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L’utilizzo del diritto comparato nella giurisprudenza italiana in tema di fatti illecit

2. Diritto straniero e ordine pubblico

2.1 Il caso dei danni punit

Nel 2007 la nostra Cassazione12, per la verità in un caso di responsabilità

del produttore in cui veniva richiesta la delibazione di una sentenza della Corte Distrettuale di Jefferson (Alabama, USA) che prevedeva una penale esorbitante, ha trattato il tema del risarcimento dei danni in generale e ri- badito l’orientamento classico secondo cui nel nostro ordinamento l’idea della finalità punitiva è estranea al risarcimento del danno, in quanto alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante la correspon- sione di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato. La sentenza in questione ha espressamente aggiunto che tale concetto valeva per qualsiasi tipo di danno, anche non patrimoniale, e che dunque erano irrilevanti la capacità economica o lo stato di bisogno del dan- neggiato, ma che era quest’ultimo a dovere fornire la prova del pregiudizio risarcibile, mediante l’allegazione di concrete circostanze di fatto, restando escluso che tale prova possa essere considerata in re ipsa13.

Lo stesso orientamento è stato ribadito anche nel 2012 dalla S.C.14 che ha

negato il riconoscimento ad una sentenza USA di condanna al risarcimento dei danni punitivi a favore di un lavoratore danneggiato, sempre sulla scorta del rilievo dell’impossibilità di riconoscimento, nel nostro ordinamento, di finalità punitive al risarcimento dei danni.

Una più recente pronuncia della Cassazione (2015)15 si è poi pronunciata

sul tema delle c.d. pene private o astreintes, nello specifico su una particola- re misura prevista dall’ordinamento belga, cioè la condanna accessoria alla condanna principale di pagamento di una somma in aumento per ogni giorno di ritardo, affermando il principio secondo cui le c.d. «astreintes previste in altri ordinamenti dirette ad attuare, con il pagamento di una somma crescen- 12 Cass. Civ. sez. III, n. 1183/07

13 cfr. anche Cass. Civ. n. 1633/2000 14 cfr. Cass. 8.2.2012 n. 1781

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te con il protrarsi dell’inadempimento, una coercizione per propiziare l’a- dempimento di obblighi non coercibili in forma specifica, non sono incom- patibili con l’ordine pubblico italiano», ed ha svolto una ricostruzione del sistema del risarcimento civile in Italia, che include anche numerose ipotesi normative di astreintes (ad es. l’art. 614 bis c.p.c., numerose disposizioni in materia di proprietà industriale, ecc.) rilevando ed escludendo, tuttavia, che le astreintes possano essere assimilate ai punitive damages, che pur ritiene, a sua volta, inammissibili nel nostro ordinamento.

2.1.1 L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9978/2016

Per contro, con recentissima ordinanza interlocutoria, la Prima Sezione della S.C. ha trasmesso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 secondo comma c.p.c. affinché decida la “questione di massima di particolare impor- tanza” relativa proprio alla contrarietà all’ordine pubblico dei punitive da-

mages16, sempre in un caso di richiesta di delibazione di una sentenza USA

(Corte della Florida), stante il dubbio espresso dal relatore (La Morgese) sul principio compensativo.

La motivazione, di ampio respiro culturale, che ben delinea il progressi- vo espatrio del concetto di ordine pubblico, in giurisprudenza, dall’ambito puramente interno alla nozione di ordine pubblico internazionale, si ispira ai principi fondamentali «fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamen- tali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzitutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria» e interpreta l’evoluzione del concetto di ordine pubblico come ingresso nell’ordinamento nazionale di «istituti giuridici e valori estranei purché compatibili con i principi fondamentali desumibili, in primo luogo dalla Costituzione, ma anche dai Trattati fondativi e dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea». Principi questi ultimi che mi paiono, peraltro, poco pertinenti con la fattispecie dedotta in giudizio (riconosci- mento di una sentenza USA).

La citata ordinanza giustifica anche l’ingresso di prodotti giudiziali stranieri applicativi di regole diverse ma comunque non in contrasto con i valori costituzionali essenziali o non incidenti su materie disciplinate di- rettamente dalla Costituzione e menziona dettagliatamente indicazioni pro- venienti dal diritto comparato, citando la Corte Costituzionale Federale te- desca, la Cassazione francese ed il Regolamento del 2007 sulle obbligazioni extracontrattuali.

