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Il procedimento di formazione e di variazione delle tabelle Al procedimento di formazione delle tabelle – cui deve ora

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 58-69)

ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI, IN PARTICOLARE LA FORMAZIONE DELLE TABELLE E LA DISCIPLINA

4) Il procedimento di formazione e di variazione delle tabelle Al procedimento di formazione delle tabelle – cui deve ora

at-tendersi con cadenza non più annuale, bensì biennale – prendono par-te diversi soggetti. Il primo di essi, naturalmenpar-te, è il capo dell’uffi-cio delle cui tabelle si tratta, al quale spetta il compito di esprimere i propri intendimenti in ordine all’organizzazione dell’ufficio medesi-mo, allegando, come prescrive il Consiglio superiore anche nella sua ultima circolare, una situazione dei processi civili e penali pendenti, così che possa valutarsi «se la distribuzione dei magistrati tra le di-verse sezioni ed i diversi settori del servizio corrisponda effettivamente alle specifiche esigenze dell’ufficio». S’intende che l’obbligo in que-stione compete anche ai dirigenti delle neoistituite preture circonda-riali, ciascuno dei quali deve farsi carico della previsione tabellare con riferimento sia alla sede centrale che alle sezioni distaccate della me-desima pretura (si veda in proposito la nuova formulazione del terzo comma dell’art. 39 dell’ordinamento giudiziario) (12).

La formulazione definitiva delle proposte tabellari, peraltro, co-me espressaco-mente dispone il primo comma del citato art. 7–bis, è sempre atto di competenza del presidente della Corte d’appello. E’

perciò da reputare che egli potrebbe, ove ne ravvisasse l’opportunità, anche apportare variazioni agli schemi predisposti dai dirigenti dei singoli uffici ricompresi nel distretto. Per la Corte di cassazione in-vece, come è ovvio, la proposta proviene direttamente dal presiden-te della Corpresiden-te.

Sulle proposte così formulate è prescritto che venga raccolto il parere – obbligatorio ma non vincolante – del Consiglio giudiziario del distretto (con la sola eccezione delle proposte relative alla cas-sazione, per le quali, non esistendo alcun Consiglio giudiziario astrat-tamente competente, nessun parere è richiesto (art. 7–bis ultimo

com-(12) Per alcune osservazioni concernenti specificamente le tabelle delle preture circondariali, vedi L. Scotti, In nota alla circolare del C.S.M. sulle tabelle per le pretu-re circondariali, in Documenti giustizia, 1989, n. 3, 40 ss.

ma). È questo, almeno potenzialmente, uno dei passaggi più rilevanti della procedura di formazione tabellare, perché è il momento in cui ciascun singolo magistrato operante negli uffici giudiziari interessa-ti può verificare il grado di razionalità del relainteressa-tivo sistema organiz-zativo ed, in qualche misura, contribuire a migliorarlo. E ciò non so-lo attraverso un meccanismo di partecipazione indiretta, ossia per il tramite dei colleghi da lui stesso eletti a far parte del Consiglio giu-diziario del distretto, ma anche in maniera più immediata ed incisi-va, grazie alla possibilità di prender visione delle proposte tabellari depositate nelle cancellerie dei singoli uffici interessati e di formu-lare proprie deduzioni al riguardo, secondo una procedura ormai da tempo codificata nelle circolari del Consiglio superiore. Non sono in grado di valutare se e quanto questa procedura abbia in concreto contribuito a migliorare il livello delle proposte tabellari; ma mi sem-bra ragionevole ipotizzare che – tenuto anche conto dell’ulteriore di-sposizione secondo cui le deduzioni degli interessati debbono for-mare oggetto del motivato parere del Consiglio giudiziario ed esse-re, al pari di questo,trasmesse al Consiglio superiore in allegato alle proposte tabellari – all’accennato sistema vada riconosciuto almeno il merito di costituire un notevole deterrente contro il rischio di even-tuali abusi nella formazione delle tabelle.

