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IN PARTICOLARE GLI ASPETTI PROCESSUALI

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 160-200)

Relatore:

dott. Antonio PANICO

pretore della Pretura Circondariale di Napoli

É da circa venti giorni, dal giorno 11 maggio 1991 quando mi fu comunicato che mi era stata affidata una relazione nell’ambito dell’incontro di studi sul tema «I Dirigenti degli uffici giudiziari: com-piti e responsabilità: in particolare i problemi organizzativi posti dal-la l. 353/90», è da circa venti giorni, dicevo, che continuo a chie-dermi perché il C.S.M. ha voluto affidarmi una relazione.

Nella mia esperienza quasi ventennale di magistrato, una sola volta ho diretto un ufficio, quando nel 1974 fui invitato a «dirigere»

la Pretura di Caprino Veronese dove trovai, al mio arrivo, un can-celliere, una dattilografa trimestrale ed un aiutante ufficiale giudi-ziario napoletano come me.

Esperienza certamente poco significativa di dirigente seppure uti-lissima ai fini della formazione di quella esperienza di magistrato che tutti vogliono bagaglio immediato di ogni giovane.

Escluso, dunque, che sia stata la mia attività di pretore verone-se ad indurre il C.S.M. ad affidarmi una relazione, ritengo che la scelta sul mio nome possa essere giustificata, oltre che dall’affetto che mi lega ai componenti napoletani del C.S.M. Alessandro Criscuolo, Gennario Marasca e Renato Vuosi, anche e soprattutto dalle funzioni che attualmente svolgo di pretore della I sezione civi-le addetto all’Ufficio del pretore dirigente ovvero, con termine tradi-zionale da me non troppo gradito, di giudice di Gabinetto.

Mi trovo, per tale funzione, in una posizione privilegiata perché osservatore, e prima vittima, dell’ansia organizzativa del consigliere Di Fiore; ambasciatore di tali ansie a tutti i Colleghi i quali si

tro-vano poi applicati in qualche sede distaccata da coprire, con qual-che ruolo scongelato, con incarichi di rilevazione di dati, statistiqual-che, proiezioni e previsioni, lezioni di informatica e così via.

Posso però affermare, e senza tema di smentita, che in quella generalizzata crisi degli uffici giudiziari, pur con i nostri gravissimi problemi di carenza di uomini e mezzi, riusciamo a fare della Pretura di Napoli, come ho già detto in altre occasioni, una isola felice.

Fatta questa breve premessa, della quale è ben evidente l’inten-to di ricercare clemenza di giudizio da parte di tutti i presenti ai quali porgo il mio saluto e quello di tutti i magistrati della Pretura di Napoli, nella divisione dei compiti con il presidente Belfiore mi è stato affidato l’incarico di analizzare, seppure brevemente e nei li-miti del tempo che mi è stato concesso, le problematiche più spic-catamente processuali poste dalla normativa della l. 353/90 che pos-sono incidere sulla organizzazione degli uffici.

Problematiche processuali: il mio compito potrebbe allora esau-rirsi in poche battute dicendo ed osservando che anche il più atten-to ed acuatten-to interprete della l. 353/90 non sarebbe in grado di ana-lizzare a priori e senza verifica della pratica, di quali problematiche noi magistrati saremo chiamati ad interessarci ed ad affrontare.

Una legge così complessa come quella che andrà presto in vi-gore, che incide profondamente sul modo di svolgersi del processo civile, «rivoluzionaria» in alcune sue previsioni e prescrizioni (e ba-sti per tutte indicare la iba-stituzione del Giudice monocratico in Tribunale), non può essere certamente analizzata compiutamente al fine di individuarne tutte le problematiche senza una prima verifica nella pratica.

Ricordo, per esempio e per un breve riferimento a delle leggi che di recente hanno inciso anche sul codice di rito, che quando en-trò in vigore la l. 399/1984 che aumentò la competenza del Conciliatore fino a lire 1.000.000 e quella del Pretore fino a lire 5.000.000, in una prima analisi di tale legge senza una verifica pra-tica, ebbi ad affermare che in fondo si trattava di una semplice di-sciplina che incideva unicamente, aumentandola, nell’ambito della competenza per valore del Conciliatore e del Pretore.

