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VERIFICHE SUL LAVORO GIUDIZIARIO

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 116-124)

Relatore:

dott. Giacomo SCALZO

presidente di sezione del Tribunale di Catania

1. Il tema riceve luce (interpretativa) da quello affidato al colle-ga Rossi, per la stessa giornata di dibattito, sui «compiti dei dirigenti degli uffici in relazione alla progressione in carriera dei magistrati».

Il «laccio» è nel complemento di specificazione … (dei dirigen-ti): si vuole dire che il tema a me assegnato si impernia nei rappor-ti tra presidente di sezione e giudice istruttore in funzione di giudi-ce unico, inalterati essendo rimasti quelli tra presidente di sezione e giudice istruttore per le cause di attribuzione colleggiale.

2. Non mi pare che possano trarsi argomenti dalle precedenti esperienze di giudice unico nel processo civile. Mi riferisco, pun-tualmente, alla breve stagione dell’istituzione del giudice unico con la legge 19/12/1912, n. 1311, e con l’altra dell’11/8/1973, n. 533.

2a. La legge 19/12/1912, n. 1311, ebbe vita breve e contrastata.

Le disposizioni di attuazione furono date col R.D. 27/8/1913, n. 1015;

ma col R.D. 27/12/1914 — n. 1404 — se ne sancì l’abrogazione.

Si era operato allora (come oggi con l’art. 88 della legge 26/11/1990, N. 353) su una norma dell’ordinamento giudiziatio fis-sandosi all’art. 18 il principio dell’abolizione del collegio nei giudizi civili dei tribunali in prima istanza e della sostituzione al collegio del giudice unico. (1)

(1) L’art. 18 così recitava: «La giustizia nei tribunali è amministrata dal presi-dente e da un giudice singolarmente nei giudizi di prima istanza in materia civile», l’art. 19: «In ogni tribunale v’è un presidente, e vi possono essere uno e più giudici».

Le linee della riforma furono, col r.d. cit. n. 1105 del 1913 (sti-lato da una commissione di giuristi presieduta da Ludovico Mortara), le seguenti: il decreto d’attuazione, pur conservando formalmente la divisione dell’udienza in due parti, quale era stata introdotta con la legge 1901, ne alterava completamente il significato. Infatti, mentre nel procedimento sommario era riservata al presidente soltanto la prima fase meramente preparatoria e di discussione, la riforma del 1913 attribuì al presidente ambedue le fasi della udienza: la prima, destinata all’attività ordinatoria del processo, ai rinvii, alla cancella-zione da ruoli, e la seconda, destinata alla preparacancella-zione per la deci-sione delle cause contumaciali e di quelle da trattare senza differi-menti, e, soprattutto, alla nomina del giudice unico.

In questa seconda fase potevano verificarsi tre ipotesi: 1) che la causa non avesse bisogno di ulteriori atti di istruzione e fosse, quin-di, pronta per la decisione; 2) che una sola delle parti chiedesse il compimento di atti istruttori; 3) che attore e convenuto concorde-mente chiedessero l’ammissione di un mezzo di prova. Nel primo ca-so, il presidente normalmente si limitava a nominare il giudice cui spettava decidere la causa ed a fissare il termine per il deposito dei fascicoli in cancelleria e per lo scambio delle comparse conclusiona-li (artt. 4 e 9). Nella seconda e terza ipotesi al giudice prescelto spet-tava la decisione di ogni questione istruttoria e l’esecuzione degli at-ti di istruzione di cui le parat-ti avessero fatto concorde richiesta o la cui ammissibilità avesse deciso con sentenza (art. 12). Il magistrato nominato, qualora la causa fosse pronta per la decisione e le parti non ne chiedessero la discussione pubblica, poteva pronunciare sul merito sulla base dei soli fascicoli depositati in cancelleria (art. 5).

Va notato che la riforma ampliò notevolmente – nella prospettiva di una tendenziale pubblicizzazione del processo civile – la sfera dei po-teri del giudice, consentendogli di provocare sia la comparizione in contraddittorio dei procuratori (art. 5), che la comparizione perso-nale delle parti (art. 6).

Compiuti da parte del giudice gli atti di istruzione, potevano dar-si due ipotedar-si: 1) che le parti chiedessero ulteriori atti istruttori; 2) che attore e convenuto chiedessero la pronuncia della sentenza. Se vi era accordo tra le parti su queste istanze, il magistrato procedeva all’assunzione delle prove, ovvero fissava il termine per la presenta-zione delle comparse conclusionali (cfr. il combinato disposto degli art. 14, 5-6). Nell’ipotesi di disaccordo, invece, la causa doveva

ritor-nare davanti al presidente, il quale nominava il giudice cui affidare la decisione, che poteva essere diverso dal precedente. La pronuncia sul merito della lite, quindi, spettava al giudice incaricato dell’istru-zione della causa, solo se le parti ne facevano concorde richiesta.

