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3. Underpricing delle IPO italiane

3.3 IPO Underpricing nel caso italiano: evidenze empiriche e Long Run Underperformance

3.3.1 Pricing e Allocation

99 precedenti IPO, mentre le offerte di quelli che piazzano la bid in ritardo o fanno free riding sugli sforzi altrui, saranno scontate. Il gestore dell'emissione, però, mantiene una certa discrezionalità nel processo di assegnazione, che deve essere annunciata in anticipo insieme a tutti gli altri criteri, rendendo così chiaro a tutti i partecipanti che non avrà un ruolo dominante nel modo in cui i titoli saranno allocati.

Il governo malese, ad esempio, ha utilizzato una procedura simile per l’IPO della società Petronas Gas, che comprendeva una tranche pubblica a prezzo fisso per il pubblico retail. L'offerta somigliava a un bookbuilding, perché all’underwriter veniva data una certa discrezionalità nell'assegnazione delle azioni, ma tale facoltà era limitata e resa più trasparente, affermando le linee guida per esercitarla. Il prospetto informativo della società elencava i quattro criteri che erano utilizzati per classificare le offerte:

• l'aggressività dei prezzi, ponderata al 35%;

• la tempistica, ponderata al 25%;

• la consistenza dell'offerta, ponderata al 30%;

• la qualità dell'investitore, ponderata al 10%.

La PIPO della Commonwealth Bank of Australia è stata effettuata attraverso una procedura simile, nella quale le offerte sono state classificate in base alla consistenza, alla tempistica, alla qualità dell'offerente e al prezzo.

L'uso di criteri aggiuntivi nella valutazione delle offerte, in sostanza, aiuta gli emittenti ad aumentare i proventi delle loro IPO, a limitare il rischio di fallimento e a creare una base di investitori a lungo termine.

Jagannathan e Sherman (2005) ritengono che le offerte pubbliche realizzate tramite la combinazione del fixed price e del bookbuilding siano caratterizzate da difficoltà temporali. Il problema degli ibridi

"sequenziali", in cui viene effettuata per prima la tranche di impostazione del prezzo, è che impone che il prezzo di offerta sia fissato in anticipo rispetto al periodo di adesione, in modo che i partecipanti sappiano in anticipo quale prezzo pagheranno. Un altro tipo di meccanismo ibrido è quello "simultaneo", in cui la tranche di offerta pubblica è svolta contemporaneamente a quella di determinazione del prezzo. Il loro principale vantaggio rispetto all'approccio sequenziale è che consentono di completare rapidamente le offerte, una volta che il prezzo è stato fissato, poiché quest’ultimo viene scelto "all'ultimo minuto", anziché diversi giorni prima. Lo svantaggio, tuttavia, è rappresentato dal fatto che gli investitori al dettaglio devono effettuare i loro ordini senza essere sicuri del prezzo che pagheranno, poiché quello di offerta non è stato ancora fissato.

Questa incertezza è ulteriormente complicata dal fatto che, in molte offerte pubbliche, è richiesto il pagamento anticipato per tutte le azioni ordinate, che è un modo che l’emittente ha per limitare il rischio di credito della controparte, associato all'assunzione di ordini da investitori al dettaglio anonimi.

100 prevalso in Italia negli anni seguenti, infatti l'ultima IPO realizzata con il metodo del fixed price è stata quella di Banca Carige nel 1995.

L’istituto di credito Monte dei Paschi di Siena ha, per la prima volta, stabilito il prezzo dopo l'offerta pubblica, pertanto gli investitori retail non conoscevano il valore al momento dell'offerta delle azioni. L'unica informazione era il range indicato nel prospetto e il valore massimo pubblicato sui giornali. Le IPO di BasicNet e Caltagirone Editore, verificatesi nel 1999 e nel 2000, hanno introdotto due ulteriori innovazioni: nel primo caso è stato presentato solo una soglia minima, senza indicazioni sul prezzo massimo indicato nel prospetto;

