Uniti. Queste ultime tendono a crescere rapidamente, in termini di attività e capitale, e i proventi raccolti a seguito dell'IPO sono ingenti rispetto alle dimensioni dell'impresa. Le società italiane, invece, non crescono rapidamente dopo la loro quotazione, che non genera una grande quantità di capitale finanziario per l'impresa. Le aziende che si quotano in Italia sono più vecchie e più grandi delle aziende pubbliche negli Stati Uniti. L’obiettivo principale per la tipica società americana è ottenere fondi per aumentare rapidamente la crescita dell'azienda, mentre quelle italiane sono meno motivate dai progetti di crescita. Gli studiosi, a conferma dei risultanti precedenti, riscontrano che le aziende italiane diventate pubbliche negli anni '90, sono più piccole rispetto a quelle degli anni '80. La dimensione dell'IPO era maggiore rispetto a quella dell'impresa e quest’ultima manteneva una proporzione maggiore dei proventi derivanti da tale operazione.

La Figura 7 riporta la percentuale di imprese con profitto nullo (o negativo) nell'anno precedente l'IPO. Dal 1985 al 1997, solo società redditizie si sono quotate in Italia, dal momento che erano ammesse alla negoziazione solo quelle con una traccia triennale di utili positivi. La stessa tendenza, durante tale periodo, ha caratterizzato anche le altre principali borse europee, mentre negli Stati Uniti una percentuale crescente di aziende (30% nel 1995-1997) ha realizzato la propria IPO senza profitti. Durante il boom tecnologico, solo il 31% delle IPO statunitensi ha coinvolto società già redditizie, il cui valore è tornato al 51% nel 2001-2004, mentre in Europa e in Italia, si registra una minore probabilità che una società non redditizia si unisca alla borsa. Da un lato, accettando la quotazione di società non redditizie, un mercato azionario può offrire alle società in crescita l'opportunità di finanziare i loro investimenti futuri, ma dall'altro i rischi percepiti dagli investitori possono aumentare. Il lavoro di Dalle Vedove et al. (2005), in sostanza, suggerisce che nel corso degli anni 1985-2004 le caratteristiche delle imprese italiane che sono diventate public companies sono cambiate, poiché società sempre più giovani e meno redditizie hanno intrapreso questa scelta.

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Figura 7: Frazione di imprese che hanno registrato profitti nulli o negativi durante l’anno precedente alla quotazione, in Italia, USA e in Europa (Belgio, Francia, Germania, Olanda e UK), per periodo di coorte

Fonte: Database di Jay Ritter per gli Stati Uniti e database di Giudici e Roosenboom per l’Europa

Uno degli aspetti più innovativi del mercato finanziario europeo di questo periodo è stata la creazione e lo sviluppo dei Mercati Nuovi, che si sono concentrati su società innovative in settori ad alta crescita, che hanno avuto un notevole successo in termini di numero di IPO e fondi raccolti: oltre 900 imprese si sono quotate dal 1996 al 2001 e il totale dei fondi raccolti è stato di circa 32 miliardi di euro (Susi, 2002). Questi nuovi mercati azionari (Nuovo Mercato in Italia) sono stati creati con caratteristiche e obiettivi simili a quelli del Nasdaq statunitense, ovvero fornire fonti di finanziamento alle aziende nelle loro prime fasi di sviluppo. Gli investimenti e i fondi raccolti tramite i Venture Capitalist, per quanto riguarda l'Italia, la Germania e la Francia, sono stati accelerati dalla creazione di questo tipo di listini. La tabella 6 mostra alcune statistiche relative alle IPO in questi due mercati, nel Nouveau Marché e nel Nasdaq: in quelli europei quasi 600 società sono diventate pubbliche tra l'inizio del 1996 e la fine del 2001, con una capitalizzazione di mercato che conta, alla fine del 2001, quasi 80 miliardi di euro, mentre la percentuale delle IPO che deriva da un aumento di capitale è superiore all'80%. La borsa con le imprese più antiche è il Nuovo Mercato, nel quale le società hanno un'età media quasi doppia rispetto a quelle del Nouveau Marché.

Tabella 6: Statistiche di riepilogo dei principali nuovi mercati europei e del Nasdaq (2006)

Fonte: Susi (2002). Venture capital, stock exchanges for high-growth firms and business creation: a study of ipos on the neuer markt and the nuovo mercato.

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