La legge di riforma aveva delineato un procedimento più rapi-do, sia per avere di molto ridotto le possibilità di rinvii, sia per ave-re semplificato la procedura per la risoluzione delle questioni inci-dentali ed istruttorie. Tuttavia, pur essendosi stabilito che alla no-mina del giudice della causa si dovesse provvedere già nella secon-da fase dell’udienza presidenziale (art. 2), la nomina stessa poteva essere differita ad altra udienza, per permettere al presidente una va-lutazione preventiva della natura, importanza o difficoltà del caso (art. 5) in relazione alla scelta del magistrato.

In conclusione, quindi, il giudice monocratico sostituì il collegio solo nelle funzioni di decisione, essendo stato conservato come or-gano autonomo il presidente, del quale, anzi, vennero ampliati i po-teri ed alla cui valutazione discrezionale era rimessa la scelta del ma-gistrato decidente (2).

Interessante è segnalare le considerazioni svolte nella relazione a S. E. il Ministro Guardasigilli dal Presidente della commissione in-caricata di esaminare le osservazioni e i voti delle Curie intorno al R. D. 27/8/1913, n. 1015.

Trascrivo — testualmente — qualche brano: (3)

«Se non che la legge del 1912 conservava il giudice nel seno di un collegio, come membro di questo, e conservava altresì la costituzione gerarchica del collegio nella sua integrità. La competenza materiale e territoriale, cioè il potere giurisdizionale effettivo non appartiene al dice, ma al Tribunale … In conclusione, l’autonomia organica del giu-dice non è praticamente possibile, o è possibile soltanto in quanto si accentri nel capo del Tribunale la personalità visibile del giudice uni-co, facendo dipendere dall’esercizio del suo potere regolatore e disci-plinatore l’assegnazione del singolo giudice per la singola causa. Il che, se può avere qualche lato seriamente apprezzabile, in quanto

garanti-(2) Le notizie e le considerazioni sono tratte da Zanuttigh — Il giudice unico nella riforma del 1912 in Riv. Dir. Proc. 1971 — 688 ss. e da Pozzi — voce Giudice unico — Enciclopedia giuridica n. 283, Milano 1916 — MI 1360 ss.

(3) v. «I progetti di riforma del processo civile (1866-1935)» — Tomo I — pagg.

337 ss. — Giuffrè.

sce la regolare distribuzione del servizio giudiziario e può anche con-tribuire a una certa selezione che adegui all’importanza della lite il va-lore personale del giudice, non può fare a meno di funzionare come una ragione di ritardo al procedimento e produce sostanzialmente una vera alterazione dell’indole e del carattere organico dell’istituto…».

Già nella relazione ministeriale (Min. Finocchiaro-Aprile) alla Camera (4) si accennava specificatamente a poteri presidenziali …

«E inoltre al presidente di Tribunale, vigile e oculato, non riuscirà, poi, difficile di distribuire le cause tra i vari giudici a seconda delle attitudini e capacità di ciascuno di essi».

Conclusivamente, si può dire che nel volgere di pochi mesi si ebbe, ad opera delle stesse persone (ad. es. il Mortara fu il presidente della commissione che stilò le disposizioni di attuazione della legge istitutiva del giudice singolo e — anche — dell’altra di abrogazione di essa), una spinta convinta alla riforma e altra spinta — paramenti convinta — alla controriforma.

Si pensò, in un primo momento, che la istituzione del giudice unico fosse il toccasana al «considerevole arretrato» civile e all’eli-minazione della «finzione» del collegio; si ripensò, subito dopo, che la riforma non poteva mai servire «con utile effetto alla retta am-ministrazione della giustizia» perché i vantaggi o i benefici della di-scussione collegiale e della impersonalità del giudicato si erano ri-conosciuti irrinunciabili.

2b. La legge 11/8/1973, n. 533, ta le disposizion sul regime tran-sitorio e sulle strutture giudiziarie, prevede — art. 20, co. 3° — che per le cause pendenti in primo grado avanti il Tribunale ove non sia-no pervenute alla fase decisoria il giudice istruttore decide poi in funzione di giudice unico.

