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L’articolo 12 delle preleggi e il diritto comparato

Il DCFR come “scatola per gli attrezzi” per il giudice italiano

3. L’articolo 12 delle preleggi e il diritto comparato

A partire da un saggio di K. Zweigert42, la dottrina si è interrogata sulla

possibilità di utilizzare il diritto comparato come ausilio per l’interpretazio- ne del diritto interno; con riferimento al diritto italiano, ci si deve chiedere se l’articolo 12 delle preleggi, facendo riferimento ai principi generali dell’or- dinamento, consenta di prendere in considerazione il diritto comune europeo come dimora attuale del diritto italiano43.

Ovviamente si tratta di una questione ben diversa rispetto all’utilizzo del diritto straniero nella risoluzione di una controversia di carattere interna- zionalprivatistico; in questo caso, infatti, il rinvio è normalmente definito come “dovuto”, poiché è il diritto italiano a rimandare a una norma straniera per disciplinare una determinata fattispecie. La questione che qui interessa, invece, è se, e in quale misura, il diritto straniero possa essere utilizzato per meglio interpretare il diritto italiano o per integrare eventuali lacune. Il dirit- 42 K. zweiGert, Rechtsvergleichung als universale Interpretationsmethode, in RabelsZ

15 (1949-50), p. 5 ss., la questione è stata ripresa più recentemente da C. D. von BuSSe, Die

Methoden der Rechtsvergleichung im öffentlichen Recht als richterliches Instrument der Interpretation von nationalem Recht, Baden – Baden, 2015.

43 P.G. MonAteri, A. SoMMA, “Alien in Rome”, L’uso del diritto comparato come inter-

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to straniero, in questo modo, può essere utilizzato non soltanto per favorire un percorso di Rechtsangleichung o di Rechtsvereinhetlichung, ma anche per avvalorare una richterliche Rechtsfortbildung, ossia un’evoluzione giu- risprudenziale del diritto, che, come si è detto, è spesso connaturale all’atti- vità interpretativa44. In proposito il Parlamento europeo45 ha sottolineato il

fatto che i giudici nazionali sono un elemento centrale del sistema giudizia- rio dell’Unione Europea, in quanto svolgono una funzione fondamentale e imprescindibile per la creazione di un ordinamento giuridico unico europeo. Ne consegue l’esigenza di garantire ai giudici e agli avvocati di ciascun Paese membro un maggiore accesso alla giurisprudenza nazionale degli altri Stati membri46.

L’utilizzo della comparazione giuridica in via interpretativa è un tema del quale si è occupata in modo piuttosto approfondito la dottrina tedesca, aprendo un campo di indagine che ha poi visto impegnarsi anche studiosi di altri paesi47.

44 Si vedano in proposito le osservazioni di B. GroSSFeld, Vom Beitrag der

Rechtsvergleichung zum deutschen Recht, in AcP, 184 (1984), p. 606 ss., secondo il quale, però, l’utilizzo del diritto comparato deve avvenire entro il limite delle opzioni interpreta- tive possibili.

45 Risoluzione del 9 luglio 2008 sul Ruolo del giudice nazionale nel sistema giudiziario europeo (doc. A6-0224/2008).

46 S. FAro, Sistemi informativi per l’accesso transnazionale alla giurisprudenza dei giu-

dici europei, in Informatica e diritto, 2008, p. 201 ss., spec. p. 203 s.

47 Senza pretese di completezza si vedano, oltre ai già citati K. zweiGert, Rechtsvergleichung

als universale Interpretationsmethode, e B. GroSSFeld, Vom Beitrag der Rechtsvergleichung

zum deutschen Recht, le opere di J. KroPholler, Die vergleichende Methode und das inter-

nationale Privatrecht, in ZVglRW 77 (1978), p. 1 ss.; U. droBniG, P. doPFFel, Die Nutzung

der Rechtsvergleichung durch den deutschen Gesetzgeber, in RabelsZ, 46 (1982), p. 253 ss.;

U. droBniG, Rechtsvergleichung in der deutschen Rechtsprechung, in RabelsZ, 50 (1986),

p. 610 ss.; G. reinhArt, Rechtsvergleichung und richterliche Rechtsfortbildung auf dem

Gebiet des Privatrechts, in Richterliche Rechtsfortbildung – Erscheinungsformen, Auftrag und Grenzen, Festschrift der Juristischen Fakultät zur 600-Jahr-Feier der Ruprecht-Karls- Universität Heidelberg, 1986, p. 599 ss.; E. jAyMe, Precedente e “Rechtsfortbildung“ nel

sistema tedesco dell’illecito civile. L’influenza del diritto comparato, in Foro it., V, 1988, c. 369 ss.; A. SoMMA, L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comu-

nitario, Milano, 2001; C. BAlduS, Il valore del precedente extrastatuale nell’applicazione

del diritto interno. Un punto di vista tedesco di diritto privato comunitario, in Contratto e Impresa / Europa, 2008, p. 4 ss.; G. SMorto, L’uso giurisprudenziale della comparazione,

in Eur. dir. priv., 2010, p. 1 ss.; M. BoBe, Comparative Reasoning in European Supreme

Courts, Oxford, 2013; j. SchMid, A. h. e. MorAwA, l. hecKendorn urScheler (a cura di),

Die Rechtsvergleichung in der Rechtsprechung, Zürich, Basel, Genf, 2014 e M. AndenAS,

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Il ricorso al diritto straniero non può prescindere dall’utilizzo della me- todologia comparatistica come «tecnica di accertamento» di tale diritto48;

è stato infatti correttamente osservato che l’ordinamento straniero non si dà come «presenza sganciata dai mezzi conoscitivi predisposti dal diritto comparato»49.