nella seconda offerta, invece, la fascia pubblicata nel documento non era vincolante, ma solo indicativa, pertanto il prezzo finale poteva superare il limite superiore o attestarsi al di sotto di quello inferiore. Dalle Vedove et al. (2005) hanno analizzato tutte le Offerte Pubbliche Iniziali condotte dalle imprese quotatesi sulla Borsa Italiana tra il 1985 e il 2004, mostrando l'evoluzione della procedura di fissazione dei prezzi (Tabella 11). Le IPO con fixed price hanno prevalso fino al 1994, infatti nel periodo 1985-1988 sono state condotte 66 offerte con questa tecnica, a differenza dell’intervallo 1989-1994, dove tale tecnica è stata adoperata solo in 12 casi. L’indicazione di un range è stato l’approccio più utilizzato negli anni seguenti, infatti, tra il 1995 e il 2000 sono state realizzate 63 IPO in cui il prezzo era legato a tale intervallo e veniva determinato prima dell’offerta destinata al pubblico retail, mentre nelle 57 offerte effettuate nel periodo 1998-2004 la forchetta di prezzo non era vincolante. La tendenza delle imprese emittenti italiane è stata quella di convergere verso la procedura di bookbuilding adottata negli Stati Uniti e, allo stesso tempo, di rinviare il più possibile la decisione sul prezzo di offerta finale, al fine di incorporare nella decisione tutte le informazioni prodotte nel frattempo, come la domanda di azioni e il momentum del mercato.

Tabella 11: Procedure di determinazione del prezzo finale di quotazione per le imprese che hanno effettuato un’IPO nell’intervallo di tempo 1985-2004

Fonte: Dalle Vedove et al. (2005). The Evolution of Initial Public Offerings in Italy.

Oggi la procedura più diffusa in Italia per valutare un’IPO è l’open price, dove il prezzo di offerta è determinato con il bookbuilding e si indica nel prospetto un range non vincolante, in modo tale da stabilire il prezzo finale dopo la raccolta delle offerte dal pubblico retail. La peculiarità del sistema italiano, che ha importato tale meccanismo dagli Stati Uniti, adattandolo al contesto nazionale, è rappresentata dal fatto che l’offerta globale è strutturata in due tranche autonome. La prima destinata agli investitori istituzionali, nazionali ed internazionali, la seconda, invece, è rivolta al pubblico retail ed è disciplinata dal TUF (art. 93-bis e ss). Le due componenti sono legate, a livello di disciplina, solo da norme di trasparenza (art. 34-sexies e 13, comma 2, Regolamento Emittenti Borsa Italiana) e sono parte di un’offerta globale unica, che è gestita dal global coordinator e dai componenti del sindacato di collocamento. Le azioni, al termine del periodo di

101 offerta, sono suddivise tra le due tranches e se il numero di titoli offerti al pubblico è almeno pari all'importo minimo di tale offerta, le restanti quote sono ripartite tra le due classi di offerenti, sulla base del numero di richieste ricevute dalla parte retail e sulla base della quantità e qualità della domanda ricevuta dalla controparte istituzionale. Il prospetto informativo prevede, in genere, che il 75% delle azioni siano assegnate al collocamento istituzionale, al fine di valorizzare il ruolo del bookbuilding come sistema di rivelazione delle informazioni sul valore dell’emittente, mentre il 25% sia destinato al pubblico al dettaglio, al fine di consentire una sufficiente diffusione dei titoli tra il pubblico (Giudici e Lombardo, 2012). La determinazione del prezzo di collocamento avviene sulla base di una simulazione delle diverse ipotesi di equilibrio, in termini di probabile overpricing/underpricing fra domanda e offerta, e in termini di capacità di assorbimento della quantità offerta ai diversi livelli di prezzo. L’underwriter, per stabilire il prezzo finale di offerta, avrà a disposizione l’orderbook degli investitori istituzionali, contenente le manifestazioni di interesse, gli ordini revocabili da parte degli investitori al dettaglio e l’informazione proveniente dal mercato grigio. Dalle Vedove et al. (2005) rilevano che la frazione di titoli assegnata al collocamento privato è sempre maggiore del quantitativo destinato al pubblico retail. La tabella 12 evidenzia che la parte di azioni allocata agli investitori professionali aumenta dal 54,6% al 76,3% nel mercato MTA, mentre nel Nuovo Mercato tale dato passa dal 63,8% al 75,9%, portando il valore medio al 65%. Un'altra tendenza manifestata delle IPO italiane è stata quella di coinvolgere i manager o i dipendenti nell'offerta, al fine di fornirgli i corretti incentivi. L’utilizzo di questa pratica è cresciuto nel corso del tempo, infatti dal 1985 al 1988 è stata adoperata solo da 12 emittenti (il 17% del totale delle società), mentre dal 1995, il 75% delle imprese ha riservato tranche di azioni a dirigenti e dipendenti. L'IPO di Brembo, nello stesso anno, ha introdotto per la prima volta in Italia l'opzione greenshoe, che è diventata immediatamente pratica comune. I dati mostrano, infatti, che l’uso di tale clausola è costantemente cresciuto fino al 2004, infatti è stata adoperata in tutte le IPO effettuate dal 2001 al 2004.

