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3. Underpricing delle IPO italiane

3.3 IPO Underpricing nel caso italiano: evidenze empiriche e Long Run Underperformance

3.3.5 Long-Run Underperformance

Uno degli aspetti delle IPO che negli ultimi anni ha attirato grande interesse da parte degli accademici è l'andamento del prezzo delle azioni negli anni successivi all'offerta. La teoria dei mercati efficienti sostiene che una volta che una società è quotata in borsa, il prezzo suoi dei titoli nell’aftermarket riflette adeguatamente il loro valore intrinseco. La long-run underperformance è un’anomalia connessa all’andamento delle azioni nel lungo periodo e consiste nel fatto che le imprese neoquotate fanno registrare rendimenti di medio-lungo termine inferiori rispetto a quelli dell’indice di mercato di riferimento.

L'investimento in un portafoglio di IPO shares è una strategia dominata dall'investimento in un portafoglio che replica l'indice di mercato. L'ipotesi della divergenza di opinioni di Miller (1977) prevede che nel breve periodo il prezzo di mercato delle IPO sia determinato dagli investitori ottimisti, mentre a lungo termine, dato che l'incertezza viene ridotta e la diversità di opinioni diminuisce, le valutazioni convergono verso la valutazione media, determinando una riduzione del prezzo. L’euforia degli investitori al momento del collocamento determina una sovrastima delle prospettive reddituali dei titoli collocati. Essa può essere generata o dall’eccesso di domanda, o dalla presenza di asimmetrie informative tra i diversi attori del mercato, oppure dalla capacità dell’impresa di sfruttare le windows of opportunity, ovvero quei momenti in cui l’andamento del mercato è favorevole (rialzista). Le previsioni di guadagno distorte da parte degli analisti possono alimentare l'ottimismo e ritardare la correzione dei prezzi a lungo termine. Ritter e Welch (2002) attribuiscono le scarse performance dei titoli alla contabilità ottimista mostrata dell'azienda nelle sue prime fasi di vita. Essa cerca di avere un prospetto informativo di qualità, in modo tale da dare un’ottima immagine di sé durante lo svolgimento dell’offerta.

Ritter (1991) ha introdotto due misure di performance di lungo periodo, che sono state poi riproposte negli studi successivi: i rendimenti medi cumulati corretti, calcolati con un ribilanciamento mensile del portafoglio (Cumulative Average Adjusted Returns - CAR) e i rendimenti derivanti da una strategia di acquisto e detenzione del titolo per tre anni (Buy-and-Hold Returns – BHR). I risultati dell’indagine, condotta su un campione di 1.526 imprese quotatesi negli Stati Uniti tra il 1975 e il 1984, rivelano che tutti gli aggiustamenti per i diversi indici di riferimento conducono a performance negative nel periodo post-emissione. La procedura di correzione dei rendimenti per l’indice di mercato assume come ipotesi semplificativa che il rischio sistematico delle IPO sia pari a quello dell’indice, pertanto, al beta medio delle offerte è attribuito un valore pari ad uno. L’autore esamina le relazioni esistenti tra il fenomeno della long run-underperformance e alcune delle caratteristiche connesse alle imprese, come ad esempio il settore industriale, l'età della società al momento della quotazione e l'anno in cui avviene l'offerta. L’analisi mostra che sono le imprese più giovani e che si quotano in periodi caratterizzati da numerose IPO a mostrare le peggiori performance nel lungo periodo. I risultati dell’indagine si coniugano con un quadro nel quale non è il prezzo d’offerta ad essere deliberatamente fissato ad un livello inferiore rispetto al suo reale valore, ma è il prezzo che ha origine dalle prime contrattazioni sul mercato secondario ad essere troppo elevato. Recenti studi hanno mostrato che la long-run underperformance nel mercato delle IPO italiane è inferiore rispetto a quella registrata sui mercati anglosassoni. Fabrizio & Samà (2001) analizzano le performance delle 50 IPO realizzate in Italia negli anni 1995-1998. Tale periodo è stato contrassegnato da una ripresa del ricorso al capitale di rischio da parte delle imprese, anche sulla spinta degli incentivi fiscali alla quotazione. Questo intervallo di tempo è inoltre caratterizzato dall’ apertura alla concorrenza internazionale del mercato dei collocamenti e da una maggiore attenzione degli investitori istituzionali agli investimenti azionari (sotto la spinta generata dalla diminuzione dei tassi di interesse dei Titoli di Stato).