Ulteriori osservazioni sulle proposte tabellari, già passate al va-glio dei Consigli giudiziari, possono essere formulate dal Ministro di grazia e giustizia. Compete poi però sempre al Consiglio superiore dire in proposito la parola definitiva, deliberando di approvare le ta-belle in conformità alla proposta fatta o di apportarvi modificazioni suggerite dal Consiglio giudiziario, da singoli magistrati, dal Ministro, o anche di propria spontanea iniziativa. Le relative deliberazioni con-siliari sono poi destinate ad essere recepite in un apposito decreto del presidente della Repubblica che fissa definitivamente la forma-zione delle tabelle degli uffici giudiziari.

Mi sembra fuori dubbio che, trattandosi di un provvedimento di natura amministrativa, il decreto che delibera sulle tabelle possa es-sere impugnato, ove si ravvisino in esso motivi d’illegittimità, dinanzi al giudice amministrativo competente.

Tali tabelle, come già accennato, sono concepite per periodi di durata biennale, ma è stabilito che esse conservino comunque vigo-re fino a quando non sia stato effettivamente emanato il decvigo-reto vigo- re-lativo al biennio seguente (art. 7–bis, primo comma, ultima parte).

S’intende però che, nel corso del biennio, possono sopravvenire (e nei maggiori uffici quasi sempre sopravvengono) situazioni che im-pongono, o anche solo suggeriscono, l’adozione di variazioni tabella-ri. Vi si provvede con una procedura in tutto simile a quella sopra descritta, come al riguardo stabiliscono il secondo comma del più vol-te citato art. 7–bis e le ripetuvol-te circolari del Consiglio superiore. Metvol-te conto però sottolineare, a proposito di queste ultime, come proprio attraverso lo strumento del controllo sulle modificazioni tabellari si sia andata col tempo elaborando una rigorosa disciplina dei trasferi-menti dei magistrati nell’ambito del medesimo ufficio. Disciplina mo-dellata secondo regole del tutto corrispondenti a quelle dettate dal Consiglio superiore per gli spostamenti dei magistrati in uffici diver-si, a conferma della già sopra rilevata evoluzione del concetto di giu-dice naturale e della conseguente estensione della garanzia d’inamo-vibilità del giudice anche all’interno del medesimo ufficio.

Un accenno va fatto, infine, alle variazioni tabellari deliberate in via provvisoria dai dirigenti dell’ufficio in caso d’urgenza. A tal ri-guardo occorre premettere che, in un passato ancora relativamente recente, si reputava sempre immediatamente operativa qualsiasi di-sposizione con cui il capo dell’ufficio ne modificasse l’assetto orga-nizzativo, sicché la successiva approvazione della relativa variazione tabellare da parte del Consiglio superiore rischiava, nella realtà del-le cose, di costituire poco più che la tardiva ratifica di un fatto or-mai compiuto. E’ importante perciò che, recependo le indicazioni già contenute nelle più recenti circolari del Consiglio superiore, il se-condo comma del citato 7–bis preveda ora espressamente che l’im-mediata operatività delle variazioni è circoscritta ai soli provvedi-menti dei capi d’ufficio cui possa attribuirsi carattere di urgenza. Ed è del pari importante che lo stesso Consiglio superiore abbia ulte-riormente specificato, anche nell’ultima circolare emanata in tema di tabelle, che l’urgenza invocata per giustificare l’immediata operati-vità della variazione dev’essere espressamente motivata.

5) Supplenze

S’è già accennato che la relativa rigidezza della struttura tabel-lare non consente di prescindere da strumenti con cui sopperire ad esigenze impreviste, manifestatesi in epoca successiva alla

forma-zione delle tabelle e non tali da poterne procrastinare il soddisfaci-mento sino alla naturale successiva scadenza tabellare. E’ appunto per dar risposta a tali esigenze che si fa ricorso alla supplenza, pre-vista e disciplinata – accanto all’istituto, per certi versi affine, dell’ap-plicazione – già nell’originaria formulazione degli artt. 97 e segg.

dell’ordinamento giudiziario (13), ed in parte ora rimaneggiata da re-centi interventi legislativi connessi e successivi all’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale.

