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Il motivo determinante: criteri di individuazione e rapporti con la causa testamentaria

Il legame normativo tra gli artt. 634 e 626 cod. civ. investe l’interprete della delicata, quanto necessaria, funzione di illustrarne il senso e la portata. Tutto ciò, partendo dalla preliminare precisazione dei concetti di motivo e condizione.

Il motivo assurge, nel nostro sistema, ad espressione polisemica e riceve, generalmente, una lettura di natura soggettiva essendo descritto come una fase del processo formativo della volontà negoziale nella quale il complesso degli stati emotivi e psicologici direziona lo stipulante nella scelta di concludere l’atto e nella determinazione del suo contenuto191. Ciò è tanto più vero per il negozio testamentario dove la volontà su cui incidono i motivi riveste un ruolo ancor più primeggiante.

L’apprezzamento dei motivi non avviene, generalmente, nei termini di una indagine particolarmente penetrante e approfondita su di essi, attesa la loro rilevanza meramente interna che ne esclude la necessità di una valutazione in termini di liceità e meritevolezza sociale e giuridica. I profili psicologici sottesi alle volontà testamentarie entrano, invece, in gioco quando occorre ricostruire il contenuto delle disposizioni, dovendosi, in tale sede, aver riguardo sia agli aspetti oggettivi sia a quelli soggettivi che accompagnarono la redazione della scheda, con la precisazione che, in determinate circostanze, l’analisi di simili profili si riveste di specifica intensità, incidendo il motivo, sulla stessa validità della disposizione: è il caso dell’errore sul motivo di cui all’art. 624 cod. civ; del motivo illecito di cui all’art. 626 cod. civ; delle condizioni illecite o impossibili di cui all’art. 634 che richiama l’art 626 cod. civ e dell’onere impossibile o illecito di cui all’art. 647 cod. civ.

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AZZARITI MARTINEZ, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1982, p. 513; GIANNATTASIO, Delle successioni. Successioni testamentarie, in Comm.cod.civ., libro II, Torino, 1978, p. 222; BONILINI, Manuale di diritto ereditario, cit., p. 101; BIGLIAZZI GERI, Successioni testamentarie, cit, p. 279; PUGLIATTI, Dell’istituzioni di erede e di legati, cit. p. 528;

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GARDANI CONTURSI LISI, Dell’istituzione di erede e di legati. Disposizioni generali (artt. 624-632 c.c.), in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1983, p. 63 ss.; DEIANA, I motivi nel diritto

privato, Napoli, 1980, p. 7 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, voce Motivo del negozio giuridico, in Digesto disc. priv.,

Torino, 2002, p. 466 ss.; PAGLIANTINI, Causa e motivi del regolamento testamentario, Napoli, 2000, p. 132 ss.

La generale regola dell’irrilevanza dei motivi viene, nel nostro sistema, derogata solo in presenza di determinate condizioni, occorrendo, allo scopo, che il motivo si presenti connotato da un ruolo determinante, da un’indole illecita od erronea e che risulti dal testamento. In questo modo il motivo cessa di atteggiarsi come mero contegno psicologico e vicenda soggettiva interiore, ossia come una mera rappresentazione di un fatto che stimola all’attività negoziale ed assume rilevanza giuridica esterna cioè diventa il risultato cui il disponente protende mediante la sua attività.

La necessità che il motivo illecito o erroneo risulti dal testamento trova diverse ragioni giustificatrici che l’elaborazione dottrinaria ha individuato, anzitutto, nella difesa del principio di certezza dei rapporti e, più in particolare, di quelli successori, attraverso la limitazione della tutela alle sole volontà oggetto di dichiarazione nonchè nella protezione di tali ultime volontà da impugnative pretestuose e immotivate; dall’altro lato, si è scorta l’esigenza di assicurare serietà al volere espresso oltre che di consentire su di esso un attendibile accertamento post mortem192.

Risulta superfluo, poi, nell’opinione prevalente, che il motivo illecito o erroneo, quando debba risultare dal testamento, debba necessariamente essere espresso, potendo invece, rendersi riconoscibile anche implicitamente o in base ad elementi da esso avulsi193. Depone in tale senso il dettato normativo che non fa più riferimento ad un “motivo espresso” e ciò, forse, al fine di evitare un’eccessiva gravosità della relativa prova.

