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Caratteri e classificazioni

Perché un evento possa valere come condizionante occorre che presenti due attributi: l’incertezza e la futurità, i quali devono ricorrere contemporaneamente perdendo, altrimenti, la loro capacità qualificante.

Relativamente al primo, si osserva come il concetto di incertezza rechi con sé quello di imprevedibilità, nel senso di doversi poter escludere, in capo al testatore, una sua conoscenza sicura circa la futura realizzazione della vicenda condizionale. Ciò, però, non preclude, in capo al disponente, lo spazio per una valutazione in senso probabilistico circa l’avveramento dell’evento, atteso che saranno proprio gli esiti di tale calcolo ad incidere sulla scelta di inserire o meno la clausola nel corpo delle disposizioni testamentarie.

L’incertezza deve atteggiarsi come oggettiva, potendo quindi dedursi in condizione soltanto ciò che sia incerto da un punto di vista universale e non ciò che venga valutato tale alla stregua di una stima personale, visto che su di essa facilmente potrebbero incidere situazioni di inconsapevolezza, superficialità e inesperienza 127.

127

M. COSTANZA, Condizione nel contratto, Comm. Cod. Civ Scialoja-Branca a cura di Galgano, Bologna, 1997, p.14; Cass., 5 luglio 1954, n. 2345, in Foro it., 1954 per la quale la totale mancanza di uno stato di

La mancanza di certezza deve abbracciare i due profili dell’an e del quando; ciò vale a differenziare la condizione dal termine di efficacia, che si traduce nell’evento futuro ma certo al cui verificarsi riferire l’efficacia iniziale del negozio o il suo esaurirsi: ne deriva che l’incertezza abbraccerà soltanto il quando ma non anche l’an.

Venendo al connotato della futurità si è posto il problema di poter identificare l’evento futuro in un fatto già verificatosi al momento di apertura della successione. Ci si è chiesti, cioè, se la futurità dell’avvenimento dedotto in condizione debba essere tale rispetto al momento di redazione della scheda o invece a quello di morte del testatore. Il dibattito si è sviluppato soprattutto in relazione alle fattispecie della istituzione di erede o al legato condizionati alla circostanza che i destinatari delle disposizioni avessero prestato assistenza al de cuius fino alla sua morte. Sul punto, un primo orientamento128 ritiene che, pur in mancanza di un esplicito dato normativo, sarebbe doveroso e logico riferire la fututrità e l’incertezza dell’evento alla data di apertura della successione, in nome della considerazione che la condizione opera ed incide sugli effetti del negozio cui accede e pertanto presuppone che il negozio stesso sia in grado di produrne, mentre il testamento è per sua natura un negozio inefficace fino al tempo della morte del suo autore. Ne deriva che quando il fatto sia posteriore alla confezione del testamento, ma debba realizzarsi prima della morte del testatore, si è di fronte ad una condizione impropria (condicio in praesens vel in praeteritum

collata) di talchè, intanto il diritto potrà costituirsi a mezzo del testamento, in quanto l’evento

risulti già verificato al tempo della morte del testatore. D’altronde, si aggiunge, la contestualità o l’anteriorità dell’evento condizionante rispetto al tempo di stesura della scheda testamentaria precluderebbe la nascita di una reale fase di pendenza e quindi di una aspettativa giuridicamente tutelata129.

L’indirizzo che si rivela decisamente prevalente sia in campo dottrinario che giurisprudenziale130 , abbraccia, tuttavia, una soluzione diversa, pretendendo che la circostanza chiamata a condizionare una o più disposizioni di ultima volontà, si atteggi come momento futuro rispetto alla compilazione dello scritto testamentario e non all’apertura della oggettiva incertezza impedisce di riconoscere una condizione in senso tecnico-giuridico lasciando lo spazio soltanto ad una condizione impropria priva di valore normativo.

128

App. Firenze, 19 giugni 1958, in Rep. Foro it., 1959, voce Successione legittima o testamentaria, c. 2405, nn. 87-88; BIGLIAZZI GERI, Il testamento, in Tratt. dir. priv., dir. da P. Rescigno, 6, Successioni e donazion, t. 2, Torino, 1997, II ed., pp. 147-148.

129

N. DI MAURO, Gli elementi accidentali, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Milano, 2009, p. 1095.

130

Cass. 16 marzo 1960, n. 531; Cass, 6 ottobre 1970, n. 1823. In dottrina: CARAMAZZA, Delle successioni

testamentarie, in Comm. teorico-pratico cod. civ. a cura di V. De Martino, Novara, 1981, II ed., pp. 257-258;

GIANNATTASIO, Delle successioni. Successioni testamentarie. Torino, Comm.cod.civ., II, 1978, p. 202; TRIOLA, Il testamento, Milano, 1998, p. 229;

successione. Nessun riscontro normativo si registra, infatti, a conforto della necessaria contemporaneità o anteriorità dell’evento rispetto alla morte del de cuius, cosicché la condizione sarà perfettamente valida ove abbia ad oggetto un’attività di assistenza da prestare in favore del testatore fino all’ultimo giorno della sua vita, determinando, quindi, il suo mancato avveramento, la caducazione della disposizione.

A seconda delle circostanze da cui viene fatto dipendere l’avveramento della condizione, è possibile isolare, analogamente a quanto accade per i negozi tra vivi, tre distinte forme di condizioni testamentarie: potestativa, casuale e mista.

Si parla di condizione potestativa quando l’avvenimento consista in un fatto volontario dell’istituito o del legatario (ad esempio: lego a Tizio diecimila euro a condizione che parta per Roma); si ha condizione casuale quando il fatto sia estraneo alla volontà del beneficiario (lego a Tizio diecimila euro a condizione che salga il prezzo del petrolio); si ha, infine, condizione mista se l’avveramento dipenda solo in parte dalla volontà del destinatario della disposizione testamentaria e, per altra parte, dalla volontà di un terzo o dal caso (lego a Tizio diecimila euro a condizione che parta per Roma insieme a Caio).