Della distinzione tra le accennate figure della supplenza e dell’ap-plicazione dirò poi; ora vorrei invece richiamare preliminarmente l’attenzione sulla recentissima circolare, approvata dal Consiglio su-periore della magistratura nel decorso mese di aprile (14), che con-tiene un’elaborata e completa ricapitolazione dell’intera materia alla luce delle ultime innovazioni legislative, ed alla quale sarà perciò gio-coforza fare in prosieguo costante riferimento.

Della supplenza intanto varrà subito la pena di ricordare che es-sa è una figura già largamente nota ed applicata nel diritto ammi-nistrativo, con caratteri di generalità, ogni qual volta il titolare di un determinato ufficio pubblico manchi, sia assente o impedito e deb-ba essere perciò temporaneamente sostituito (15). Il supplente, in tal caso, assume esattamente la posizione di colui che è chiamato a so-stituire, svolge il medesimo ruolo ed esercita gli stessi poteri che la legge attribuisce a quello: opera, insomma, in tutto e per tutto come se fosse il sostituito.

Va da sé che simili eventualità ben possono presentarsi anche nel funzionamento degli uffici giudiziari; ed, anzi, la probabilità del loro verificarsi, specie nel caso di uffici di maggiori dimensioni, è così ele-vata da imporre di tenerne conto in linea preventiva e generale.

Pertanto, in taluni casi, principalmente con riguardo all’eventuale ne-cessità di sostituzione del capo dell’ufficio, la legge stessa determina il modo di attuazione della supplenza (cfr., ad esempio gli artt. 104 e 109 dell’ord. giudiziario); e, quanto al resto, già da tempo il Consiglio superiore prescrive che nella formazione delle tabelle, per ciascuna

(13) Per una compiuta analisi della disciplina delle applicazioni e delle supplenze prima delle più recenti innovazioni normative, vedi L. Scotti, Supplenze ed applica-zioni, in Quaderni del C.S.M., 1988, n. 24, 58 ss.

(14) Circolare protocollo n. 7704 del 2 maggio 1991, approvata nella seduta del 24 aprile 1991.

(15) Cfr. P. Virga Diritto amministrativo, Milano 1989, 87 ss.

udienza e per ciascun collegio, debbano essere indicati i nominativi degli eventuali sostituti, così da assicurare comunque la garanzia del-la precostituzione del giudice rispetto aldel-la causa. Il che sembra tro-vare ora conferma nella disposizione,invero non molto felice né per formulazione né per collocazione, contenuta nel secondo comma del nuovo art. 7–ter dell’ordinamento giudiziario. In siffatte ipotesi, la so-stituzione avrà pertanto carattere automatico e non determinerà, ov-viamente, alcuna necessità di variazione tabellare.

Il problema si pone però in termini diversi quando la sostitu-zione non sia stata preventivamente contemplata, o comunque non possa attuarsi come stabilito dalle tabelle o secondo altro meccani-smo automatico già previsto dalla legge. In tal caso, dandosi per scon-tata la necessità di assicurare in qualche modo l’esercizio concreto della funzione giudiziaria, possono astrattamente ipotizzarsi due so-luzioni differenti, a seconda che il sostituito venga reperito nell’am-bito del medesimo ufficio in cui opera il titolare (così detta supplenza interna) oppure in un ufficio diverso (supplenza esterna). La prefe-renza da accordare alla prima soluzione, se praticabile, è ovvia: va da sé che, in tal caso, la sostituzione è disposta direttamente dal ca-po dell’ufficio in questione, né essa necessariamente richiede, secondo quanto precisato anche nell’ultima citata circolare del Consiglio su-periore, il consenso dell’interessato. Pur implicando inevitabilmente uno scarto tra la previsione tabellare e la reale composizione dell’or-gano giudicante, l’ipotesi di supplenza (interna) cui ora s’è fatto cen-no cen-non comporta, secondo il Consiglio superiore, l’adozione della procedura di variazione formale delle tabelle. Il che si spiega con il carattere assolutamente precario che l’operata sostituzione deve pur avere, con la sua naturale limitazione alla sola durata dell’impedi-mento del titolare e con la connessa, obiettiva difficoltà di attuare in tempo utile l’ipotizzata procedura di variazione tabellare.

