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PROBLEMI POSTI DALLA NORMATIVA TRANSITORIA

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 151-160)

Relatore:

dott. Camillo BELFIORE

Consigliere pretore dirigente

della Pretura Circondariale di Genova

Esegesi della norma

La scarna disciplina che la Novella del 1990 riserva alla fase tran-sitoria di attuazione del nuovo processo civile si sostanzia in due ar-ticoli, il 90 e il 91 della legge 353. Il primo contiene norme di ca-rattere processuale, il secondo norme di caca-rattere organizzativo. In vista dell’impostazione data a questo convegno, rivolto a scandaglia-re pscandaglia-recipuamente gli aspetti organizzativi della problematica posta dalla Novella, sarà dato rilievo nella presente relazione proprio a que-sti aspetti.

Il primo comma dell’art. 91 si limita a dire che nel primo bien-nio di applicazione della riforma il numero dei magistrati addetti esclusivamente alla trattazione delle controversie pendenti alla data di entrata in vigore della legge non può essere inferiore alla metà, né superiore ai due terzi di quello di tutti i magistrati incaricati del-la trattazione delle controversie e degli affari civili.

La norma pone svariati problemi:

A) La soluzione del «doppio binario» è obbligatoria o no? Devono cioè assegnarsi le cause nuove, ossia quelle iscritte successivamente al 1° gennaio 1992, necessariamente a magistrati diversi da quelli che trattano le cause iscritte anteriormente a quella data? E questi ultimi sono necessariamente esclusi dalla trattazione delle cause nuove?

Così come formulata, la norma non può lasciare dei dubbi, per-ché non vieta decisamente l’altra soluzione, quella cioè che ogni

ma-gistrato del settore civile continui a gerstire le cause che ha già ed inoltre tratti le cause nuove. In sostanza, può sorgere l’impressione che il legislatore abbia lasciato come facoltativa la soluzione del dop-pio binario, preoccupandosi solo di prevedere che, ove essa venga adottata, una consistente aliquota di magistrati sia addetta alle cau-se vecchie, affinché queste non vengano poste in una sorta di menticatoio. Questa impressione è rafforzata dal confronto tra la di-sposizione in esame e quella di cui all’art. 22, della legge n. 533 del 1973 sulla riforma del rito del lavoro.

Gli ultimi due commi di tale articolo, con una disposizione ben più incisiva di quella che stiamo esaminando, prevedevano chiara-mente che nelle sezioni lavoro alcuni magistrati si occupassero solo delle cause già pendenti e che altri magistrati, — «sul cui ruolo non dovranno gravare cause pendenti a quella data», diceva la legge — si occupassero solo di quelle nuove.

Motivi pratici, a dire il vero, militerebbero a favore sia dell’una che dell’altra soluzione. Nel senso della preferibilità del doppio bi-nario vi è l’opportunità che i magistrati che si occupano del «nuo-vo» abbiano un ruolo «vergine», in modo da poterlo gestire con la necessaria solerzia e rapidità, senza il peso e l’assillo del carico pree-sistente. Nel senso della preferibilità del binario unico vi è l’oppor-tunità di equilibrare il carico di lavoro fra tutti i magistrati, evitan-do che quelli che trattano il «nuovo» si trovino per vari mesi a non avere cause da decidere, mentri quelli che trattano il «vecchio» sia-no sommersi dal raddoppio, o quasi, del loro ruolo, con conseguen-ze ovviamente perverse sui tempi di definizione delle cause.

Sembra però che il comma 3 dell’articolo 91 della Novella tolga ogni dubbio, risolvendolo a favore dell’obbligatorietà della soluzione del doppio binario, in quanto consente soluzioni diverse solo quan-do quella è resa impossibile dallo scarso numero dei magistrati ad-detti all’ufficio.

Peraltro, le conseguenze negative della soluzione adottata dal le-gislatore possono essere addolcite affidando una certa aliquota del

«vecchio» ai magistrati che trattano il «nuovo».

