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Quasi una conclusione

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 69-73)

ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI, IN PARTICOLARE LA FORMAZIONE DELLE TABELLE E LA DISCIPLINA

7) Quasi una conclusione

Non è facile trarre una conclusione e sarei tentato di rinunciar-vi senz’altro, anche perché i problemi che nascono dall’insieme del-la normativa cui sopra ho accennato sono molti, sono complessi e, soprattutto, implicano una serie di questioni di ben più ampia por-tata riguardanti l’assetto generale della magistratura italiana in que-sto momento que-storico.

Volendo tuttavia tentare almeno di abbozzare un bilancio, quel che mi sembra più evidente è la difficoltà di equilibrare la salva-guardia di alcuni essenziali garanzie, legate all’inamovibilità del

giu-dice ed al concetto di giugiu-dice naturale, con una situazione di ende-mica precarietà organizzativa, che genera la costante ricerca di so-luzioni atte soprattutto a fronteggiare l’emergenza. Non v’è dubbio – e vi ho fatto già cenno ripetutamente – che le suaccennate garanzie sono andate nel tempo rinsanguandosi, grazie a disposizioni di leg-ge ed a circolari del Consiglio superiore cui va riconosciuto il meri-to di aver dameri-to ai principi costituzionali vigenti ben altro concremeri-to spessore di quanto in passato non avessero; e l’evoluzione che ha co-nosciuto la disciplina di formazione ed approvazione delle tabelle ne costituisce la miglior riprova. La crisi della giustizia – che del resto non è che un aspetto della più generale crisi dell’intera organizza-zione pubblica – è però ora giunta ad un punto tale da far temere che quelle stesse suindicate garanzie, ed i fondamentali principi giu-ridici che vi sono sottesi, appaiano a molti come dei vincoli di cui varrebbe la pena di liberarsi, ove ciò consentisse in qualche modo di fronteggiare l’incombente pericolo di una totale paralisi della giuri-sdizione. E certamente le difficoltà derivate dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, l’impressionante aumento della criminalità in molte regioni del Paese, nonché gli ulteriori problemi che inevitabilmente nasceranno con la prossima attuazione della par-ziale riforma della processo civile, contribuiscono non poco ad ac-crescere simili preoccupazioni.

Negare che tali preoccupazioni abbiano un fondamento; negare che vi siano insufficienze gravi nella conformazione degli organi de-gli uffici giudiziari, in relazione alle situazioni locali in cui i magi-strati di quegli uffici si trovano ad operare; negare che gli strumen-ti normastrumen-tivi ed amministrastrumen-tivi vigenstrumen-ti siano inadeguastrumen-ti ad assicura-re un assicura-recupero di funzionalità di quei medesimi uffici (e fors’anche dell’intera struttura giudiziaria nazionale); negare tutto questo sa-rebbe – a me sembra – contrario all’evidenza ed, in definitiva, per-fettamente inutile. Meglio allora prenderne atto e sforzarsi piuttosto di cercare possibili rimedi, che siano però tali da non compromet-tere, nel medesimo tempo, i fondamentali principi costituzionali in tema di giurisdizione. In questa prospettiva, mi pare che la tenden-za implicita nella nuova normativa in tema di applicazioni, quale ho sopra cercato sommariamente di descrivere, sia fortemente discuti-bile, e che, viceversa, altre strade assai più promettenti potrebbero utilmente essere sperimentate con maggior vantaggio.

La nuova normativa sulle applicazioni mi sembra discutibile (e

forse neppure del tutto esente da censure d’incostituzionalità) (19) non tanto perché mira a creare un’embrionale tendenza alla mobi-lità dei giudici, quanto principalmente perché lo fa ricorrendo ad uno strumento che, per sua stessa natura, non può non essere ano-malo – tanto nei presupposti quanto nelle modalità di attuazione – rispetto al sistema ordinario di allocazione dei magistrati nei diver-si uffici giudiziari. Uno strumento di tal fatta appare tutt’altro più idoneo a fronteggiare delle emergenze straordinarie e limitate (am-messo che non basti il ricorso all’istituto della supplenza), ma non può fornire risposta a problemi organizzativi che, viceversa, risulta-no sempre più cronici e generalizzati. E se poi davvero si pensasse di porre rimedio a detti problemi facendo massicciamente ricorso al-le applicazioni, credo sarebbe allora a tutti evidente la gravità delal-le storture che da una simile prassi potrebbero derivare (e che talvol-ta già derivano) ed i rischi che in prospettiva ne potrebbero nasce-re in termini di effettiva tenuta delle garanzie d’inamovibilità del giu-dice e di precostituzione del giugiu-dice naturale.