Tabella 12: Caratteristiche delle offerte pubbliche iniziale realizzate dal 1994 al 2004 nei segmenti di mercato MTA, Mercato Ristretto/Expandi e Nuovo Mercato (1999-2001)

Fonte: Dalle Vedove et al. (2005). The Evolution of Initial Public Offerings in Italy.

102 Gli emittenti italiani, nei primi anni '90, hanno cominciato ad introdurre nei loro prospetti la clausola di lock-up (o lock-in), tramite la quale gli azionisti e gli altri insiders si impegnano a non vendere le loro quote entro un certo periodo di tempo dopo la quotazione. Gli shareholders pre-IPO, in questo modo, segnalano al mercato le loro aspettative positive sul valore futuro dell'impresa e gli viene anche impedito di sfruttare le loro conoscenze superiori sulla qualità dell'azienda. Questi accordi stabilizzano il prezzo di mercato, perché, a breve termine, riducono la pressione sul lato dell'offerta e, a lungo termine, riducono le asimmetrie informative esistenti sull'IPO. Borsa Italiana, al fine di proteggere gli investitori, ha deciso di imporre accordi di lock-up alle società quotate sul Nuovo Mercato, perché sono generalmente più giovani e meno mature rispetto a quelle che diventano pubbliche negli altri mercati. Il regolamento emittenti stabiliva che i fondatori e i dirigenti dovevano impegnarsi a non vendere, per un anno, almeno l'80% delle loro quote dopo l'IPO, mentre gli amministratori che detenevano meno del 2% del capitale azionario ne erano esentati. Una novità di questo periodo è la clausola bonus share, che permette di assegnare gratuitamente azioni aggiuntive agli investitori che trattengono le IPO shares fino a una determinata scadenza. Essa è stata utilizzata, per la prima volta, nell’IPO di IMI Banca (seguita da altri nove casi), ma è stata adoperata esclusivamente per le offerte di privatizzazione (PIPO). Una clausola particolare che è stata introdotta nel mercato italiano è la remedy share, che consente ai promotori dell'offerta di assegnare gratuitamente quote aggiuntive ai sottoscrittori, nel caso in cui gli obiettivi aziendali dichiarati nel prospetto non siano raggiunti. La prima azienda a adottare questo tipo di impegno è stata Trevisan nel 2003.

Una conseguenza dell’open price è la differente posizione degli investitori al dettaglio e di quelli istituzionali, in relazione al tipo di ordini espressi e alla parità di trattamento durante l’allocazione delle azioni. Quelli professionali, data la necessità di diversificazione di portafoglio, operano in modo continuo sul mercato delle IPO, perciò il loro fine è massimizzare il ritorno sull’investimento per un certo numero di offerte, non per una soltanto. La controparte retail, invece, è formata dal piccolo consumatore, al quale viene proposto l’investimento da una banca collocatrice o il cui interesse viene sollecitato tramite tecniche pubblicitarie. Il suo obiettivo è quello di partecipare all’operazione, nella speranza di realizzare un buon profitto dalla singola offerta. Gli aderenti all’offerta pubblica esprimono ordini vincolanti, sulla base di una forchetta di prezzo comunicata prima dell’inizio del periodo di adesione, mentre quelli istituzionali presentano delle semplici manifestazioni di interesse.