Quando la sostituzione non possa avvenire nell’ambito del me-desimo ufficio, è ammesso il ricorso a magistrati di un ufficio di-verso, purché entro i limiti dello stesso distretto e senza commistio-ne tra funzioni requirenti e giudicanti. Con le disposizioni (pure in parte modificate) dell’ordinamento giudiziario concorre qui, ma non sempre in modo del tutto coordinato, la norma contenuta nell’art. 2 del d. lgs. lgt. 3 maggio 1945, n. 232, che pone tra i presupposti del-la supplenza, accanto alle ipotesi di impedimento o mancanza, an-che quella dell’assenza del titolare. Espressione, questa, an-che non

sem-bra però tanto realmente allargare l’ambito dell’istituto in esame, quanto piuttosto specificare che esso trova (ovviamente) applicazio-ne anche in caso di assenza del titolare non giustificata da alcun ap-parente impedimento. Merita maggiormente di esser sottolineato, in-vece, che il medesimo citato art. 2, nel ricollegare la supplenza ad una «improvvisa ed urgente necessità», esprime, in altra forma, la stessa già accennata regola, da reputarsi ormai insita nei principi che reggono la materia, secondo cui il ricorso alla supplenza esterna (e quindi sempre extratabellare) è giustificato solo come rimedio estre-mo e residuale, in presenza di eventi anomali che non consentano altra scelta.

Quanto alla disciplina della supplenza esterna, rinviando per un più minuto esame delle singole possibili fattispecie alla citata circo-lare del Consiglio superiore, vorrei qui limitarmi soltanto ad alcune indicazioni essenziali.

In primo luogo merita di essere rilevato che, accanto a specifiche competenze attribuite in proposito ai presidenti di Tribunale (cui è ri-messa la potestà di ricorrere ad un pretore o ad un vice pretore per integrare la composizione di un collegio giudicante: art. 105 dell’ord.

giudiziario) ed ai presidenti di Corte d’appello (che, per analoghe esi-genze, possono far ricorso al presidente del Tribunale o di una se-zione di questo: art. 108, terzo comma), il già citato art. 2 del d. lgs.

lgt. n. 232/45 attribuisce agli stessi presidenti di Corte d’appello una generale potestà di disporre supplenze (anche esterne), ove ne sussi-stano le condizioni, per tutti gli uffici del distretto. E’ perciò senz’al-tro possibile il ricorso ad un giudice di tribunale o ad un pretore per sostituire un consigliere della Corte d’appello. Qualche dubbio po-trebbe invece nutrirsi per l’ipotesi contraria, stando anche ad un pas-saggio della citata circolare del Consiglio. Ma, in definitiva, non par-rebbero doversi ravvisare ostacoli particolari neppure per la sostitu-zione di un giudice di tribunale o di un pretore con un consigliere della Corte, giacché l’inciso «anche con magistrati di grado inferiore», contenuto nel citato art. 2, pare inteso più ad ampliare che a restrin-gere l’ambito delle sostituzioni astrattamente consentite; e, trattando-si appunto di una mera supplenza, non dovrebbe giocare qui alcun ruolo neppure il così detto principio dell’irreversibilità delle funzioni.