Viceversa, poiché i problemi da affrontare, lungi dall’essere le-gati ad un’emergenza contingente, paiono ormai profondamente ra-dicati nella realtà in cui tutti operiamo, mi sembra che assai più con-gruamente si dovrebbero battere le vie di una modificazione strut-turale delle tradizionali ripartizioni in cui oggi si articola l’ammini-strazione della giustizia. E non mi riferisco solo all’annosa questio-ne della revisioquestio-ne delle circoscrizioni giudiziarie (comunque, peral-tro, indispensabile), ma anche a più recenti ed interessanti proposte – alcune delle quali provenienti dall’interno dello stesso Consiglio su-periore (20) – volte a disciplinare unicamente secondo regole tabel-lari la mobilità dei magistrati all’interno di ogni singolo distretto: co-sì da assicurare, nel medesimo tempo, una maggiore potenziale fles-sibilità dell’organico a fronte di esigenze periodicamente rilevabili nei diversi settori del distretto ed un più sicuro rispetto di quelle ga-ranzie costituzionali che, come s’è già ripetutamente sottolineato,

an-(19) Alcuni dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina della applica-zioni sono stati sollevati da M. Nobili, op. cit., le cui osservaapplica-zioni, quantunque for-mulate prima che intervenissero le recenti innovazioni normative in materia, mi pa-re conservino almeno in parte una certa attualità.

(20) Il riferimento è, in particolare, ad una proposta elaborata dal prof. A.

Pizzorusso, di cui ho potuto prendere visione grazie alla cortesia degli organizzatori del presente convegno.

che la disciplina tabellare appare ormai in grado di garantire e che ancor meglio potrebbero venir tutelate se si riuscisse frattanto a ri-vitalizzare il ruolo dei Consigli giudiziari (21). Facendo ancora un passo più in là, ci si potrebbe allora anche spingere ad ipotizzare una radicale riforma della dimensione e della struttura degli uffici giudiziari, che in un’epoca di facili trasporti ben potrebbero essere concentrati in unità di dimensione distrettuale (con eventuali sezio-ni distaccate, sul modello delle neoistituite preture circondariali), con il non piccolo ulteriore vantaggio di consentire la formazione di grup-pi di magistrati particolarmente esperti in materie determinate che richiedono un maggior grado di specializzazione, e di permettere la predeterminazione tabellare dei criteri con cui fronteggiare (in via di supplenza interna) le eventuali carenze di questo o di quel settore dell’ufficio.

Naturalmente, mi rendo ben conto che una soluzione di questo tipo comporta una serie non piccola di problemi e che, comunque, essa sarebbe auspicabile solo a condizione di essere accompagnata da ulteriori modificazioni della struttura degli uffici giudiziari (spe-cie di quelli del pubblico ministero), tali da ovviare al rischio di un eccessivo accumulo di potere burocratico. E mi rendo anche conto che gli attuali problemi di carenza cronica di magistrati in determi-nati interi distretti giudiziari resterebbero così irrisolti. Ma non è co-munque illusorio pensare di poter fronteggiare siffatti cronici pro-blemi con rimedi meramente provvisori, quali sono pur sempre le applicazioni? E più in generale, non è forse tempo, ormai, di realiz-zare «a tutto campo» quell’organica riforma della legge sull’ordina-mento giudiziario che la settima disposizione transitoria della Costi-tuzione aveva previsto?

(21) Sull’importanza del ruolo dei Consigli giudiziari, anche e soprattutto nella materia in esame, e sulla necessità di rivitalizzarli, cfr. C. Viazzi, Le istituzioni dell’au-tocontrollo: i nuovi Consigli giudiziari, in La professione del giudice, Milano 1986, 185 ss., e F. Mazza Galanti, Una stagione di rinnovato interesse per i Consigli giudiziari?, in Questione giustizia, 1988, 553 ss. Più in generale, sul tema della riforma dei Consigli giudiziari, vedi anche F. Rigano, L’amministrazione della giustizia nella Costituzione, in Politica del diritto, 1989, 15 ss.

COMPITI DEI DIRIGENTI DEGLI UFFICI IN RELAZIONE

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