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Le leggi contro la carriera e la prassi in materia di pareri pri- pri-ma della circolare del 1985

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 78-82)

COMPITI DEI DIRIGENTI DEGLI UFFICI IN RELAZIONE ALLA PROGRESSIONE IN CARRIERA DEI MAGISTRATI

2) Le leggi contro la carriera e la prassi in materia di pareri pri- pri-ma della circolare del 1985

Tutte le esigenze e dinamiche individuate erano, peraltro, già presenti al momento in cui il CSM decise di impegnarsi in modo de-cisivo elaborando la nuova circolare sui pareri, sulla base dell’obiet-tivo di fondo «di mutare radicalmente la cultura sottesa al tipo di pareri fin qui inviati dai Consigli Giudiziari» (11).

Opportuno, allora, appare ricordare i contenuti essenziali delle leggi che nell’arco di tredici anni (dalla l. n. 570/66 alla l. n. 97/79) innovarono profondamente il precedente sistema di «carriera» in Magistratura, per comprendere meglio la «filosofia» delle verifiche professionali che si introdussero al posto dei precedenti sistemi con-corsuali astratti e generali che regolavano le «promozioni».

Le leggi (12) sono tutte estremamente precise nel far riferimento, come parametri di valutazione, al momento del conseguimento delle diverse qualifiche, esclusivamente a dati (o se si vuole, a «valori») af-ferenti alla c.d. personalità tecnico-professionale del magistrato: labo-riosità, capacità, diligenza, preparazione, equilibrio. Su tali dati dove-vano e debbono, quindi, essere elaborati dai Consigli Giudiziari i pa-reri per i nuovi avanzamenti nelle qualifiche, in funzione selettive pu-ramente negativa (13). In sede di attuazione delle leggi, il Consiglio Superiore è intervenuto, poi, in alcune occasioni per chiarire il detta-to legislativo specificando altresì ai Consigli Giudiziari l’oggetdetta-to ed i limiti della competenza consultiva normativamente loro affidata.

In una prima occasione (14) il Consiglio esplicitava il divieto del-la motivazione (dei pareri) ob redel-lationem (ai rapporti dei dirigenti ov-vero ai precedenti pareri redatti), configurandosi in tale condotta un vero e proprio tradimento da parte dei Consigli giudiziari delle ra-gioni stesse della collegialità e della consulenza; invitava quindi, i

(11) Così si legge nei lavori del comitato istituito per la predisposizione della nuova circolare, pubblicati nel volume del CSM, «La circolare sui pareri dei Consigli giudiziari», Roma, 1986, pag. 27;

(12) V. Art. 3 l. 25/7/66 n. 570; art. 1 l. 20/12/73 n. 831; art. 2 l. 2/4/79 n. 97;

(13) Evidente è il parallelismo con le scarsissime procedure avviate ai sensi dell’art. 3 legge guarantige (RDL 31. 5. 46 n. 511) sulla dispensa per debolezza di men-te o infermità: sul che cfr. G. Di Federico, «Limiti ed inefficienza degli strumenti di selezione negativa dei magistrati» in AA. VV. «La selezione dei magistrati; prospetti-ve psicologiche», Milano 1976, pag. 11 ss.;

(14) V. Circolare CSM 20. 5. 77 pubblicata nel notiziario n. 8/77;

Consigli ad una autonoma acquisizione ed elaborazione dei dati ri-chiedendo che gli stessi fossero completi, che l’iter del giudizio se-guito risultasse documentato e verificabile, che gli eventuali elementi negativi fossero specificamente indicati e non «assorbiti» in quelli positivi, che ogni informazione utilizzata fosse adeguatamente moti-vata, che il parere contenesse anche l’esposizione dei motivi addotti dalla minoranza e che, infine, venissero sviluppati criteri analitici nell’acquisizione dei dati concernenti l’operosità.

In un secondo intervento, poi, (15) nell’affrontare il problema più generale della progressione in carriera in pendenza di procedimenti penali e/o disciplinari, il Consiglio rammentava come i riferimenti normativi preposti a detta progressione (e, di conseguenza, all’attività consultiva precedente demandata ai C.G.), fossero univocamente in-dirizzati a far risaltare non la personalità globale del magistrato (co-me uomo, cittadino, ecc.) ma la sola personalità tecnica, cui doveva ancorarsi la valutazione. Il che significava bandire in primo luogo dai pareri il riferimento a «valori» estranei al dato normativo, indeter-minati ed arbitrari nelle possibili applicazioni concrete.

Tanto che il Consiglio affermava esplicitamente che «se così non fosse si correrebbe il rischio di valutazioni (positive o negative) com-piute prevalentemente sulla base di dati spuri (l’eticità, la probità, il costume, l’ideologia, ecc.) e non finalizzati nè finalizzabili alla valu-tazione tecnica» (16).

Infine, in un successivo intervento di carattere generale a pro-posito delle nomine a Magistrato d’Appello e di Cassazione (17) il Consiglio approfondiva una serie di problemi connessi al rapporto tra dispositivo dei pareri e limitazioni o riserve emerse sull’idoneità del promuovendo, distinguendo tra l’idoneità generica connessa all’attribuzione della qualifica (che non poteva che dar luogo a di-spositivi privi di limitazioni e riserve) e l’idoneità specifica connes-sa al successivo conferimento di una funzione (rispetto alla quale ben si potevano evidenziare, nel corpo della motivazione del pare-re, elementi negativi).