Gli autori misurano la long-run performance attraverso le metodologie Buy and Hold e CAR, realizzando un confronto tra i rendimenti di alcuni portafogli, che simulano l’investimento fatto da un fondo specializzato in IPO. Questo tipo di strategia implica che, invece di mantenere “passivamente” i titoli in portafoglio nella quantità inizialmente acquistata, vengano vendute le azioni con le performance migliori (ovvero quelli con una dinamica positiva dei rendimenti anomali) e che si continui ad acquistare quelli con performance

112 peggiori. Queste strategie, replicabili nella realtà senza eccessivi costi, portano a performance di lungo periodo migliori di quelle ottenute attraverso le tradizionali metodologie CAR e BHR, che si prestano alla critica di essere difficilmente replicabili nella realtà. Gli extra-rendimenti medi cumulati sono calcolati tenendo conto sia di indici dimensionali (MIB, MIB 30, MIDEX e SCI), sia di indici settoriali. Tutti gli extra-rendimenti, a prescindere dall’indice dimensionale considerato, sono negativi a partire dal primo mese (Figura 22). L’underperformance peggiore è quella del CAR calcolato rispetto al MIDEX (-114.58%), mentre quella migliore è stata registrata per il MIB 30 (-70.21%). L’analisi condotta rivela un’underperformance delle IPO rispetto all’andamento del mercato (CAR corretto per il MIB), tale da qualificare l’investimento in IPO come meno redditizio rispetto a quello sull’intero listino. Tale studio, tuttavia, risente di alcuni elementi distorsivi introdotti dalla disomogeneità esistente tra i titoli costituenti il campione e il MIB. I titoli appartenenti a tali gruppi, infatti, differiscono per dimensione (capitalizzazione) e per composizione settoriale. La via attraverso la quale è possibile rimuovere tali bias è quella della costruzione di un indice sintetico, costituito da titoli di pari dimensione rispetto a quelli compresi nel paniere di offerte e operanti nei medesimi settori merceologici. Tale approccio, però, risulta difficile da realizzare nel caso delle IPO italiane, in quanto la ristrettezza dei listini non permette di poter selezionare insiemi di aziende adeguate. I valori dei CAR, a conferma dell’influenza dell’aspetto dimensionale nella determinazione dell’underperformance, sono migliori per i titoli di più elevate dimensioni, che presentano una capitalizzazione superiore a 300 miliardi di lire. Le underpriced IPO del campione, inoltre, presentano rendimenti medi cumulati migliori di quelli delle overpriced IPO. Tali risultati sono in contrasto con quelli di Ritter (2001), secondo il quale le imprese che concedono uno sconto di quotazione maggiore, sono caratterizzate da una performance peggiore nel lungo periodo. Le evidenze sono invece coerenti con le previsioni della teoria segnaletica, secondo la quale le imprese migliori, ovvero quelle che segnalano la propria qualità attraverso un prezzo di emissione scontato, sono successivamente riconosciute come tali dal mercato.

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Figura 12: Rendimenti medi cumulati aggiustati per gli indici di mercato delle IPO italiane quotate nel periodo 1995-1998. Confronto tra gli indici SCI, MIB30, MIB e MIDEX

Fonte: Fabrizio & Samà (2001). Gli IPO sul mercato italiano nel periodo 1995-1998: una valutazione dell’Underpricing e della Long-run Underperformance.

I rendimenti delle IPO aggiustati rispetto agli indici di mercato, calcolati secondo la metodologia Buy-and-Hold (BHR), mostrano anch’essi un andamento negativo. I valori oscillano intorno al –7%, anche se tra il secondo e il quinto mese del 1995 si assiste ad un modesto recupero. Gli studiosi rilevano che al crescere del tempo si registra una diminuzione del numero di titoli costituenti il paniere su cui viene calcolato il BHR, con un progressivo aumento della loro sensibilità alle variazioni dei rendimenti delle singole offerte. La dimensione delle imprese, anche in questo caso, costituisce una variabile in grado di influire in modo determinante sul loro andamento. La metodologia BHR, così come quella CAR, presenta degli elementi tali da renderla difficilmente replicabile in un contesto reale. Questa strategia suppone che tutti gli eventi IPO siano concentrati in un istante iniziale fittizio, a partire dal quale sono calcolati tutti i rendimenti. Un modo per superare questo limite è considerare gli eventi quotazione nel momento effettivo in cui si verificano, costruendo un paniere nel quale i titoli entrano al momento dell’inizio dell’offerta. Tale strategia, definita