Per gli uffici del pubblico ministero un analogo generale potere di sostituzione è attribuito dall’art. 109, ult. comma, dell’ordinamento giudiziario al procuratore generale. Ogni possibilità di sostituzione

reciproca tra magistrati giudicanti e requirenti, pur all’interno del medesimo distretto, parrebbe ormai insanabilmente in contrasto con le linee generali del sistema delineato dalle suaccennate norme.

Sempre secondo la più volte citata circolare del Consiglio, nep-pure la supplenza esterna presuppone necessariamente il consenso del magistrato chiamato a sostituirne un altro: e su ciò sarebbe dif-ficile dissentire, atteso che la legge non richiede tale consenso nem-meno per la più rilevante ipotesi dell’applicazione (sempre che que-sta non superi la durata di un semestre). Tuttavia, val la pena di se-gnalare che la stessa circolare suggerisce di porre sempre gli inte-ressati in grado di esporre preventivamente il proprio gradimento, o le ragioni del contrario, ed impone di operare poi secondo criteri obiettivi, che tengano conto delle esigenze del servizio ed, in secon-do luogo, delle qualifiche personali dei magistrati in questione.

Il provvedimento in esame, proprio in quanto prescinde da ogni automatismo ed implica l’esercizio di un potere discrezionale, non può comunque fare a meno di una congrua motivazione. Motivazione nella quale, intuitivamente, dovrà trovar posto anche una valutazio-ne comparata delle esigenze dell’ufficio di destinaziovalutazio-ne e di quello di provenienza del supplente, non potendosi razionalmente accetta-re che, per sopperiaccetta-re alle caaccetta-renze temporanee di un ufficio, se ne creino di più gravi in un altro (e questo anche nel caso, reputato am-missibile dal Consiglio superiore nella sua recente circolare, di so-stituzione part–time).

Neppure la supplenza esterna, a giudizio del Consiglio superio-re, determina una vera e propria modifica tabellasuperio-re, tale per cui si renda necessario dar corso alla relativa procedura di variazione. La circolare del Consiglio giustifica tale affermazione col fatto che «il supplente prende il posto del magistrato già previsto nelle tabelle o nei turni». Spiegazione, questa, che appare in verità poco persuasi-va, ve si faccia riferimento alle supplenze esterne (o comunque non disposte in base ad automatismi predeterminati), perché non si può dimenticare che le tabelle ormai non servono solo ad identificare una astratta ripartizione di funzioni, bensì assai più specificamente a de-terminare le persone che quelle funzioni sono chiamate a svolgere in circostanze determinate. Poco male, però: in quanto lo stesso Consiglio, preoccupato del rischio di supplenze improprie, volte in realtà a mascherare vere applicazioni, ha prescritto che alla proce-dura di variazione tabellare prevista per queste ultime debba

co-munque farsi luogo ove la supplenza abbia durata superiore ad un mese. E per quelle di durata minore – considerato che la supplenza è pur sempre legata ad un caso eccezionale, che presumibilmente giustificherebbe comunque l’adozione del relativo provvedimento con efficacia immediata – la disposizione secondo la quale il provvedi-mento medesimo deve essere inviato al Consiglio superiore per l’provazione (o la disapl’provazione, che implica annullamento) (16) ap-pare, in definitiva, idonea ad assicurare la sufficiente tenuta del si-stema di garanzie inerente alla materia in questione (17).

6) Applicazioni

La figura dell’applicazione, soprattutto dopo le recenti modifiche apportate agli artt. 110 e seg. dell’ordinamento giudiziario dalla leg-ge 21 febbraio 1989, n. 58 (18), è nettamente distinta (almeno in teo-ria) dalla supplenza. Se quest’ultima, come s’è visto, presuppone la mancanza o l’impedimento (o comunque l’assenza) del titolare di un ufficio, il cui posto viene perciò preso temporaneamente dal supplente, l’applicazione prescinde completamente da qualsiasi situazione di vuo-to provvisorio di organico ed implica che l’applicavuo-to sia chiamavuo-to a svolgere un compito suo proprio, la cui necessità deriva da fattori non necessariamente legati ad un assenza altrui. Il che significa, in primo luogo, che l’applicazione può essere disposta, come espressamente sta-bilisce il nuovo testo dell’art. 110 dell’ordinamento giudiziario, anche a favore di un ufficio con organico completo; ed, in secondo luogo, che il magistrato applicato è destinato ad avere un proprio autono-mo ruolo, che si affianca a quelli dei magistrati già in servizio nel medesimo ufficio, e non subentra in luogo di altri.

