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I requisiti di validità della clausola di inalienabilità L’efficacia obbligatoria

Mutuando dall’art. 1379 cod. civ. le condizioni acchè il divieto testamentario di alienazione possa validamente funzionare, è possibile richiamare l’esigenza di una efficacia meramente obbligatoria del vincolo, di una sua temporaneità e di un suo orientamento ad interessi meritevoli di tutela265.

Relativamente al primo di questi requisiti, ci si avvede come in caso di alienazione realizzata in spregio al veto, l’atto, in nome di un’efficacia inter partes della clausola, resti perfettamente valido nei confronti del subacquirente, ingenerando, in capo al successore che disattese il vincolo, soltanto l’obbligo del risarcimento dei danni. Nessuna dissociazione, cioè, si verifica tra la proprietà della posizione giuridica e il potere di disporne giacchè l’obbligazione priva di portata reale si pone come limitazione indipendente ed esterna rispetto a tale facoltà dispositiva.

Ove, invece, l’imposizione a non alienare fosse munita di efficacia reale, il titolare del diritto verrebbe privato del potere di disporre e l'alienazione compiuta verrebbe considerata come mai avvenuta in termini traslativi, atteso che, scopo di una simile clausola sarebbe quello di

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Sotengono l'applicabilità analogica delle norme sui contratti al testamento: BIGLIAZZI GERI, Il testamento, cit., p. 100; SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Comm. c.c. a cura di Scialoja e Branca, Bologna- Roma, 1970, p. 52 ss.; BIN, La diseredazione, Contributo allo studio del contenuto del testamento, Torino, 1966, p. 177 ss.; PIETROBON, L'errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, p. 462 ss.

Si esprimono in senso contrario: LIPARI, Autonomia privata e testamento, cit., p. 37 ss.; G.B. FERRI, Causa e

tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, p. 35 ss.; MIRABELLI, Dei contratti in generale, in

Comm. cc., IV, 2, Torino, 1980, p. 38; CARRESI, Contratti e atti unilaterali (Note critiche), in Studi in me- moria di F. Vassalli, I, Torino, 1960, p. 270 ss.; ID., Corso di diritto civile sul contratto, Bologna, 1961, p. 12 ss.; BIANCA, Diritto civile, II, cit., p. 491, il quale diffida da soluzioni unitarie dedotte da un concetto unitario di negozio giuridico e applica al testamento le norme sui contratti che risultino congrue in relazione alla struttura e alla funzione del negozio testamentario.

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L’esistenza di più norme del codice civile contemplanti veti all’alienazione (artt. 1379, 965 e 716 cod. civ.) porta a guardare a simili divieti, anche di carattere testamentario, come all’espressione di una regola e a riconoscere invece solo nelle proibizioni assolute, la violazione del principio di ordine pubblico della libera circolazione. Così COMPORTI, Divieti di disposizione e vincoli di alienazione, in Studi in onore di P. Rescigno, Milano, 1998, p. 853; Trib. Cagliari 21 settembre 1999, in “Riv. giur. sarda”, 2000, 161 ss.con nota di CHELO,

incidere direttamente sull'atto di trasmissione dell'acquirente privandolo della dignità di vicenda traslativa266.

Le ripercussioni di una tale ultima regolamentazione porterebbero, secondo alcuni, a dover riformulare il giudizio sull’identità del diritto di proprietà acquistato dall’istituito, poiché la sottrazione del potere dispositivo ne produrrebbe una profonda trasformazione267.

Nel caso poi in cui l’istituito muoia durante il tempo previsto per l’operatività del divieto, la dottrina si è chiesta se la relativa obbligazione possa gravare in capo ai suoi eredi realizzando così un’estensione della clausola di decadenza anche verso tutti coloro che succedono mortis

causa all’erede del beneficiario.

Simile ricostruzione reclamerebbe un divieto di alienazione strutturato in termini di rapporto obbligatorio reale passivo tale per cui, in ogni momento della sua esistenza, l’individuazione del soggetto obbligato sarebbe realizzata mediante il riferimento al soggetto titolare del bene gravato cosicchè in caso di devoluzione ereditaria, universale o particolare, opererebbe l'automatico trasferimento mortis causa in capo ai successivi titolari.