“Real Date BHR”, consente di ottenere risultati più significativi e meno sensibili alle variazioni indotte dall’andamento dei singoli titoli. Fabrizio & Samà (2001) elaborano due metodologie che si basano su un differente tipo di ribilanciamento del portafoglio. La ricchezza disponibile, nella prima, è distribuita in modo uniforme tra le azioni che al momento dell’immissione compongono il portafoglio (strategia Equally Weighted). Nella seconda, ad ogni evento, si calcolano i pesi relativi dei titoli che costituiscono il portafoglio ed in base ad essi si ripartisce la ricchezza (rappresentata dal valore del portafoglio nell’istante immediatamente precedente a quello in cui si è verificato l’evento). I pesi sono dati dal rapporto tra le singole capitalizzazioni dei titoli presenti nel paniere e la capitalizzazione totale dello stesso (strategia Capital Weighted). Il limite di questo approccio è rappresentato dalla mancanza di diversificazione del portafoglio nella fase iniziale della sua costituzione e dall’elevata influenza che i rendimenti delle prime offerte hanno sulla formazione della performance finale. I risultati mettono in luce dei significativi extra-rendimenti positivi, che permangono, nel caso della CW, sino al 29-esimo mese. I rendimenti complessivo sono negativi, ma di

114 entità inferiore a quelli dei BHR calcolati secondo la metodologia tradizionale. Il BHR rispetto al MIB calcolato secondo la metodologia tradizionale, infatti, mostra un valore pari a –50.53%, mentre quello delle tecniche EW e CW è pari rispettivamente a –36% e –4.67%.

La strategia real date, tuttavia, suppone che un investitore, nella fase iniziale, concentri tutta la propria ricchezza nei titoli di una sola società e che rinunci a diversificare i propri investimenti. Gli studiosi, per definiscono una tecnica nella quale l’intera ricchezza a disposizione sia inizialmente allocata su di un investimento “di diversificazione” e che da questo vengano progressivamente, ogni volta che si verifica un evento “quotazione”, attinte risorse da destinare alle IPO. L ’investimento di diversificazione” può essere un portafoglio azionario che replica il MIB o un portafoglio monetario di titoli risk-free, costituito da BOT a tre mesi. Tale strategia consente di sterilizzare la componente di rischio firm specific, derivante da un investimento concentrato su poche IPO, rendendo così più realistico lo scenario ipotizzato. Gli extra-rendimenti sono calcolati attraverso la combinazione dei extra-rendimenti delle IPO con quelli dell’investimento di diversificazione. Le IPO del 1995-1996 hanno un rendimento migliore di quello del mercato, ma con il protrarsi del periodo osservato e con il progressivo ampliamento del paniere IPO, subiscono un declino. Tale deterioramento è imputabile all’andamento delle azioni quotate a partire dalla fine del 1996 ed è in linea con la teoria della window of opportunity. Le imprese scelgono di quotarsi in momenti in cui il mercato è al rialzo (1997 e prima parte del 1998), in modo tale da limitare l’Underpricing, approfittando della circostanza che il positivo andamento del mercato produce un’euforia che genera un eccesso di domanda. Questi titoli vengono progressivamente valutati correttamente dal mercato, che produce un deterioramento delle loro performance nel lungo periodo.

Dalle Vedove et al. (2005) misurano le performance a lungo termine delle IPO italiane realizzate nel periodo 1985-2004, attraverso la tecnica buy-and-hold abnormal return (BHAR). I rendimenti delle offerte sono pari alla differenza tra il rendimento che un investitore ottiene acquistando le azioni il primo giorno di negoziazione e vendendole alla fine dell’orizzonte di tempo, e quello del portafoglio di riferimento. La figura 23 riporta le performance di mercato (BHAR) delle IPO italiane rispetto all’indice MSCI Italy. Il BHAR medio è positivo a breve termine, mentre dopo 18 mesi comincia il suo declino, fino a toccare un valore minimo di 13%. La mediana, invece, assume sia nel breve che nel lungo periodo un valore negativo, arrivando a quota -21% nel 30-esimo mese. Un piccolo numero di IPO ha sovraperformato in modo significativo l'indice di mercato, mentre un gran numero di emittenti presenta una sottoperformance negativa a lungo termine. La long-run underperfomance media è pari a + 6,63% dopo 12 mesi (mediana -10,30%), -4,57% dopo 2 anni (mediana -16,10%) e -12,87% dopo 3 anni (mediana -17,90%). Ritter e Welch (2002) riportano un BHAR medio a 3 anni per le IPO statunitensi durante lo stesso periodo di campionamento pari a -21,7%. Le azioni quotate sul Nuovo Mercato hanno fatto registrare nel 1999 prestazioni positive, ma lo scoppio della bolla dot-com ha provocato i rendimenti negativi che si sono registrati negli anni 2000-2001.

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Figura 13: Long run IPO buy-and-hold adjusted returns (BHARs) relativo al campione di IPO raccolto da Dalle Vedove et al (2005), che comprende le 212 emissioni realizzate in Italia dal 1985 al 2001, i cui titoli sono negoziati da almeno tre anni

Fonte: Dalle Vedove et al. (2005). The Evolution of Initial Public Offerings in Italy.

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