5. Analisi empirica dei dati
5.2 Ultimate Shareholder e quota di controllo
5.2.3 Evoluzione della proprietà e del controllo dopo l’IPO
La decisione di quotarsi, per un’impresa, è influenzata da considerazioni di controllo societario, poiché l'IPO può rappresentare un primo passo nella definizione dell'assetto proprietario. Zingales (1995) afferma che se l'obiettivo dei proprietari iniziali è quello di vendere la società, la cessione dell’impresa dovrebbe procedere attraverso varie fasi, con l'IPO che rappresenta il primo passo, con la conseguenza che si dovrebbe osservare un elevato avvicendamento nel controllo di queste società. Gli elevati benefici privati, tuttavia, possono motivare gli ultimate shareholders a mantenere il controllo anche dopo la quotazione, pertanto i principali azionisti tendono, nei casi in cui esso è prezioso, a mantenere la maggior parte dei diritti di voto anche diversi anni dopo il processo di listing (Bebchuk, 1999).
0 50 100 150 200 250 300 350 400 450
Campione Famiglia Venture Capitalist
Stato Intermediari finanziari
Società straniera
Lunghezza media (giorni)
175 La tabella 47 mostra la dinamica del controllo nella fase successiva all’IPO, in particolare a distanza di uno, tre e cinque anni dalla quotazione. I dati raccolti rivelano che nel 75.66% delle imprese l’ultimate shareholder mantiene la quota più alta dei diritti di voto nella società anche a distanza di cinque anni dal processo di listing. Un mutamento nella struttura proprietaria si verifica solo nel 24.34% (37) delle aziende facenti parte del campione, tra le quali vi sono cinque società in cui l’ultimate shareholder varia due volte. Ciò indica, in linea con le evidenze empiriche descritte nel quarto capitolo [Celia (2008), Scribano (2015)], che le partecipazioni sociali rimangono stabili dopo l’IPO e che l’azionista principale conserva la maggioranza del capitale votante anche cinque anni dopo la quotazione. Il 7.24% delle società analizzate va incontro al fallimento o alla liquidazione, una delle quali cambia l’azionista principale, ma è presente un’impresa che subisce il default prima del primo anno di osservazione, per cui non è stato possibile esaminare la sua evoluzione proprietaria. I cambiamenti del controllo, in 10 casi, avvengono a un anno dall’IPO, mentre la maggior parte di essi (40.54%) si verificano a distanza di tre anni dalla quotazione e infine il 32.43% ha luogo entro cinque anni dal processo di listing.
Tabella 48: Dinamica del controllo. La prima sezione mostra la distribuzione delle imprese che cambiano l’ultimate shareholder e la distribuzione dei cambiamenti negli anni successivi all’IPO; la seconda sezione fa vedere i cambiamenti del controllo per tipologia di ultimate shareholder, mentre la terza mostra le motivazioni dietro il cambiamento del controllo
Dinamica del controllo
Nessun cambiamento 115 (75.66%)
Cambiamento 37 (24.34%)
Fallimento 11 (7.24%)
Periodo del cambiamento
IPO+1 10 (27.03%)
IPO+3 15 (40.54%)
IPO+5 12 (32.43%)
Cambiamenti del controllo per tipologia di ultimate shareholder
in relazione a tutti i cambiamenti in relazione al tipo di ultimate shareholder
Famiglia 67.57% 20.66%
Venture capitalist 10.81% 57.14%
Stato 2.7% 8.33%
Intermediari finanziari 10.81% 66.67%
Società straniera 8.1% 50%
Ragioni del cambiamento
Disinvestimento OPA Fusione
Campione 20 (54.05%) 15 (40.54%) 2 (5.41%)
Fonte: Consob, Aida e Thomson Reuters Eikon, elaborazione personale.
Lo Stato è la tipologia di ultimate shareholder in cui si verificano il minor numero di cambiamenti, infatti soltanto un’azienda che rappresenta l’8.33% delle società controllate pre-IPO da istituzioni governative varia il proprio azionista principale. Questo dato è condizionato dalla presenza, nello statuto delle aziende in questione, di clausole che impediscono agli azionisti che entrano a far parte della compagine sociale di detenere una quota del capitale superiore al 5%, o che obbligano gli enti pubblici a mantenere una partecipazione superiore al 50%. Il 67.57% dei cambiamenti coinvolge le family companies, mentre le società che presentano un turnover più alto nel controllo sono quelle il cui azionista di riferimento è un venture capitalist, che variano il proprio assetto societario nel 57.14% dei casi, e un intermediario finanziario (66.67%). Ciò conferma il fatto che l’obiettivo primario di queste classi di soggetti è massimizzare il
176 rendimento dell’investimento, senza curarsi della gestione operativa e sociale dell’impresa. L’8.15% delle variazioni della struttura proprietaria del campione riguarda invece le società straniere, che rinunciano al controllo nella metà dei casi. Le aziende a controllo familiare, al contrario, non mantengono la quota più alta del capitale votante solo nel 20.66% dei casi. La tabella 47, inoltre, mette in evidenzia che il motivo principale che porta a una variazione dell’assetto proprietario è un disinvestimento da parte del precedente ultimate shareholder, che fa riferimento ad esempio alla cessione della partecipazione per difficoltà di natura finanziaria o alla riduzione della stessa per motivi strategici. Il 40.54% dei cambiamenti, invece, è dovuto a offerte pubbliche d’acquisto o di scambio lanciate da quei soggetti che, in seguito a tali operazioni, diventano i nuovi azionisti di controllo e che decidono per il delisting della società dal mercato di appartenenza. Questa tipologia di offerta comprende anche tre operazioni di Reverse takeover, che consiste nell’acquisizione di una società privata da parte di una società pubblica esistente di dimensioni inferiori, in modo che la società acquisita possa aggirare il lungo e complesso processo del going public19, mentre il restante 5.41% dei cambiamenti avviene in seguito a fusioni per incorporazioni in società più grandi.