In una prima applicazione pratica di tale legge, a fronte di una semplice riconvenzionale di lire 500.000 in una domanda principale di lire 1.100.000, ebbi subito a dubitare di tale mia semplicistica in-terpretazione, sostenendo che forse l’equità caratterizzava

funzional-mente la competenza del Conciliatore (sent. 4.2.1985, in Dir. e Giur.

85, 152) e che quindi non era possibile il giudizio simultaneo innanzi al Pretore di domanda principale e di riconvenzionale.

Ovvero, ancora, quando entrò in vigore la legge 30/1989, ebbi subito a considerare che i rapporti fra le sezioni della Pretura Circondariale erano rapporti di organizzazione interna nell’ambito di un unico ufficio, dubitando poi di tale affermazione a fronte di un empasse giuridico nel quale mi trovavo per la ordinanza di un Collega di una sezione distaccata che mi impose un regolamento di compe-tenza di ufficio come se ancora trattavasi di rapporti di territorialità fra uffici diversi.

Ove potessimo incontrarci di nuovo fra qualche anno, tutti ve-rificheremmo quanti e quali sono e saranno i problemi interpretati-vi e le problematiche organizzative che porrà la l. 353/90 oggi nean-che ipotizzabili.

Un dato però mi sembra doveroso porre fin da questo momen-to in evidenza e sul quale non possono sussistere dubbi o interpre-tazioni diverse: la l. 353/90 è legge dello Stato.

É tempo perciò di operare, voi soprattutto Dirigenti di uffici giu-diziari, considerando realisticamente le trasformazioni alle quali an-dremo incontro, senza paura del nuovo e con la consapevolezza, già ben presente a seguito della modifica del codice di procedura pena-le, che tutti hanno bisogno della giustizia e la giustizia ha bisogno di tutti, tralasciando ogni considerazione sul se sia o meno opportuna, nell’attuale stato della giustizia civile, una legge come quella che an-drà presto in vigore né quali saranno i costi in termini personali e di efficienza operativa ai quali dovremo e dovrete sobbarcarvi.

E sentendomi anche io parte del tutto, fortemente impegnato nella realizzazione di quelle istanze di giustizia che mi provengono anche nella più piccola e modesta controversia portata al mio esa-me, vorrei anche in questo congresso lanciare un messaggio di fi-ducia e di ottimismo.

Fiducia in una classe di Dirigenti di uffici giudiziari troppo spes-so capro espiatorio di quelle che spes-sono le responsabilità gravissime di altri, Dirigenti di uffici dei quali si vagheggia la sostituzione con dei managers quasi che questi avessero le magiche capacità di creare dal nulla sedie, stanze, uffici giudiziari, personale, mezzi operativi, e se tali magiche capacità avessero, la volontà di destinare ciò che magi-camente è stato creato ai reali bisogni della giustizia.

Messaggio di ottimismo nella intera Magistratura italiana che seppure troppo spesso vituperata e denigrata, dai più giovani a quan-ti hanno già alla giusquan-tizia dedicato gran parte dei loro anni e delle loro energie migliori, riesce ancora a chiedere a se stessa cosa è sta-to fatsta-to per la giustizia più che per chiedere ad altri cosa fanno per la giustizia.

Guai se dovessimo fallire, guai se volessimo operare giustifican-do inefficienze e ritardi con quella che è la eccezionale gravità del-la crisi deldel-la giustizia civile suldel-la quale dovrebbe sorgere e rifiorire un nuovo modo di rendere giustizia; se volessimo giustificare dei fal-limenti ricordando a tutti il modo in cui siamo costretti ad operare con un processo e delle strutture che, come significativamente è sta-to detsta-to, servono solo ad allontanare nel tempo la realizzazione dei diritti, con la ricerca da parte di più violenti di forme alternative di giustizia e, da parte dei più forti socialmente, di forme di giustizia privata più sollecite.

Le cause di tale crisi sono molteplici e varie e possono essere genericamente indicate quali cause esterne e cause interne al mo-dello processuale.