In subiecta materia si registra l’esistenza di un nutrito dibattito dottrinario sviluppatosi intorno al problema dell’ammissibilità, anche nella realtà testamentaria, di una condizione meramente potestativa, con la quale, cioè, ancorare l’avveramento dell’evento al mero arbitrio del delato, senza assunzione, da parte sua, di alcun sacrificio.

In tal senso ci si chiede se possa ritenersi valida ed ammissibile una disposizione mortis

causa la cui efficacia iniziale o la cui cessazione sia fatta discendere esclusivamente dal mero

arbitrio della persona destinataria.

Una prima voce interpetrativa131 prende le mosse dalla considerazione che l’art. 1355 cod. civ., dettato in materia di contratto, non possa trovare il suo spazio operativo anche in ambito testamentario, non esistendo qui, a differenza del campo contrattuale, l’esigenza di salvaguardare un equilibrio tra due contraenti. Nell’atto testamentario, infatti, è lo stesso de

cuius a riconoscere ai beneficiari delle disposizioni una posizione di vantaggio con la quale

ben potrebbe dirsi coerente la scelta di subordinarne l’efficacia al loro libito. Ne discende che in tali casi più che di condizione meramente potestativa, potrà parlarsi di condizione potestativa semplice.

A conclusioni diverse giunge altra corrente dottrinaria, secondo la quale la disposizione cui si apponga una condizione meramente potestativa va valutata come disposizione pura e

131

ANDRINI, La condizione nel testamento, in AA.VV., Le successioni testamentarie, a cura di C.M. Bianca, in Giur. sist. Dir. civ. comm. fondata da Walter Bigiavi, Torino, 1983, p. 110

semplice nel senso di non riconoscere in capo alla volontà del testatore il funzionamento di alcun meccanismo condizionale, considerandosi, la condizione eventualmente prevista, come non apposta. La ratio dell’assunto va ricercata in una valutazione di ordine logico. Si osserva, infatti, come il principio per il quale l’acquisto dell’erede o del legatario possa avvenire solo in presenza di un’accettazione o di un mancato rifiuto è già consacrato nei principi del nostro sistema successorio senza, quindi, che all’uopo occorra un meccanismo di origine volontaristica quale la condizione testamentaria.

Si dà atto, infine, di una terza ricostruzione secondo la quale la questione deve essere risolta alla luce dell’art. 1355 cod. civ. che dichiara “nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo subordinatamente ad una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell’alienante o, rispettivamente, da quella del debitore”. L’applicazione di tale norma alla materia testamentaria troverebbe spiegazione nel ruolo di integrazione che le norme dettate in materia di condizioni contrattuali rivestirebbero nei confronti della disciplina delle condizioni testamentarie, affetta quest’ultima, da alcuni vuoti e incompletezze132.

Specificamente disciplinate, nell’ambito delle condizioni potestative, risultano essere le ipotesi di cui agli artt. 638 e 645 cod. civ.

Il primo di tali articoli prevede, in caso di disposizione sottoposta alla condizione che l’istituito o il legatario non faccia o non dia qualche cosa per un tempo indeterminato, che questa venga considerata sottoposta ad una condizione risolutiva, salvo che dal testamento non risulti una contraria volontà del testatore. Il proprium di una simile previsione sta nella sua portata interpretativa, mirando il legislatore, attraverso di essa - in ossequio al favor

testamenti - ad assicurare certezza e ragionevolezza in capo alla voluntas espressa dal de cuius. Qualora, infatti, non si procedesse a trasformare la condizione de quo da negativa e

temporalmente indeterminata, in positiva, si metterebbe il beneficiario del relativo lascito in condizioni di non poterlo mai conseguire, atteso che la certezza circa l’avveramento della condizione potrebbe essere assunta soltanto con la sua morte.

La soluzione ermeneutica qui adottata, dunque, è concepita quale strumento per dare esecuzione alla presunta volontà del testatore considerando tale il far profittare

132

BIGLIAZZI GERI, cit., p. 108; L. BARASSI, Le successioni a causa di morte, Milano, 1947, III ed.., p. 416 in nota 215.

immediatamente della disposizione il suo destinatario grazie all’impiego di un meccanismo condizionale risolutivo anziché sospensivo133.

L’intervento legislativo, tuttavia, non giunge a forzare la volontà del disponente ove essa sia stata espressa in senso contrario alla previsione normativa.

Riguardo all’art. 645 cod. civ., esso stabilisce che in presenza di una disposizione in favore di un erede o un legatario sottoposta a condizione sospensiva potestativa priva di termine per l’adempimento, gli interessati possono adire l’autorità giudiziaria perché fissi questo termine. Le finalità di tale disposto si rinvengono nell’esigenza di rispondere ad un principio generale di certezza del diritto, scongiurando quella situazione di precarietà che verrebbe a profilarsi ove l’efficacia della disposizione mortis causa non fosse circoscritta in confini temporali certi. A farne le spese sarebbero i chiamati in subordine che non potrebbero mai invocare un inadempimento della condizione quale circostanza determinante del loro subentrare e, in genere, tutti coloro che vantassero un’aspettativa da ricollegarsi a tale inadempimento. Si precisa che in capo a tali soggetti non sussiste un obbligo di adire l’autorità giudiziaria, bensì un mera facoltà o, meglio, un diritto potestativo che non può dirsi riconoscibile, per analogia, in altre ipotesi, considerandosi la norma de qua, di stretta interpretazione.

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