L’analisi sull’evoluzione dei diritti di voto viene effettuata calcolando la quota media posseduta dagli ultimate shareholders delle imprese ancora quotate nel periodo considerato, pertanto il valor medio nei tre intervalli di tempo è valutato su tre diversi panel di aziende. Le quote medie sono calcolate tenendo conto anche dei cambiamenti nella tipologia di azionista principale. I risultati, inoltre, sono influenzati anche dal fatto che l’informazione sulla struttura proprietaria delle imprese che si sono quotate nel 2016 è disponibile fino a tre anni dall’IPO, mentre per quelle che hanno scelto la via del go public nel 2017 si è potuta osservare l’evoluzione solo a distanza di un anno. La tabella 48 mostra che le partecipazioni azionarie sono piuttosto stabili dopo l'IPO e, cosa più importante, che l'azionista finale mantiene la maggioranza dei diritti di voto.
L’ultimate shareholder non ha ridotto, anche cinque anni dopo la quotazione, la sua partecipazione al di sotto del livello di controllo di diritto, infatti il valor medio passa dal 54.05% a IPO+1 al 50.32% a IPO+5.
Tabella 49: Evoluzione dei diritti di voto negli anni successivi all’IPO in base alla tipologia di ultimate shareholder
Evoluzione dei diritti di voto
Panel A - Imprese ancora quotate a IPO+1
Panel B - Imprese ancora quotate a IPO+3
Panel C - Imprese ancora quotate a IPO+5
Campione 54.05% 52.93% 50.32%
Famiglia 56.88% 55.6% 53.03%
Venture capitalist 39.93% 21.23% 19.02%
Stato 52.55% 55.02% 56.2%
Intermediari finanziari 38.25% 45.51% 60.19% (2 osservazioni)
Società straniera 48.26% 59.89% (2 osservazioni) 36.34% (1 osservazione)
Fonte: Consob, Aida e Thomson Reuters Eikon, elaborazione personale.
Il confronto con la fase pre-IPO evidenzia un forte decremento della quota media di partecipazione posseduta dalle family companies, che subisce una riduzione del 29.28% nell’arco di cinque anni dalla quotazione. Ciò è dovuto al fatto che esse, nella maggior parte dei casi, hanno il controllo della società emittente nella fase precedente alla quotazione, pertanto la loro quota viene diluita durante il processo di listing con aumenti di capitale o tramite la vendita delle partecipazioni. Le tipologie di ultimate shareholders che mantengono la maggioranza dei diritti di voto nei tre periodi considerati sono la famiglia, il cui valor medio si riduce dal 56.88% al 53.03%, e lo stato, la cui quota media, invece, aumenta dal 52.55% al 56.2%. I Venture capitalist sono l’unica categoria di azionista principale che diluisce gradualmente la sua
19 Le tre società che realizzano l’operazione di Reverse takeover sono Blue Note, che acquisendo Casta Diva Group Srl dà vita a Casta Diva Group Spa, Costamp group, che acquisice Costamp Srl e Pms con Visibilia Editore.
177 partecipazione nella società, che decresce del 18.7% nell’intervallo IPO+1 e IPO+3 e del 2.21% tra IPO+3 e IPO+5, a riprova del fatto che il processo di offerta pubblica per loro è un modo per disinvestire dall’impresa.
Gli intermediari finanziari manifestano, al contrario una netta crescita della partecipazione media posseduta, che arriva al 60.19%, ma tale dato è condizionato dalle poche osservazioni disponibili. Le società straniere hanno, invece, un andamento discontinuo, poiché la media dei diritti di voto medi detenuti cresce dal 48.26%
al 59.89% tra il primo e il terzo anno di quotazione, mentre diminuisce del 23.55% nei successivi due anni, anche se questo valore deriva da un’unica impresa. L’analisi, in sostanza, mette in evidenza che la struttura proprietaria delle società italiane quotate è molto concentrata e che il modello di controllo prevalente è quello familiare e individuale. L’evoluzione dei diritti di voto, infine, rivela la riluttanza a cedere il controllo dell’impresa da parte degli azionisti principali, che mantengono, anche a distanza di cinque anni dall’IPO, il controllo di diritto sull’azienda, non disperdendo, di conseguenza, la struttura proprietarie delle stesse.