Un aspetto negativo di tale procedura è rappresentato dal fatto che il consorzio di collocamento, se la domanda della parte professionale risulta carente, può decidere di fissare il prezzo ad un livello eccessivo rispetto alle reali condizioni dell’orderbook, spostando le azioni sulla controparte al dettaglio, che esprimendo ordini irrevocabili, è costretta a comperare i titoli. Un altro aspetto da considerare è che per gli aderenti all’ offerta pubblica è garantita la parità di trattamento attraverso criteri di riparto obiettivi e non-discriminatori (art. 34-quinquies, quinto comma, RE). Ciò non vale per gli investitori professionali, perchè il bookrunner mantiene la massima discrezionalità durante il collocamento dei titoli a questa classe di investitori. Celia (2008) fa un’analisi sul numero di investitori retail e istituzionali che hanno richiesto le azioni delle società emittenti, quotatesi sui segmenti STAR, Standard ed Expandi nel periodo 2005-2007. Essa rileva, per il segmento STAR, che il numero medio di investitori retail che richiede le azioni è pari a 20.736, ma il numero di quelli che ricevono le quantità richieste ammonta a 6.186. Il livello di oversubscription, misurato tramite il rapporto tra il numero di investitori richiedenti e quelli a cui sono stati assegnati i titoli, è pari a 4.00 per le richieste retail e 1.31 per quelle istituzionali. Il numero medio di investitori retail nel mercato Expandi è 6379, a fronte dei quali solo 1548 ricevono le azioni, facendo registrare un oversubscription di 5.46.

Confrontando le richieste provenienti dai vari mercati, emerge che il numero di titoli richiesti dal pubblico indistinto è maggiore per le società ammesse sul segmento STAR. Il regolamento impone a queste imprese una maggiore trasparenza informativa, pertanto, l’investitore riesce a trarre più informazioni su di esse e a ridurre il proprio rischio. La fissazione del prezzo di collocamento, visti gli elementi caratteristici del sistema italiano, impone al consorzio di trovare un equilibrio fra le due offerte, in termini di eccesso o penuria di

103 adesioni (over/undersubscription), e di minimizzare il rischio di rimanere con azioni invendute. Il global coordinator, per determinare il valore di equilibrio, tiene conto delle condizioni del mercato mobiliare domestico ed internazionale e della quantità e qualità delle manifestazioni di interesse ricevute. L’equilibrio fra le due offerte, in termini di prezzo di collocamento e di quantità offerta finale, può essere ottenuto tramite le clausole di claw back. Quest’ultima consente di modificare la dimensione di ogni tranche durante la fase di allocazione dei titoli, trasferendo le azioni da un’offerta all’altra. Essa permette di aumentare il quantitativo destinato all'offerta pubblica, rispetto al quantitativo minimo previsto, in caso di forte domanda del pubblico, o, al contrario, di aumentare la quota istituzionale in caso di domanda retail inferiore al quantitativo atteso.

Lombardo & Giudici (2012) ritengono che la fissazione del prezzo in un momento successivo alla raccolta delle adesioni irrevocabili, configura uno scenario di arbitraggio. Ciò è dovuto al fatto che alla determinazione dell’offering price partecipa l’emittente, con il supporto dei membri del consorzio, il cui guadagno dipende dal valore dell’offerta. Essi curano la procedura di raccolta e analisi delle informazioni provenienti dagli investitori istituzionali, che tendono a creare meccanismi di cooperazione con i bookrunners, aiutandoli nelle IPO meno fortunate e ricevendo una ricompensa in quelle più lucrose. Tale metodologia espone gli investitori retail a comportamenti opportunistici da parte degli emittenti o dei coordinatori, che possono fissare prezzi di offerta troppo elevati, sfruttando le clausole di claw back e spostando la domanda mancante sul pubblico retail. Questa categoria di investitori è impotente di fronte a questa situazione, in quanto non ha modo di accertare come si è formato il libro degli ordini e in quale misura la volontà dell’emittente e degli underwriters sia prevalsa sulle indicazioni provenienti dal libro degli ordini.