Si deve a questo punto esaminare come la comparazione e il diritto stra- niero (ricomprendendosi in esso il diritto comune europeo) possano essere utilizzati al fine di meglio interpretare il diritto italiano. L’articolo 12 delle preleggi indica, come si è detto, due criteri integrativi ai quali l’interprete può fare rinvio: l’analogia e i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. È evidente che la norma ha una funzione di chiusura dell’ordi- namento italiano rispetto a quello straniero, chiusura che, se si può compren- dere in relazione al periodo storico nel quale il codice fu scritto50, diviene

meno gustificabile oggi, in un quadro sociopolitico completamente cambiato e nel quale l’ordinamento italiano si inseririsce in un contesto europeo ed internazionale, che impone (artt. 10 c. 1 e 117 c. 1 Cost.) un’apertura dell’or- dinamento italiano a principi e valori stranieri.

La dottrina sembra farsi carico di questi rilievi quando osserva che, men- tre il ricorso ai principi generali dell’ordinamento escluderebbe la possibi- lità di invocare il diritto straniero per interpretare il diritto interno, il ricor- so all’analogia, non essendo vincolato alle sole norme vigenti all’interno dell’ordinamento, permetterebbe di utilizzare anche il diritto di altri paesi per colmare le lacune dell’ordinamento51. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in

cui un casus omissus non possa essere risolto facendo ricorso all’interpre- tazione analogica delle disposizioni dell’ordinamento perché fanno difetto le norme da applicare analogicamente: in questo caso l’interprete potrà sup- plire a questa mancanza ricorrendo all’analogia con le disposizioni di un ordinamento straniero che disciplini un caso simile.

Prima di poter far ricorso al diritto comparato, quindi, l’interprete dovrà verificare che il caso non possa essere risolto con norme di diritto interno. Solo quando tali norme siano assenti o solo qualora siano prospettabili più soluzioni interpretative, prima di ricorrere ai principi generali dell’ordina- mento, l’interprete potrà fare ricorso al diritto comparato per individuare una soluzione o per stabilire, tra le alternative prospettabili, quella preferi- 48 P.G. MonAteri, A. SoMMA, op. cit., c. 49.

49 P.G. MonAteri, A. SoMMA, op. cit., c. 51.

50 La regola ha le sue origini, oltre che negli artt. 14 e 15 del codice albertino, nell’art. 3 delle disp. prel. cod. civ. 1865, che richiamava più generici principi generali del diritto, mentre l’articolo 12 delle preleggi rinvia, in modo più autarchico, i principi generali dell’or- dinamento giuridico dello Stato. Cfr. G. GorlA, I precedenti, cit., col. 114.

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bile o quella che gode internazionalmente di maggior successo. La necessità di fare ricorso al diritto comune europeo e al diritto comparato si fa mag- giormente pressante nel caso in cui si debba interpretare una disposizione di diritto europeo derivato, ad esempio una norma interna che risulta dalla trasposizione di una direttiva. Un’interpretazione omogenea delle direttive nei singoli Stati membri è, del resto, un’importante garanzia dell’armoniz- zazione alla quale tende il diritto eurounitario.

Ricorrere alla comparazione implica, però, affrontare e risolvere una se- rie di problemi pratici: in primo luogo si tratta di stabilire quale diritto stra- niero utilizzare. La soluzione preferibile sembra quella di fare riferimento in prima istanza ai principi del diritto comune europeo. Tali principi, sebbene attualmente godano, come già ricordato, del rango di soft laws, appaiono preferibili rispetto ai singoli diritti nazionali per una serie di motivi: in pri- mo luogo essi agevolano l’armonizzazione del diritto degli Stati membri e il raggiungimento di un tale obiettivo appare non soltanto auspicabile, ma anche conforme al progetto di costruzione di uno spazio giuridico comune europeo; a tale progetto l’Italia ha preso parte nel momento in cui ha aderito alle Comunità Europee prima e all’Unione Europea poi. Un altro motivo per preferire il diritto comune europeo al diritto nazionale è legato al fatto che le soluzioni in esso contenute appaiono più neutrali rispetto a quelle dei singoli ordinamenti nazionali, i quali normalmente accompagnano le rego- le formulate espressamente a impliciti culturali (c.d. crittotipi) legati alla tradizione che ne determinano la concreta applicazione e che sono difficil- mente conoscibili agli stranieri. Infine, i principi di diritto comune europeo sono frutto di un lavoro di selezione delle regole nazionali che appaiono più moderne ed efficienti per disciplinare le esigenze della moderna società; il ricorso a tali principi consente quindi, ragionevolmente, di avere accesso alle migliori regole disponibili. L’utilizzo del DCFR nella sua full edition, inoltre, appare un ausilio particolarmente funzionale per l’interprete, poiché ogni regola è commentata e accompagnata da note nelle quali sono indicate le soluzioni vigenti nei singoli ordinamenti nazionali52. In questo modo è più