(16) L’esistenza di un potere di annullamento, da parte del Consiglio superiore, dei provvedimenti di supplenza ed applicazione comunicatigli dai capi degli uffici per il relativo controllo è stata espressamente affermata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 245 del 1974; l’importanza di tale principio è particolarmente sottolinea-ta da M. Devoto, op. cit., 3352 ss.

(17) Sulla legittimità dell’istituto della supplenza si è più volte pronunciata la Corte costituzionale: cfr. sentenze n. 156 del 1963, n. 173 del 1970, n. 245 del 1974, n. 71 del 1975 e n. 52 del 1977).

(18) Sulle linee generali della citata legge, vedi W. Zagrebelsky, Proposte governa-tive in materia di ordinamento giudiziario, in Documenti giustizia, 1988, n. 3-4, 93 ss., e V. Carbone, I magistrati non sono più inamovibili?, in Corriere giur., 1990, 463 ss.

L’applicazione quindi, a rigor di logica, per non smentire gli ac-cennati caratteri distintivi, dovrebbe essere giustificata unicamente da eventi che determinano una temporanea inadeguatezza dell’orga-nico assegnato ad un determinato ufficio (per esempio, a causa del sopravvenire di un processo di particolari dimensioni e complessità, che assorba il lavoro di una parte cospicua dei magistrati di quell’uf-ficio e comprometta perciò il disbrigo del lavoro ordinario).

Sembrerebbe perciò naturale supporre, a prima vista, che all’appli-cazione si possa fare ricorso solo quando non sia possibile attingere alle forze proprie dell’ufficio, oppure, in caso di organico incomple-to, quando l’organico medesimo non possa essere essere reintegrato in tempo utile in via ordinaria o in virtù di un provvedimento di sup-plenza. Le cose non stanno però esattamente così, in quanto la for-mulazione del novellato art. 110 dell’ordinamento giudiziario, nel li-mitarsi ad indicare che l’applicazione può trovar luogo «indipenden-temente dalla integrale copertura del relativo organico», non la con-nota di alcun carattere sussidiario rispetto alla supplenza. Ed allora non è difficile immaginare che tale figura verrà sovente di fatto ad assolvere (come già in concreto accade) a quelle medesime necessità alle quali, in situazione di organico incompleto, si potrebbe teorica-mente sopperire anche con un provvedimento di supplenza. Il che,

Sembrerebbe perciò naturale supporre, a prima vista, che all’appli-cazione si possa fare ricorso solo quando non sia possibile attingere alle forze proprie dell’ufficio, oppure, in caso di organico incomple-to, quando l’organico medesimo non possa essere essere reintegrato in tempo utile in via ordinaria o in virtù di un provvedimento di sup-plenza. Le cose non stanno però esattamente così, in quanto la for-mulazione del novellato art. 110 dell’ordinamento giudiziario, nel li-mitarsi ad indicare che l’applicazione può trovar luogo «indipenden-temente dalla integrale copertura del relativo organico», non la con-nota di alcun carattere sussidiario rispetto alla supplenza. Ed allora non è difficile immaginare che tale figura verrà sovente di fatto ad assolvere (come già in concreto accade) a quelle medesime necessità alle quali, in situazione di organico incompleto, si potrebbe teorica-mente sopperire anche con un provvedimento di supplenza. Il che,

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 58-69)