Questo è reso possibile dal fatto che l’avverbio «esclusivamente»

è riferito nella legge solo a chi tratta le cause già pendenti e non an-che a chi tratta le cause nuove. In altri termini, deve ritenersi pos-sibile una soluzione mista, nel senso che un certo numero di magi-strati tratta solo il «vecchio» e un’altra aliquota di magimagi-strati tratta

promiscuamente il «nuovo» e il «vecchio», con l’ovvia avvertenza che il peso del «vecchio» non sia tale da sommergere il nuovo. Ad esem-pio, i magistrati addetti al «nuovo» potrebbero conservare le cause già da loro rimesse al collegio.

B) In che modo va attuata la ripartizione dei magistrati fra gli ad-detti alle controversie pendenti e quelli adad-detti alle nuove?

Esclusa la possibilità di una generale trattazione mista del «vec-chio» e del «nuovo», in tutti i casi in cui l’organico consente l’at-tribuizione dell’uno e dell’altro a magistrati diversi, rimangono due soluzioni astrattamente possibili: costituire una o più sezioni stral-cio, da affiancare alle altre sezioni civili, destinandole esclusivamente alla trattazione delle cause pendenti; oppure, ferma restando l’at-tuale ripartizione in sezioni, attribuire le cause «vecchie» e quelle

«nuove» a magistrati diversi all’interno di ogni sezione. I lavori pre-paratori sembrano escludere la prima soluzione, per cui bisognerà ricorrere alla seconda. Questa, peraltro, richiede alcuni accorgimenti.

Ad esempio, nei Tribunali in cui il numero dei magistrati addetti a ciascuna sezione consente di formare collegi separati sarà possibile attuare la separazione piena tra «vecchio» e «nuovo», attribuendo-si il «vecchio» ad uno dei collegi e il «nuovo» ad un altro. Invece, nelle sezioni di Tribunale in cui vi siano meno di sei magistrati si porrà il problema di come formare il collegio per la decisione del-le cause «vecchie», che continuano ad essere decise coldel-legialmente ai sensi dell’art. 90 della Novella. É da ritenere che, in questi casi, possa far parte del collegio e possa anche essere relatore ed esten-sore taluno dei magistrati addetti al «nuovo», poiché ad essi non è interdetta la trattazione e tanto meno la decisione di cause «vec-chie». Ma dovrebbe essere possibile anche l’inverso. Laddove non fosse possibile formare con i soli magistrati addetti al «nuovo» un separato collegio per la decisione delle cause che, anorma dell’art.

88 della Novella, vanno decise collegialmente anche nel nuovo rito, dovrà pur essere ammesso chiamare a far parte del collegio stesso taluno dei magistrati della sezione addetti al «vecchio». É da rite-nere che la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 91 consenta sif-fatta soluzione. S’intende che i criteri di formazione dei collegi de-vono essere chiaramente predeterminati, onde evitare problemi di irregolare costituzione del giudice, oltre che dannose improvvisa-zioni e soluimprovvisa-zioni estemporanee.

C) Come determinare il numero globale dei magistrati del settore civile, sul quale calcolare poi l’aliquota (da metà a due terzi) da desti-nare esclusivamente alla trattazione delle controversie pendenti alla da-ta di entrada-ta in vigore dalla legge?

Il problema si pone per uffici giudiziari divisi in sezioni, nei qua-li vi è una separata sezione per gqua-li affari di giurisdizione volontaria, per il giudice tutelare, per le controversie di lavoro e previdenza ob-bligatoria, e, comunque, per gli uffici giudiziari nei quali la trattazio-ne di questi affari è affidata a magistrati diversi da quelli che tratta-no le controversie civili ordinarie. Si tratta di stabilire se anche que-sti magistrati specializzati debbano entrare nel computo globale, su cui calcolare la metà o i due terzi. Il tenore letterale della legge sem-bra dare al quesito una risposta positiva, in quanto dice chiaramente che si deve tener conto di «tutti i magistrati incaricati della trattazio-ne delle controversie e degli affari civili»: e non c’è dubbio che le cau-se di lavoro e le pratiche di giurisdizione volontaria siano affari civi-li. Tuttavia la legge va interpretata cum grano salis, perché altrimenti conduce a risultati assurdi. Faccio l’esempio della mia Pretura, nella quale i magistrati addetti al civile ordinario sono 9, mentre 8 sono al-la sezione al-lavoro e 1 si occupa esclusivamente di volontaria giurisdi-zione. Complessivamente sono 18; calcolando la metà si ottiene 9, os-sia il numero di tutti gli addetti al civile ordinario. Affidando a que-sta metà esclusivamente le cause già pendenti al 1° gennaio 1992, non resterebbe più nessuno cui affidare le cause nuove. Tranne che si vo-glia attribuire anche ai giudici del lavoro la trattazione delle cause