(15) Risoluzione CSM 17. 5. 78, pubblicata nel volume speciale «Il Consiglio Superiore della Magistratura», Roma 1981, pag. 132, numero dedicato all’attività del Consiglio nel quadriennio 1977-1981;

(16) Ibidem, pag. 137;

(17) Circolare CSM 20/2/80, pubblicata nel Notiz. 3/80;

Orbene, in base al semplice oggetto dei tre interventi citati del CSM risultano quelli che già allora erano i principali «vizi» ricor-renti nei pareri e le questioni più delicate poste dalla relativa prassi applicativa nei C.G.: una scarsa autonomia rispetto ai rapporti infor-mativi dei dirigenti degli uffici; frequenti riferimenti a valori e giu-dizi morali apodittici e, comunque estranei al dato normativo (ri-serbo, decoro, stile, prestigio, compostezza, probità, bontà d’animo, sobrietà, affabilità, illibatezza, distacco, serenità, spirito di sacrificio, ecc.) (18); scarsa attenzione, viceversa, ai profili realmente profes-sionali ed al puntuale adempimento dei doveri d’ufficio, a scapito di valutazioni indimostrate ed inattendibili, funzionali ad una omolo-gazione verso l’alto di tutti i giudici valutati; assenza pressoché com-pleta di momenti di selezione negativa (la promozione non si nega a nessuno!) anche in casi notoriamente macroscopici di inidoneità (19); confusione tra profili di idoneità generica e specifica.

Se si dovesse, a questo punto, cercare la causa di tale clamoro-sa scissione tra prescrizioni normative e prassi realizzatesi, non si riuscirebbe certamente ad individuare una spiegazione unica e li-neare, essendosi in materia intrecciati una serie di fenomeni propri della stessa storia della magistratura di quegli anni: elementi di cor-porativismo insiti nella battaglia per l’abbattimento della carriera (con la connessa aspirazione all’immunità da ogni controllo una volta ot-tenuta la sostanziale automaticità della carriera); insufficiente cultu-ra dell’autogoverno, alle prese con i nuovi compiti introdotti sulle ce-neri dei vecchi apparati selettivi e separati di concorso; lentezza del processo di riconversione dell’organizzazione verso un modello di giudice professionale ed i connessi valori introdotti dalle leggi, ri-spetto ad un’ideologia tradizionale dell’«Ordine» il cui fine unico e tipico era «La gestione di un patrimonio di valori morali ed in par-ticolare di valori di deontologia professionale» (20).

A tutto ciò, poi, si univa il limite strutturale più eclatante degli

(18) Tali risultano, a chiunque abbia un minimo di esperienza concreta di C.G., i valori di riferimento sovente utilizzati nei pareri e, prima ancora, nei rapporti infor-mativi dei dirigenti, rappresentando i primi, storicamente, l’altra faccia della meda-glia (il buon giudice disciplinato) costituita dai valori emergenti nella giustizia disci-plinare (incentrata, tradizionalmente sulle tutele dei valori del prestigio, dignità e de-coro delle funzioni);

(19) V. i dati forniti da G. Federico, op. cit. pag. 14 e 15;

(20) Cass. sez. un. 27. 1. 76 n. 235, in F.It. 76, I, 601;

stessi pareri, cadenzati su momenti temporali della vita professiona-le di ogni magistrato lontani tra loro ed accompagnati dal mero con-seguimento di una qualifica ad pompam e non dal conferimento di specifiche funzioni.

Non del tutto inaspettata, pertanto, appare l’offensiva sviluppa-tasi agli inizi degli anni ‘80 contro quelle leggi – identificate ingiu-stamente con la loro gestione lassista – che coglieva in effetti alcu-ni limiti e contraddizioalcu-ni delle medesime.

Eppure non deve dimenticarsi che il nucleo centrale della rifor-ma è stato rifor-mantenuto dalla Corte Costituzionale nelle note sentenze del 1982, nel momento in cui ha convalidato la caduta del sistema anteriore c.d. di «concorsualità astratta» (21) (affidata a meccanismi selettivi separati: le commissioni di concorso), sostituito dal nuovo sistema affidato all’organo di autogoverno, di costruzione della «se-lezione» come ricerca di volta in volta del soggetto idoneo alla co-pertura di un posto determinato (c.d. concorsualità concreta) (22).

La Corte Costituzionale si è, infatti, limitata a dichiarare l’ille-gittimità della esclusività del criterio dell’anzianità (art. 10 l. 831/73) per il conferimento delle funzioni di legittimità, dando atto al CSM di aver operato nel giusto, allorché aveva (mediante le proprie cir-colari) tentato di contemperare tale criterio con quelli relativi al merito ed alle attitudini, anche se, non assurgendo tale prassi (con-tra legem) a diritto vivente, occorreva rimuovere la norma che si frapponeva all’adozione da parte del CSM di criteri completamen-te correttivi.

Da questa piena legittimazione del ruolo del Consiglio, occorre, dunque, partire per comprendere a pieno l’importanza che riveste la circolare sui pareri, tappa fondamentale della politica successiva dell’organo tesa a restituire serietà ed efficacia a quei momenti va-lutativi generali non scalfiti dagli interventi della Corte e che solo la prassi aveva finito per immiserire in vagli professionali privi di qual-siasi mordente.

(21) Così è stato felicemente contrapposto il vecchio al nuovo sistema da G.

Borrè, op. cit. pag. 97 e ss.;

(22) Le differenze tra i due sistemi sono, quindi, nette: è mutato il ruolo dell’an-zianità (da presupposto di ammissione alla relazione a parametro concorrente nella scelta tra gli aspiranti); i titoli hanno cessato di costituire il veicolo privilegiato di scelta; i criteri non sono più meramente stabiliti dal CSM ed affidati ad apparati se-lettivi separati ma concretamente gestiti dall’organo di autogoverno;

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 78-82)