Con riferimento al ruolo determinante assunto dal motivo va chiarito che questo deve sostanziarsi in un rapporto di interconnessione causale con la disposizione testamentaria, nel senso di assumere, rispetto ad essa, un valore essenziale tale da incidere in maniera profonda sul processo formativo della volontà194. Nessuna rilevanza assumerebbe, infatti, un motivo che, benché affetto da illiceità o erroneità, non abbia rilevato, nella fase precedente all’assunzione della scelta dispositiva del de cuius, come ragione esclusiva e fondante. In tali casi, invero, nessun riflesso avrebbe, sulle decisione del testatore, l’assenza di tale motivo

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Tra gli altri: CICU, Il testamento, cit., p. 136; BARASSI, La successione, cit. p. 282. 193

Contrari a tali conclusioni: GIANNATTASIO, Delle successioni testamentarie, cit, p. 282; CICU, Il

testamento, cit., p. 142.

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Secondo alcuni autori occorre che tale rapporto di causalità risulta dal contenuto della scheda testamentaria Così: SANTORO PASSARELLI, Disposizaone testamentaria, in Riv. dir. civ., 1942, p. 942 ss. Per altri, invece, ciò potrebbe risultare aliunde ed essere accertato senza limiti probatori. In tal senso: OPPO, Adempimento e

liberalità, Camerino, 1979, p. 32; BIGLIAZZI GERI, Successioni testamentarie, cit., p. 244; DEIANA, I motivi del diritto privato, cit., p. 169. In giurisprudenza: Cass, 2 agosto 1966 n. 2152; Cass. 9 dicembre 1980, n. 6365.

patologico giacchè questi continuerebbe ad adottare uguali soluzioni anche senza l’influsso psicologico dello stesso195.

Parte della dottrina afferma che la concezione meramente psicologica dei motivi non sembra più trovare un’adeguata giustificazione e sostegno rispetto ai dati della realtà giuridica ritenendosi più opportuno e adeguato orientare l’analisi degli stessi verso un concetto di interesse comune destinato ad assumere rilevanza giuridica attraverso il mezzo negoziale e potendo, in tale sede, ricevere un apprezzamento negativo o positivo196. Per tale strada, si è giunti a mettere in discussione il tradizionale principio della irrilevanza dei motivi: ciò, non solo in virtù di una rivisitazione del concetto di causa, che da funzione economico-sociale obbiettivamente intesa è stata valutata in termini di funzione economico-individuale, ma anche in ragione di diversi dati normativi, quali gli artt. 1343, 1344, 1345, 624, 626, 787, 788 cod. civ, rappresentanti punto di emersione di un legame tra interesse personale riversato dal negoziante nell’atto di autonomia e funzione astratta e tipica dell’operazione197.

La singolare rilevanza del motivo determinante nell’ambito della realtà testamentaria ha giustificato un consistente dibattito sui rapporti tra motivo e causa ricevendo, ora una lettura in termini di generale e reciproca indipendenza, ora di sostanziale equiparazione, ora di paritaria partecipazione al meccanismo funzionale.

I sostenitori della prima interpretazione prendono le mosse da una valenza oggettiva della causa testamentaria, intesa quale funzione economico-sociale del negozio mortis causa consistente nella regolamentazione post mortem dei rapporti patrimoniali, tenendola distinta dalla causa concreta, quale modalità specifica con cui perseguire la causa astratta. I motivi, invece, sono rivestiti di una connotazione prettamente soggettiva atteggiandosi come le ragioni concrete che spingono all’attribuzione patrimoniale, ma che, a differenza della causa, non si pongono coma ragione giustificatrice dell’atto, bensì solo come suoi elementi

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L’incidenza esercitata dal motivo patologico sulla disposizione mortis causa richiederà, necessariamente, un’attività di accertamento circa il presupposto della scelta adottata dal testatore. In tale valutazione può ricorrersi a criteri pratici quali, ad esempio, verificare se tra i motivi sottesi alla disposizione ve ne sia uno lecito e se questo sia stato o meno determinante, assicurandosi, in caso positivo, la salvezza della disposizione; oppure indagare se il motivo sia unico perché in tal caso esso sarà sempre dotato di efficacia causale.