Fra le prime, certamente la prevalenza e la maggiore attenzione è stata data, forse nell’ultimo ventennio, a problemi che riguardava-no la stessa sopravvivenza dello Stato democratico con la necessità di una lotta frontale sia al terrorismo che alla criminalità organiz-zata: la crescente complessità dei rapporti sociali; le incertezze nel-la produzione e nel dettato legisnel-lativo che è troppo spesso essa stes-sa caustes-sa di necesstes-saria ed eccessiva litigiosità; la interpretazione di leggi che se è mediazione fra comando giuridico ed attuazione del comando nella vita sociale, è troppo spesso mediazione svolta attra-verso la lettura di norme non intellegibili tanto che tutto ed il con-trario di tutto può essere detto ed assunto; il riferimento velleitario che deve farsi alle «parole» ed alle «intenzioni» del legislatore che non offrono più criteri sicuri per una onesta, corretta, certa appli-cazione della legge; la organizzazione del servizio giustizia con una distribuzione nel territorio di forze e di strutture non adeguate in certe realtà del Paese.

Fra le seconde, la incapacità del modello processuale a far fron-te a tutfron-te quelle esigenze che ho detto esfron-terne alla struttura del pro-cesso; l’abbandono di fatto del principio della oralità; la dicotomia esistente, anche per il Giudice monocratico, fra il Giudice che

so-stanzialmente non istruisce il processo e il Giudice che decide la cau-sa; l’attenzione che in molti casi è assorbente ed esclusiva, al mo-mento della decisione più che alla fase preparatoria e di direzione del processo che quella decisione pur sempre richiede e presuppone;

il sovraccarico eccessivo delle cause pendenti sul ruolo di ciascun giudice che produce solo scoramento, disordine, casualità della ri-cerca e della individuazione dello stesso thema decidendum.

Ed a quelle che sommariamente ho indicato essere le cause del-la profonda crisi neldel-la quale oggi si dibatte del-la giustizia civile e che pos-sono essere comuni in ogni realtà del Paese, si accomunano ed a vol-te si sovrappongono le peculiari condizioni sociali soprattutto dove per lo Stato è difficile, ma non impossibile, imporre la sua autorità.

Ed è per questo che mi auguro che l’entrata in vigore della leg-ge 353/90 possa fa sorleg-gere una nuova cultura del processo civile, più sensibile al fatto che non al diritto ed il giudice possa vivere il pro-cesso fin dal suo inizio esercitando poteri di direzione pur sempre necessari nella conflittualità delle parti, cultura giuridica non solo diretta ad una astratta ricerca di efficienza ma in tale efficienza af-fermatrice di valori, di controllo di legalità, di difesa sociale di cor-retto assetto di interessi e rapporti fra i cittadini.

Tanto premesso, e volendo passare più specificamente agli aspet-ti processuali della disciplina transitoria, il mio compito è quello di illustrare le problematiche giuridiche che potranno sorgere dalla ap-plicazione della legge 353/90 nel periodo transitorio, nel periodo cioè che va dal 1° gennaio 1992 fino alla data indefinita in cui l’ultima controversia già pendente a quella data non verrà esaurita.

A tal proposito ho ritenuto opportuno allegare a questa mia re-lazione uno studio da me fatto, e come al solito commissionatomi dal consigliere Di Fiore, del quale vi faccio grazia per la aridità dei dati in esso contenuti; vorrei solo ricordare, per la drammaticità del dato, che ho previsto in circa 45 anni il tempo occorrente ad un so-lo magistrato per eliminare tutti i processi pendenti al 31 dicembre 1991, tenuto conto di una pendenza ottimistica a quella data di cir-ca 27.000 procedimenti ordinari e sommari e di una produzione me-dia di oltre 600 processi eliminati in un anno; ho previsto che circa 20 magistrati occorreranno per eliminare quella pendenza in un tem-po accettabile di tem-poco più di due anni; ho previsto una necessità di circa 45 magistrati per far fronte ad una sopravvanienza di 42.000 procedimenti così come nel 1990.

E se qualcuno leggendo il mio allegato volesse ricordarmi che con la istituzione del Giudice di pace circa il 34% dei processi sa-ranno attribuiti alla sua competenza (quelli di risarcimento danni de-rivanti dalla circolazione stradale), vorrei solo ricordare a tale pro-feta di giorni felici che la competenza per valore del Pretore passerà a lire 20.000.000 e che il 34% circa dei procedimenti per convalida oggi trattati dal Pretore quasi esclusivamente nella fase sommaria, resteranno attribuiti alla sua competenza per materia.