L’esperienza dottrinaria e giurisprudenziale (quasi assoluta) (5) ci ha condotto a ritenere che, in via transitoria, si è diversificato, ri-spetto al collegio, un giudice (transitorio e unico) che operava, per le cause non pervenute alla fase decisoria e applicando (co. 1° stes-so articolo) le norme stes-sopravvenute, nel Tribunale.

(4) In LEX — 1912 — pagg. 982 ss.

(5) Per la tesi quasi assoluta v. Cass. 21/3/1976, n. 1140; per la tesi contraria, Cass. 15/3/1976, n. 944.

In sintesi, ferma la competenza del Tribunale (co. 2° art. cit.), il giudice unico decideva con una forma processuale diversa. (6)

Non, dunque, questione di competenza tra tale organo (transi-torio) e collegio, ma di rito e di ripartizione dei compiti tra diversi componenti dello stesso ufficio (7).

Qui — forse — è la radice dell’art. 274 bis della legge n. 353/1990, in particolare dell’ultimo comma ove si prevede che «alla nullità de-rivante dall’inosservanza delle disposizioni di legge relative alla com-posizione del Tribunale giudicante si applicano gli art. 158 e 161, primo comma».

La questione, così, «viene espressamente ricondotta al genus di quelle relative ai vizi di costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 del C.P.C., al pari di quanto è avvenuto con l’articolo 1, comma 2, del d.l. 15/5/1989, n. 173, convertito, con modificazioni dalla legge 11/7/1989, n. 251, in riferimento ai rapporti tra le diverse sedi del-la pretura circondariale. Ciò comporta che, esclusa l’applicabilità della disciplina dettata per l’incompetenza, qualora una causa avreb-be dovuto essere decisa dal giudice unico sia decisa dal collegio o viceversa, la parte soccombente potrà lagnarsene in sede di impu-gnazione della sentenza definitiva sul merito, come già avviene per il caso in cui una causa che dovrebbe essere trattata in una sede di-staccata di pretura sia trattata e decisa nella pretura circondariale o viceversa» (8).

3. L’impianto della legge 20/11/1990, n. 353, nei rapporti presidente (di sezione) e giudice istruttore in funzione di giudice unico.

3a. Vi sono tra passi nella relazione Acone-Lipari su cui portare l’attenzione: il primo (sub 4) sulla scelta della istituzione del giudice monocratico di Tribunale e sulla riserva di alcune materie, da consi-derarsi eccezionali, alla trattazione collegiale, con la contestuale rego-lazione dei rapporti interni all’organo giudiziario, comunque

destina-(6) A. Nasi — in Tribunale e giudice istruttore in funzione di giudice unico: com-petenza o rito? — in Riv. Dir. Proc. 1976 — 844 ss».

(7) Cass. cit. n. 1140/1976.

(8) Relazione della 2a commissione permanente (giustizia) — relatori Acone e Lipari — sub. 4.

to a conservare la sua unitarietà …»; il secondo (sub 4.1) … «la strut-tura del processo innanzi al Tribunale, quindi, salvo quanto si dirà ap-presso in riferimento alla razionalizzazione del procedimento, non è destinata a subire modificazioni per la mutata composizione dell’or-gano giudicante: il giudice istruttore svolgerà i compiti che già gli so-no assegnati. Al momento della rimessione della causa al collegio, so-non solo non fisserà mai, in assenza di specifica istanza di parte, alcun’al-tra udienza, ma, se la causa non rienalcun’al-tra in una di quelle speficifica-mente indicate dal novellando articolo 48 del R. D. 30/1/1941, n. 12, sull’ordinamento giudiziario, si limiterà a trattenerla per la decisione.

Altrimenti la decisione sarà resa collegialmente; il terzo … «tanto il primo (il giudice monocratico) quanto il secondo (il collegio) sono de-stinati ad essere organi del medesimo ufficio, rispetto ai poteri del quale soltanto potrebbe porsi una questione di competenza».

3b. Dal complesso delle norme novellate si trae il convincimen-to che esiste un «collegamenconvincimen-to» (9) di ordine «esterno» (si chiarirà più oltre) tra il presidente (di sezione) e il giudice istruttore in fun-zione di giudice unico, non un collegamento di ordine «interno», fis-sando subito che tale è quello sulla giurisdizione, o più puntualmente sulla decisione.