«nuove», il che deve escludersi sia perché è ancora vigente la regola generale che ai giudici del lavoro non debbono affidarsi affari di di-versa natura (anche se questa regola può subire eccezioni), sia so-prattutto per una ragione pratica e cioè peché le sezioni lavoro sono generalmente già oberate da un gran numero di controversie. Onerarle anche del civile ordinario comporterebbe il collasso di quelle sezioni e l’affossamento del rito del lavoro. Sembra allora più ragionevole e più confacente alla mens legis interpretare la disposizione in esame nel senso che il numero globale dei magistrati su cui calcolare la metà o i due terzi debba essere riferito ai magistrati addetti agli affari che so-no interessati dalla riforma, con esclusione di quelli che si occupaso-no di affari lato sensu civili, ma sui quali la Novella non ha inciso in al-cun modo. Si dovrebbero perciò escludere dal calcolo i magistrati del-le sezioni lavoro e quelli addetti solo alla giurisdizione volontaria.

Come è ovvio, questo problema non si pone per quegli uffici nei quali la trattazione di questi affari specializzati avviene promiscua-mente con gli altri.

Non mi sentirei però di escludere categoricamente soluzioni di-verse da quelle qui prospettate, in relazione a situazioni locali par-ticolari, laddove cioè la verifica del carico di lavoro dei magistrati del lavoro lasciasse intravedere la possibilità di chiamarli a contri-buire, nella fase transitoria, ad un rapido avvio della riforma.

Come utilizzare la «vacatio legis»

Fin qui la disamina dei problemi posti dall’articolo 91 della Novella. Ma il discorso non può finire qui.

La riforma che entrerà in vigore il 1° gennaio 1992, pur essen-to limitata e non radicale, segna il primo momenessen-to di interesse del legislatore per la giurisdizione civile, per tanto tempo abbandonata a se stessa, o meglio ad una prassi, o a tante prassi locali, che han-no finito per togliere al cittadihan-no gran parte della fiducia nella giu-stizia statuale. Come è stato già detto, se questa riforma produrrà effetti concreti e positivi, producendo processi più celeri, si restituirà senso e valore alla quotidiana azione degli operatori del processo — giudici e avvocati — e incoraggerà una più vasta riforma della giu-stizia civile, tale da promuoverla a luogo di effettiva e concreta tu-tela dei diritti. Se, al contrario, anche questa riforma fallirà, come già in più luoghi, nella variegata situazione degli uffici giudiziari del Paese è fallito il rito del lavoro, ci avvieremo verso il tracollo della giustizia statuale, tracollo che avrà come naturali vittime i cittadini onesti e i soggetti economicamente deboli. In tal senso è allarman-te l’assenza nella Novella di quelle norme organizzative e ordina-mentali che sarebbero state indispensabili per un decollo effettivo della riforma, così come, ad esempio, erano presenti nella legge di riforma del rito del lavoro. Né sembra lecito sperare che vengano in questa fase di vacatio legis.

Ed è agevolmente prevedibile che la Novella provocherà imme-diatamente la paralisi delle preture. Queste assorbiranno dai Tribunali quella fetta di competenza per valore che è compresa fra i cinque e i dieci milioni di lire, nonché tutte le cause relative a rapporti di lo-cazione e comodato di immobili urbani, indipendentemente dai li-miti di valore; assorbiranno inoltre dai conciliatori le cause relative alle modalità di uso dei servizi condominiali.

É agevole desumere che il carico di lavoro dei pretori sarà rad-doppiato, e forse questa è ancora una previsione ottimistica.