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2.1.2 Il revirement operato dalle Sezioni Unite

Tale ordinanza di rimessione ha suscitato scalpore, anche con riferimento alla cronologia, dal momento che, in realtà, com’è noto, proprio le SS.UU. in epoca relativamente recente, con altra importante sentenza in tema di dan- no tanatologico17 avevano seccamente ribadito la funzione compensativa del

risarcimento dei danni ed escluso ogni funzione punitiva, anche nell’ottica della causa giustificatrice dello spostamento di ricchezza, pronunciandosi contro l’ipotesi di risarcibilità del danno da morte jure hereditatis ammessa dalla sentenza della Terza Sezione n. 1361/2014 (Rel. Scarano) che ave- va sollevato la questione innanzi alle SS.UU. e che, fra l’altro, ha fatto in motivazione un uso dialettico costruttivo, in parte anche esornativo della comparazione, laddove afferma che la tesi della non trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da morte in ragione della sua natura strettamente personale «si profili ormai generalmente re- cessiva sia nei sistemi di common law, ivi compreso quello americano, che nei sistemi di diritto continentale, nello stesso ordinamento tedesco ricono- scendosi agli eredi la pretesa al risarcimento del danno non patrimoniale (Schmerzengeld) acquistata in vita dal de cuius»18.

Ma ecco che le Sezioni Unite, nel 201719, pronunciando sulla questione

così rimessa alla sua attenzione, dopo avere in realtà dichiarato inammissibi- li per motivi processuali i motivi di ricorso aventi ad oggetto la questione dei c.d. danni punitivi (impossibilità di ritenere provato o anche solo di presume- re il presupposto della doglianza, e cioè che la Corte USA della cui sentenza si chiedeva la delibazione, avesse effettivamente liquidato anche punitive

damages, trattandosi di una transazione), avvalendosi dell’art. 363 comma 3

c.p.c., poichè si trattava di questione di particolare importanza, hanno aperto uno spiraglio alla delibabilità delle sentenze straniere contenenti previsioni di tal fatta, pur subordinatamente al rispetto dei principi di tipicità, prevedi- bilità e legalità delle sanzioni (in realtà limiti propri delle sanzioni penali), ed alla previsione di limiti quantitativi, alla luce dell’affermata concezione polifunzionale della responsabilità civile e di una valutazione transnazionale del concetto di ordine pubblico.

La motivazione della sentenza delle SS.UU., anch’essa di ampio respiro culturale, tutta incentrata su principi e normative comunitarie e su esiti ar- monizzanti, mediati dalle Carte sovranazionali, sembra, tuttavia, non tene- re molto conto dell’estraneità della pronuncia USA oggetto di delibazione all’ordinamento europeo.

17 Cass. Civ. SS.UU. n. 15350/2015. 18 Cfr. Cass. N. 1361/2014 pag. 87.

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ombretta salvetti 3. Conclusioni

Mutatis mutandis, al di là dell’ambito in cui queste pronunce sono state

emesse e del fascino delle tematiche transnazionali, è d’uopo proporre qual- che conclusiva riflessione concreta, che forse potrà non piacere ai sognatori illuminati, ma che è d’obbligo per chi esercita il mestiere di giudice de jure

condito e non de jure condendo.

Non pare, da tal punto di osservazione, che possa attagliarsi al corret- to esercizio della giurisdizione l’applicazione puramente discrezionale, da parte del giudice, ai casi concreti dedotti in giudizio, di principi generali e astratti mutuati, ora qui ora lì, da ordinamenti stranieri, stante il pericolo di derive ideologiche, di corsa al protagonismo giudiziario, dell’aumento del rischio di disparità di trattamento fra utenti di casi simili nell’ambito interno, del c.d. forum shopping e, addirittura, a voler pensare male, di possibile pi- lotaggio delle decisioni ad opera delle parti, tramite l’opportuna scelta della norma applicabile, presa fior da fiore da uno o dall’altro ordinamento estero, con la sostanziale conseguenza più che dell’armonizzazione, dell’aumento dell’incertezza del diritto.

L’armonizzazione ben venga dunque, ma sia codificata in impianti nor- mativi unitari, cogenti e dettagliati, che non impongano, come ultimamente avviene, al giudicante, salti mortali interpretativi o il ricorso a pericolose analogie.

geo Magri

Il DCFR come “scatola per gli attrezzi” per il giudice

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