É il presidente (art. 168 bis, co. 1°), su presentazione del fasci-colo da parte del cancelliere, a designare il giudice istruttore, sic et sempliciter, o quello in funzione di giudice unico; é il presidente an-che nei procedimenti cautelari, an-che, su presentazione del fascicolo formato dal cancelliere dopo il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice competente — art. 669 bis —, designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento (art. 669 – quater, ult. co);

è il presidente che (art. 669 – quater, co. 2°), in caso di presen-tazione di domanda cautelare in pendenza della causa di merito quan-to il giudice istrutquan-tore non è staquan-to ancora designaquan-to ovvero il proce-dimento è sospeso o interrotto, a designare il giudice che deve trat-tare la domanda;

è il presidente che provvede alla sostituzione del giudice istruttore, anche in funzione del giudice unico, nei casi previsti dall’art. 174 C.P.C.;

(9) Satta in Commentario al Codice di Procedura civile. F. Vallardi 1959/1960 — libro 2°, p. I, pag. 45.

nessun potere di controllo ha il collegio sulle ordinanze del giu-dice istruttore che opera in funzione di giugiu-dice unico (art. 178, co 2°) e sul deferimento del giuramento suppletorio per le cause attri-buite alla cognizione del giudice monocratico (art. 240 novellato), ec-cezione fatta per la decisione sul reclamo contro il provvedimento cautelare concesso dal giudice singolo (art. 669, – terdecies co. 2°).

In tale ipotesi del collegio non può fare parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato.

É quest’organo che regola, secondo le scansioni di legge, i momenti della fase introduttiva, di quella istruttoria e di quella decisoria.

É sempre nei poteri presidenziali l’abbreviazione dei termini di comparizione (art. 163 – co. 2°) e l’anticipazione dell’udienza fissa-ta dall’attore (art. 163, – co. 3°).

É il presidente (anche di sezione) a dare concreta esecuzione al-la disposizione dell’art. 91 – co. 1° — (organizzazione degli uffici nel-la fase transitoria) sulnel-la assegnazione, in sede di designazione, delle cause «di nuovo rito» ai magistrati non addetti esclusivamente alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore della legge di riforma.

É, infine, il presidente del Tribunale, che, con suo decreto, sta-bilisce i giorni della settimana e le ore delle udienze destinate esclu-sivamente alla prima comparizione delle parti davanti al giudice istruttore anche in funzione di giudice unico (art. 69 bis delle disp.

di attuaz. nel testo novellato).

4. Da quanto sin qui argomentato o considerato possono trarsi le conclusioni che seguono:

sicuramente il giudice monocratico fa corpo con il Tribunale o la sezione di cui è un’articolazione per la trattazione e decisione del-le cause a lui attribuite;

i rapporti tra detti organi non si risolvono nel quadro della com-petenza ma della regolare costituzione del giudice; nell’ambito giu-risdizionale nessuna possibilità di «raccordo» è prevista — o preve-dibile — tra il giudice monocratico, il presidente o il collegio;

sussistono però, i poteri o controlli «esterni» — a carattere or-ganizzatorio — di cui si è parlato sub. 3.

Il presidente (anche di sezione) potrà verificare il rispetto dei tempi processuali assegnati al giudice monocratico (ad es. anche il potere di differimento della prima udienza, art. 168 bis ult. co),

pun-tualmente quelli previsti dall’art. 190 novellato sul deposito delle sen-tenze e sulla fissazione dell’udienza di discussione se una delle par-ti lo abbia richiesto.

5. Il più pregnante, e forse al confine tra giurisdizione o orga-nizzazione, è il potere presidenziale di designazione del giudice mo-nocratico. A ben vedere è, però, lo stesso problema di designazione del giudice istruttore per le cause collegiali.

Per quanti «addrizzamenti» si possono escogitare, non pare che in detto momento si possa trascurare il trinomio, natura della cau-sa (ovviamente nell’ambito delle materie assegnate tabellariamente alla sezione), attitudine del giudice, carico di lavoro giudiziario.

6. V’è — infine — da auspicare che preziose esperienze giuri-sprudenziali sezionali, come ad es. la materia delle espropriazioni per pubblica utilità o dell’appalto di opere pubbliche, non si disper-dano nei vari «rivoli» del giudice monocratico.

Ogni presidente (soprattutto di sezione) potrà assumere l’inizia-tiva di raccordare, su un piano di mera efficienza organizzatoria e di «prodotto» giudiziale, pe evitare sbandamenti giurisprudenziali il lavoro giudiziario del giudice monocratico.

Ma qui peserà molto il fattore umano, carente — come ritenia-mo di avere diritenia-mostrato — essendo ogni vincolo giuridico.

IL NUOVO ASSETTO DEGLI UFFICI RICHIESTO DALLA

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 116-124)