Evidentemente i conditores legum pensavano già all’istituzione del giudice di pace: e difatti il disegno di legge relativo prevede l’en-trata in vigore di questa nuova figura di giudice contemporanea-mente a quella della Novella di cui ci stiamo occupando. Il giudi-ce di pagiudi-ce dovrebbe, nelle previsioni, assorbire una consistente por-zione della competenza pretorile, e cioè quella relativa al risarci-mento dei danni da incidenti della circolazione stradale.

Considerato che tale tipo di cause è quello di gran lunga preva-lente nelle preture, può prevedersi un riequilibrio della quantità di competenza di questi uffici giudiziari, nel senso che cederebbero al giudice di pace una quantità di cause suppergiù uguale a quel-la che ricevono dal Tribunale. Ma l’istituzione del giudice di pace presenta grosse incognite. Anche se si dà per scontata la sua isti-tuzione, è agevole prevedere uno slittamento nel tempo della sua concreta attuazione.

Sappiamo tutti, dopo l’infelice avvio della riforma del processo penale, che le riforme non si fanno solo sul piano legislativo, per-ché è soprattutto sul piano amministrativo che se ne può verificare il valore e l’efficacia. Perciò è abbastanza evidente a tutti che non serve istituire i giudici di pace se non si provvede alla loro scelta e nomina, alla nomina del personale di cancelleria (previo espleta-mento dei relativi concorsi) al reperiespleta-mento delle sedi e del loro ar-redamento, alla dotazione finanziaria necessaria al funzionamento degli uffici e, in una parola, a tutti gli amminicoli pratici che l’isti-tuzione richiede perché possa mettersi praticamente ed effettiva-mente in moto. Già la sola enunciazione di queste esigenze spalan-ca orizzonti temporali di lunga durata. Il che vuol dire che dobbia-mo prepararci a subire nelle preture l’impatto della Novella senza la valvola di compensazione del giudice di pace. Almeno per qual-che anno ancora. Come è costume del nostro Paese, le difficoltà dell’amministrazione della giustizia vengono volentieri scaricate sul-le preture. Ma queste difficoltà diventeranno ora drammatiche, poi-ché la riforma cade nel contesto organizzativo e strutturale peggio-re possibile: a parte il fatto che gli organici non sono mai comple-ti, sta per attuarsi una sorta di esodo forzoso verso le procure e pro-curine, che riguarda i magistrati più giovani, ossia quelli che in ri-levante proporzione prestano servizio nelle preture.

Ma questo allarmante contesto non può indurci ad una mortifi-cante resa incondizionata, a lasciare cioè che le cose vadano come vanno, alla deriva.

Bisogna utilizzare questo ancora lungo periodo di vacatio legis per affrontare con impegno e col massimo di tensione ideale i nu-merosi problemi tecnici e organizzativi, e prima ancora culturali — di informazione e di preparazione professionale —, che la Novella pone agli opratori del diritto.

Viviamo tutti quel senso di impotenza che deriva da un proces-so civile che celebra per anni i suoi stanchi riti, spesproces-so senza ap-prodare a decisioni efficaci e incisive. Ci sentiamo tutti in qualche misura dequalificati e delegittimati da un processo che si incarna in lunghe contese intorno ad un oggetto a contenuto variabile, capace fino all’ultimo di sorprendere le parti e il giudice con novità intro-dotte a spizzico. La Novella offre ora l’opportunità di realizzare un processo caratterizzato da concretezza, stabilità e significatività, de-limitandosi dall’inizio alla fine intorno ad un oggetto definito. Questa occasione richiede al giudice due cose: in primo luogo essere cultu-ralmente aggiornato sulla riforma e professionalmente attivo, per non lasciarsi sorprendere impreparato ad affrontare la novità; in secon-do luogo resistere alla controriforma della prassi e alla tentazione del lasciar correre. La Novella è, in fondo, una scommessa da vin-cere: è evidente che per vincerla bisogna utilizzare al massimo la va-catio legis per studiare il nuovo processo e per predisporre la più ido-nea organizzazione degli uffici.