agevole avere una visione d’insieme dei singoli diritti nazionali e stabilire se la disposizione del diritto comune è effettivamente quella più indicata a sug- gerire una soluzione interpretativa o se, invece, sono preferibili le soluzioni offerte da altri ordinamenti, le quali appaiono più in sintonia con il diritto italiano o con la disciplina di specifici settori.

52 Il testo della full edition del DCFR può essere consultato gratuitamente online agli indirizzi seguenti:

Volumi 1 e 2 http://ec.europa.eu/justice/contract/files/european-private-law_vols1_2_en.pdf Volumi 3 e 4 http://ec.europa.eu/justice/contract/files/european-private-law_vols3_4_en.pdf Volumi 5 e 6 http://ec.europa.eu/justice/contract/files/european-private-law_vols5_6_en.pdf

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Il ricorso al diritto nazionale di un altro Stato, anziché ai principi di diritto comune, sembra invece consigliabile come soluzione residuale, da predi- ligere soltanto quando la regola risultante dal diritto comune europeo non sembri sufficientemente funzionale o appaia in contrasto rispetto al quadro sistematico vigente all’interno dell’ordinamento; oppure ancora quando il legislatore italiano, nel disciplinare una determinata materia, si sia espres- samente ispirato al diritto di quell’ordinamento53. In queste ipotesi appare

quindi preferibile fare ricorso al diritto di un ordinamento che abbia maggio- ri punti di contatto con quello italiano e che sia quindi in grado di offrire una soluzione interpretativa che non appaia estranea al sistema.

Un altro aspetto sul quale merita svolgere qualche riflessione è legato alla conoscibilità del diritto straniero. Mentre è pacifico che il giudice possa di- sporre una CTU sul diritto straniero nel caso di una controversia in materia di diritto internazionale privato (art. 14 legge 218/95), maggiori dubbi sorgono sulla possibilità di disporre una CTU allo scopo di conoscere il diritto straniero al fine di individuare una disposizione che possa ispirare analogicamente la soluzione del caso specifico54. Ammesso che in questo caso il principio iura

novit curia non trovi applicazione e che il giudice possa teoricamente dispor-

re una CTU o avvalersi degli strumenti di ausilio indicati dall’art. 14 della legge 218, dal punto di vista pratico appare difficilmente ipotizzabile che ciò avvenga nella realtà55. Sembra invece più facilmente ipotizzabile che, qualora

il giudice intenda ricercare una soluzione interpretativa facendo ricorso all’a- nalogia con i principi generali dell’ordinamento o con un ordinamento stra- niero, sarà egli stesso a individuare le regole da prendere in considerazione. Evidentemente questa soluzione comporta il rischio che la regola straniera sia

Mentre all’indirizzo http://ec.europa.eu/justice/contract/files/european-private-law_it.pdf è consultabile la traduzione in italiano dei principi, delle regole e dei commenti.

53 Su questo aspetto si veda U. droBniG, P. doPFFel, Die Nutzung der Rechtsvergleichung

durch den deutschen Gesetzgeber, in RabelsZ, 46 (1982), p. 253 ss.

54 P.G. MonAteri, A. SoMMA, op. cit., c. 52 concludono favorevolmente alla possibilità

di disporre una CTU per stabilire l’esatta natura del diritto straniero che appaia idoneo a suggerire un’interpretazione analogica del diritto nazionale. Secondo gli autori in capo al giudice vi sarebbe un vero e proprio obbligo di accertare il diritto straniero, quando le parti abbiano allegato una disposizione di diritto straniero come argomento interpretativo diri- mente per risolvere una determinata controversia. Si tratterebbe di un dovere assimilabile a quello di accertare la validità di un argomento storico che le parti sollevino come indicazio- ne della soluzione interpretativa della controversia.

55 L’utilizzo e la circolazione del diritto e delle decisioni straniere è oggi agevolata dall’esistenza di banche dati online, che permettono un facile accesso a norme e sentenze. Sul tema si rimanda a S. FAro, op. cit., p. 201 ss.

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compresa in modo errato o incompleto. Poiché il diritto straniero è utilizzato per integrare quello italiano, la sua scorretta interpretazione non darà luogo a un motivo di ricorso, ma sarà rilevante solo se e in quanto si traduca in un vizio di ragionamento del giudicante. La parte che intende impugnare, quindi, dovrà dimostrare che la falsa interpretazione del diritto straniero ha determinato una frattura dell’iter logico della decisione, esattamente come avviene nel caso di scorretta interpretazione di una CTU o di errata ricostruzione del fatto storico alla base del decisum56.

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