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SACCO-DE NOVA, Il contratto, II, Torino, 2004, p. 685; SCOGNAMIGLIO, Interpretazione del contratto, cit., p.435 ss.

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BARASSI, La successione testamentaria, cit., p. 221; D'ANTONIO, La modificazione legislativa, cit., 45; PAGLIANTINI, Causa, cit., p.18; G.B. FERRI, Causa e tipo, cit., p.382; Si pronunziano, anzi, per un principio di rilevanza dei motivi: G.B. FERRI, Il negozio tra giuridico tra libertà e norma, Rimini, 1990, p. 224; SCOGNAMIGLIO, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, 1992, Padova, p. 226; PALERMO,

determinanti. In altri termini, i motivi, pur influendo sulla causa, non sarebbero in grado di assorbirla dovendo piuttosto presupporla198.

In base alla seconda impostazione teorica, invece, si rileverebbe un rapporto identitario tra motivo determinante e causa del testamento. Ciò è dettato dal particolare rilievo assunto dall’elemento motivazionale all’interno della disciplina testamentaria da cui emergerebbe un evidente primato della volontà tale da indurre ad una considerazione preminente delle ragioni soggettive sottese alle disposizioni. Il motivo determinate si oggettivizzerebbe, entrando a far parte del congegno causale e finendo per tradursi nella autentica e sola ragione giustificatrice del programma testamentario199.

A metà tra le posizioni sopra espresse si pone la tesi che colloca la causa del testamento, piuttosto che in un rapporto di completa equivalenza o di assoluta autosufficienza dal motivo determinante, in una forma di reciproco condizionamento. Essa presenterebbe, invero, una struttura complessa formata da un profilo di tipo soggettivo, corrispondente allo scopo individuale che anima il disponente e da un profilo oggettivo, corrispondente alla funzione giuridica svolta dal negozio. Ebbene, tali profili verrebbero a collocarsi all’interno della stessa realtà per rappresentarne diversi aspetti. Preso atto, infatti, che finalità costante del testamento è quella di programmare la successione post mortem attraverso una organizzazione alternativa alla successione legittima, tale negozio si porrebbe come strumento deputato a esprimere quel motivo determinante e a garantirne soddisfazione200. Da quanto esposto può agevolmente dedursi che accogliere l’idea di un motivo quale parte integrante della causa sottesa al voluto testamentario significa legare inscindibilmente al perdurare del primo le sorti del secondo di talchè ogni volta che sopravviva un motivo lecito e determinante anche la disposizione mortis causa beneficerà di un effetto conservativo mentre, ove questo venga a mancare, la disposizione sarà destinata a perdere la sua giustificazione.

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In tal senso: BONILINI, Il testamento, cit., p. 342 ss.; BIGLIAZZI GERI, Il testamento, cit., p. 82; PEREGO,

Favor legis, cit., p. 162; GIORGIANNI, voce Causa del negozio giuridico, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p.

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ALPA, Atto di liberalità e motivi dell’attribuzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, p. 375 ss.; ROPPO,

Causa tipica, motivo rilevante, contratto illecito, in Foro It., 1971, I, p. 2377 ss.; SCOGNMIGLIO, Interpretazione, cit., p. 34; FERRANDO, Spirito di liberalità e motivi dell’attribuzione. Appunti in margine alla definizione di “causa donandi”, 1974, I, 2, p. 739 ss.; SATTA, “Spirito di liberalità” e rilevanza dei motivi nella definizione di “causa” della disposizione testamentaria, in “Temi”, 1974, p. 191 ss.; BESSONE, Adempimento e rischi contrattuale, cit., p. 240 il quale giunge a sostenere che il testamento sarebbe orfano di

una autentica nozione di causa venendo questa sostituita con quella di motivo, inteso non tanto come impulso psicologico, quanto come complesso di circostanze che agirono come ragione determinante della scelta dispositiva.

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15. L’illiceità del motivo e della condizione nei rapporti tra gli artt. 634 cod. civ. e 626 cod.

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