A fronte di tali dati, il compito organizzativo che vi attende sarà certamente impegnativo e gravoso e fin qui da questo momento sarà doveroso da parte vostra il richiedere con forza tutta una serie di in-terventi che ci spettano non a difesa di nostri interessi corporativi, ma a difesa di interessi della intera collettività; non vi nascondo, però, che sono curioso di sapere, se dovesse essere latitante chi isti-tuzionalmente è chiamato ad intervenire, quali fantasiosi rimedi si andranno vagheggiando, se la divisione di carriere fra Pretori e Giudici di Tribunale ovvero il trasferimento di ufficio di Pretori da un paese di montagna a uno di mare per la incapacità di sopprime-re sedi inutili per non scontentasopprime-re potentati locali.

Volendo tornare all’aspetto processuale del problema di come ge-stire il vecchio nella fase transitoria, in linea di principio, e salvi i suc-cessivi approfondimenti, può affermarsi che l’art. 90 della legge 353/90 si ispira fin troppo evidentemente al principio del tempus regit actum se è vero che l’VIII comma dell’articolo in esame dispone la applica-bilità della legge 353/90 a tutti i giudizi in corso al 1° gennaio 1992.

Non si assisterà dunque, nel campo del diritto processuale civi-le, a quanto già si è verificato nel campo del processo penacivi-le, della contemporanea vigenza di rito uovo e rito vecchio, dovendo tutte le cause essere trattate secondo quella che è la disciplina innovata del-la legge 353/90.

É ben evidente, peraltro, che una applicazione troppo rigida del principio del tempus regit actum avrebbe sì importato la identica di-sciplina, ma una trasmigrazione di numerosi procedimenti da una au-torità giudiziaria all’altra secondo le norme della nuova competenza.

In altri termini, tutte le cause di valore fino al lire 20.000.000 (se entrerà in vigore la legge istitutiva del Giudice di pace che a ta-le limite innalza la competenza per valore del Pretore), dal Tribunata-le dovevano essere trasferite al Pretore il quale a sua volta poteva spo-gliarsi di ben poche controversie (o forse nessuna).

Opportunamente, perciò il legislatore alla generale regola del tempus regit actum assunta quale criterio generale, ha apportato del-le deroghe e … deroghe aldel-le deroghe.

Più in particolare, per i giudizi pendenti al 1° gennaio 1992 va fatta salva la competenza del giudice che sarebbe stato competente secondo la legge anteriore: una causa di pagamento proposta innanzi al Tribunale per il valore di lire 10.000.000 rimane alla competenza del Tribunale seppure per il nuovo codice di rito sarebbe di compe-tenza del Pretore.

É evidente la deroga al principio del tempus regit actum ma è altrettanto evidente la attuazione del principio della perpetuatio juri-sdictionis di cui alla nuova formulazione dell’art. 5 c.p.c. e secondo il quale agli effetti della competenza sono irrilevanti non solo i mu-tamenti di fatto che possono insorgere nel corso del giudizio, ma an-che quelli di diritto.

Aditosi, dunque, il Tribunale che al momento della domanda ave-va sulla questione competenza, tale competenza rimane ferma pur a seguito di mutamenti di regole di diritto non più attributive a quel giudice di competenza in quei limiti di valore.

L’intento del legislatore è quello di non vanificare tutta una attività processuale svolta innanzi al giudice inizialmente compe-tente e non si assisterà dunque a quel gravissimo fenomeno al qua-le si è assistito nel campo del diritto del lavoro quando, in tema di dipendenti delle Ferrovie dello Stato, tutta una incredibile serie di controversie sono state trasferite al Pretore in funzione di Giudice del lavoro, vanificandosi in tal modo l’attività svolta in-nanzi ai T.A.R.

La stessa regola della perpetuario jurisdictionis si applicherà an-che nelle ipotesi della nuova competenza funzionale del Pretore, per esempio in tema di locazioni, e pertanto il Tribunale rimarrà com-petente a conoscere delle cause di locazioni già pendenti al 1° gen-naio 1992 pur se da tale data non avrà più competenza quale giudi-ce di I grado ma diventerà competente il Pretore.