Per tale strada, tuttavia, si giunge a riconoscere una forma di obligatio propter rem a non trasmettere inter vivos la proprietà; obbligazione che il creditore avrebbe il potere di far valere non solo contro l'erede e il legatario, ma anche contro i loro successori, a carico dei quali, di regola, non passano le obbligazioni personali del proprio dante causa. Si riconoscerebbero, allora, gli elementi sintomatici della realità quali l’accessorietà della posizione passiva con la titolarità del diritto reale - nel senso che la titolarità del diritto reale determina l’obbligo dell'adempimento - e l'ambulatorietà, che esprime il mutamento della persona del debitore con la trasmissione del diritto reale268; ciò in contrasto con l'efficacia personale che coinvolge, nel vincolo, l'obbligato e il suo successore universale269.

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ALLARA, La teoria delle vicende del rapporto giuridico, Torino, 1950, p. 98; ID., La successione familiare

suppletiva. Corso litografato di diritto civile, Torino, 1954, p. 30 ss.; CARRESI, Gli effetti del contratto, Riv.

trim. dir. proc. civ., 1958, pp. 496-497 il quale però con posizione in parte diversa, sottolinea come la clausola di inalienabilità ad efficacia reale inciderebbe sulla cosa rendendola indisponibile.

267 ROCCA, Il divieto testamentario di alienazione, cit., p 442; il diritto, così alterato, andrebbe inserito in un'area intermedia tra la proprietà e l'usufrutto. Si differenzierebbe da quest'ultimo, a tacer d'altro, per il decisivo rilievo che, estinguendosi il divieto di alienazione per qualsiasi causa, il diritto del titolare del bene gravato si trasformerebbe in diritto di proprietà piena, in virtù del principio di elasticità del dominio; PELOSI,

La proprietà risolubile, nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975, p. 429, rilevando l'uso atecnico del

termine proprietà, impiegato per indicare istituti non omogenei e non riconducibili ad una categoria unitaria, sottolinea come il fenomeno andrebbe ricondotto alla categoria dei diritti su cosa propria, costituendo solamente un aspetto non tipizzato dell'unitario concetto di proprità.

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Tale è la posizione spressa dalla prevalente dottrina. In senso critico: F. ROMANO, Diritto e obbligo, cit., p. 120 ss.; BIONDI, Le servitù, in Trattato dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Mes-sineo, XII, Milano, 1967, p. 715 ss.;

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Sulla generale differenziazione tra diritti di credito e diritti reali si vedano, tra gli altri: GROSSO, Servitù e

obbligazione «propter rem», in Riv. dir. comm., 1939, I, p. 213 ss.; ID., Tipicità delle obbligazioni « propter rem », in Giur. compi. Cass. civ., 1951, I, p. 249 ss.; ID., Le servitù prediali, in Trattato dir. civ. it., diretto da F.

L’idea di un divieto di alienazione munito di efficacia reale e tradotto in un un’obbligazione reale deve, però, essere respinta. Ove, infatti, sull’obbligazione fosse possibile riconoscere i connotati dell’immediatezza e dell’inerenza con la res tali da rendere la stessa opponibile

erga omnes, dovrebbe concludersi per la sua ricomprensione nella categoria chiusa dei diritti

reali conseguendone, così, la violazione della relativa tipicità270.

Impedimenti nascono anche dalla ritenuta tipicità delle obbligazioni propter rem che preclude la possibilità di concepire un’obbligazione vincolante per i successori a titolo particolare se non nelle ipotesi dalla legge predeterminate271.