Questo sforzo non può essere lasciato al volontarismo e allo spon-taneismo dei singoli. Ognuno dei soggetti istituzionali interessati dal-la riforma dovrà svolgere con diligenza il proprio compito. In primo luogo penso al Consiglio Superiore della Magistratura. La mancan-za, nella Novella, di disposizioni di attuazione e di norme organiz-zative imporrà al Consiglio Superiore di predisporre una normativa regolamentare, mediante il consolidato sistema della circolare, che chiarisce quel che c’è da chiarire e risolva quel che c’è da risolvere sul piano dell’organizzazione degli uffici, dettando indirizzi che sia-no validi sul tutto il territorio nazionale, ma che, al contempo, di-scernano le varie situazioni che si realizzano nei singoli uffici e sia-no quindi scevri da rigide impostazioni burocratiche. Mi riferisco qui soprattutto alla circolare sulla predisposizione delle tabelle e dei con-nessi criteri di ripartizione del lavoro fra i magistrati.

Ma credo che il compito del Consiglio non si fermi qui.

Le esigenze di aggiornamento culturale dei magistrati addetti al settore civile impongono uno sforzo di organizzazione di incontri di studio capace di raggiungere capillarmente tutti. E penso anche al Ministero di Grazia e Giustizia. Il lavoro del giudice resta vano, o addirittura è reso impossibile, senza la collaborazione di un perso-nale di cancelleria capace e qualificato e senza strutture di suppor-to adeguate e non concesse col contagocce. Mi auguro che qualcu-no stia pensando seriamente ad un censimento delle risorse e ad uqualcu-no studio rigoroso delle esigenze dei vari uffici giudiziari sia in termi-ni di personale che in termitermi-ni di attrezzature.

Mi auguro che qualcuno stia pensando a come fare per non la-sciare penosamente vacanti gli organici delle cancellerie e per forni-re ad ogni giudice una stanza dove lavoraforni-re, oltforni-re che la possibilità di usufruire di un’aula per tenere le udienze. Al riguardo non può non impensierire il fatto che la scarna normativa organizzativa con-tenuta nella Novella è interamente calibrata sull’organizzazione e sul-le strutture esistenti, senza prevedere alcun loro rafforzamento. Per impostare razionalmente la riforma sarebbe necessario predisporre l’acquisizione di precise informazioni su tutto il territorio nazionale in ordine al flusso reale degli affari con rilevamenti statistici non ma-nipolabili, al numero degli addetti, alla produttività degli uffici, al numero e carico delle udienze, ai tempi di definizione delle cause..

Una rilevazione di questo genere fornirebbe da sola utili indica-zioni sulle misure organizzative più idonee e sull’individuazione del-le priorità operative. E infine penso ai capi degli uffici giudiziari e ai Consigli giudiziari.

É necessario che questi soggetti operino in stretta collaborazio-ne e, direi, in simbiosi per individuare, in sede di predisposiziocollaborazio-ne del progetto di formazione delle tabelle, la più idonea organizzazione de-gli uffici, specie nella prevedibilmente non breve fase transitoria.

Conclusione

Da quanto si è fin qui detto emerge la conclusione che sarà in-dispensabile per il successo della riforma l’adozione di provvedimenti organizzativi coordinati, la cooperazione fra i soggetti istituzionali coinvolti, la verifica dei bisogni. Ma mi sembra altrettanto essenzia-le mobilitarsi per attingere i migliori traguardi sul piano culturaessenzia-le.

Il nuovo processo prefigurato dalla Novella responsabilizza

mag-giormente il giudice, avviandolo verso una direzione effettiva del pro-cesso e verso la decisione monocratica. É necessario perciò lo sfor-zo di tutti, a tutti i livelli, perché la cultura del nuovo processo scon-figga le prassi lassiste, per cui il giudice assiste inerte allo svolgersi della tenzone processuale, salvo poi, a rifarsi con imponenti eserci-tazioni accademiche nel decidere le questioni di diritto. La nuova configurazione del processo vuole un giudice attivo e informato e quindi anche un giudice preparato ed efficiente.

É sulla costruzione di questa figura di giudice che si giocherà una parte consistente del successo della riforma.

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 151-160)