Se per i giudizi innanzi al Tribunale varrà la regola della perpe-tuatio jurisdictionis in deroga al principio del tempus regit actum, per i giudizi innanzi al Pretore si assiste, invece, ad una sorta di sana-toria di una eventuale incompetenza iniziale ed il Pretore stesso di-venterà competente a trattare tutte quelle controversie instaurate pri-ma del 31 dicembre 1991 e per le quali era a tale data

incompeten-te, se, ovviamenincompeten-te, tali controversie rientreranno nella sua nuova com-petenza per materia o per valore.

Volendo ritornare all’esempio iniziale, se è instaurata oggi una con-troversia innanzi al Pretore del valore di 10.000.000, dal 1° gennaio 1992 il Pretore stesso non potrà, di ufficio o ad istanza di parte, di-chiararsi incompetente su tale controversia perché a quella incompe-tenza si sostituirà la successiva compeincompe-tenza stabilita dalla legge 353/90.

Si potrà verificare, in tal modo, la singolare situazione che due controversie del valore di lire 10.000.000 potranno essere trattate l’una innanzi al Tribunale (in virtù della perpetuatio jurisdictionis) e l’altra innanzi al Pretore (in virtù della sopravvenuta competenza) senza che, ovviamente, potrà essere rilevata illegittimità costituzio-nale per violazione dell’art. 25 Cost. (come pure è stato già detto e scritto) perché in ogni caso al momento della domanda uno e solo uno era il giudice competente precostituito per legge.

Né è a dire, come pure è stato detto, che fino al 31 dicembre 1991 può scegliersi, nell’area di competenza modificata dalla legge 353/90, un giudice o l’altro con la sicurezza che tale scelta verrà con-fermata (ed anche al proposito sollevandosi dubbi di illegittimità co-stituzionale) atteso che tale scelta presuppone in ogni caso che la in-competenza non verrà rilevata o eccepita: fino al 31 dicembre 1991 in quella fascia di competenza vi è un solo giudice competente ed a nulla rilevano le eventuali sanatorie successive se si adisse, allo sta-to, un giudice incompetente.

In conclusione, quanto a questo primo punto, la disposizione dell’art. 90, I c. legge 353/90 non dovrebbe suscitare grosse perples-sità interpretative: i giudizi saranno decisi dal giudice competente secondo la legge anteriore, ad eccezione dei giudizi pendenti innan-zi al Pretore i quali dovranno essere da questi decisi se rientranti nella sua competenza così come prevista dal novellato art. 8 c.p.c.

Notevoli perplessità potrà, invece, suscitare il secondo comma dell’articolo 90 in esame e relativo alla rilevabilità della incompe-tenza per le cause pendenti alla data di entrata in vigore della legge 353/90, problemi interpretativi di indubbio interesse se raffrontata tale disposizione di legge con la norma di cui all’art. 4 l. 353/90 e relativa all’incompetenza.

Come è ben noto, l’articolo 4 modifica significativamente l’arti-colo 38 c.p.c. dettando regole relative all’incompetenza del tutto nuo-ve rispetto a quelle del testo non nonuo-vellato.

Il primo dato che emerge dalla norma in esame è che, in ogni caso, le questioni relative alla competenza sono destinate ad essere precluse oltre la prima udienza, senza distinzione fra i vari tipi di incompetenza seppure quella per territorio derogabile mantiene una sua disciplina differenziata.

Viene altresì confermato quello che è uno dei principi ispirato-ri di tutta la novella volto a fare della pispirato-rima udienza di trattazione una udienza rilevantissima nello intero schema del giudizio e di im-pedire manovre defatigatorie per le quali era possibile svolgere un intero giudizio per poi imporre al giudicante una declatoria di in-competenza.

Più in particolare, ed i rilievi possono essere utili al fine di ve-rificare le norme sulla rilevabilità della incompetenza nella discipli-na transitoria, la incompetenza per materia, quella per valore e quel-la per territorio inderogabile, secondo il novelquel-lato art. 38 c.p.c., so-no rilevate dal giudice o eccepite dalle parti so-non oltre la prima udien-za di trattazione.

Non sussite, dunque, alla luce del novellato art. 38 c.p.c., nes-suna differenziazione fra i poteri del giudice e le facoltà delle parti,

Non sussite, dunque, alla luce del novellato art. 38 c.p.c., nes-suna differenziazione fra i poteri del giudice e le facoltà delle parti,

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 160-200)