Ulteriore argomento contro la plausibilità di un divieto di alienazione ad efficacia reale si rinviene nell’osservazione che, in tal modo, verrebbe privilegiata l’autonomia negoziale del solo dante causa restando, invece, limitata quella dell’avente causa; l’efficacia obbligatoria, al contrario, sarebbe in grado di garantire un punto di equilibrio tutelando adeguatamente la libertà negoziale del primo senza tuttavia arrivare a mortificare quella dei suoi successori272. Ma, oltre che col principio generale della libera circolazione dei beni, una clausola reale porrebbe problemi di coerenza anche col contenuto stesso del diritto di proprietà che,

Vassalli, V, 1, Torino, 1963, p. 59 ss.; DEJANA, In tema di « obbligationes propter rem » accessorie ad un

rapporto di servitù, in Riv. dir. comm., 1952, II, p. 91 ss.; BIONDI, Limiti legali della proprietà, servitù, oneri reali, obbligazioni propter rem in rapporto all’art. 913 codice civile, inForo it., 1950, I, C.618; ID, Servitù

reciproche, servitù « in faciendo », oneri reali e obbligazioni « propter rem », inGiur. it., 1952, I, 1, C.29 SS.; GIORGIANNI, voce Diritti reali (dir. civ.), in Noviss. dig. it., V, Torino, 1960, p. 752 ss.; FUNAIOLI, Oneri

reali e obbligazioni « propter rem »: a proposito di una distinzione tra diritti di credito e diritti reali, in Giust.

civ., 1953,. I, p. 163 ss.; DISTASO, Diritto reale, servitù e obbligazioni « propter rem », Riv.trim. dir. e proc.civ., 1953, p. 437 ss.;

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FUSARO, Il numero chiuso dei diritti reali, in "Riv. crit. dir. priv.", 2000, p. 439 ss.; LONGO, Sostituzione

fedecommissaria nel caso di obbligo di trasmettere cosa singola ad un terzo, in "Giur. compl, cass. civ.", 1954,

I, p. 89 ss.; COMPORTI, Contributo allo studio del diritto reale, cit., pp. 143 e 304 ss.; NEGRO, I divieti

convenzionali, cit., p. 22 ss.; Diverse le posizioni di COSTANZA, Numerus clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale, in Studi in onore di C. Grassetti, Milano 1980. I, p. 438 ss.; FUSARO, Il numero chiuso dei diritti reali, in "Riv. crit. dir. priv.", 2000, p. 439 ss.

271 BIONDI, Le servitù, cit., p. 706 ss.; TORRENTE, Servitù ed oneri reali, in Giur. compi. Cass. civ., 1946, I, p. 393 ss.; BALBI, Le obbligazioni « propter rem », Torino, s.d.,p. 163 ss.; DISTASO, Diritto reale, cit., p. 453 ss.; C.A. FUNAIOLI, cit.; ID., Tipicità delle obbligazioni « propter rem », cit., p. 252; In giurisprudenza: Cass., 7 settembre 1978, n. 4045, in Giur. it., 1979, I, 1, c. 796 e in Foro it., 1979, I, c. 724.: “Le obbligazioni reali costituiscono figure legali tipiche, e possono, quindi, sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsto dalla legge; pertanto, in tema di comunione, ove la relativa disciplina prevede solo obbligazioni di dare, non è lecito all'autonomia privata creare obbligazioni di fare vincolanti i terzi acquirenti a titolo particolare della quota di uno dei contraenti”.

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LOJACONO, voce Inalienabilità, (clausole di), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, p. 890;LONGO, voce

Inalienabilità, in Nuovo Dig. It., VI, Torino 1938, p. 922; COVIELLO J., L'obbligazione negativa, cit., p. 117;

ID., Il divieto di alienazione, cit., p. 392 ss.; Diverso è l’atteggiamento dell’ordinamento francese ove, tradizionalmente, vi è la tendenza al riconoscimento dell efficacia reale delle clausole di inalienabilità confermata anche dall’art. 900-1 del code civil relativo agli atti a titolo gratuito.

spogliato della facoltà dispositiva, vedrebbe intaccato il suo contenuto minimo ed essenziale e, di riflesso, la sua stessa identità273.

Resta, in conclusione, possibile per i privati, come in ambito contrattuale, così in ambito testamentario, predisporre un divieto di alienazione meramente obbligatorio incapace di compromettere l’acquisto del terzo subacquirente e tale da obbligare al solo ristoro dei danni. E’ proprio in ragione di tale limitata vincolatività che si pone un problema di rafforzamento del divieto avvedendendosi, però, come si vedrà, che non tutti gli strumenti siano, a tal fine, adoperabili dall’autonomia privata.

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