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1.3 Thomas Mann

1.3.2 Cavaliere tra la morte e il diavolo (1931)

Il secondo lavoro di Mann dedicato a Freud è più un saluto, come lo stesso Mann

scrive, che un vero e proprio saggio. Si tratta di uno scritto d’occasione molto breve per il settantacinquesimo compleanno di Freud. Anche in questo caso, come per il saggio precedente, Mann apre il suo lavoro con un riferimento a Nietzsche:

egli [Freud] ha molto del düreriano Cavaliere tra la morte e il diavolo, al quale sembra richiamarsi Nietzsche quando dice di Schopenhauer, un altro spirito affine a Freud: «Un uomo e un cavaliere dallo sguardo bronzeo, che ha il coraggio di essere se stesso, che sa di essere solo e non sta ad aspettare in primo luogo un battistrada e assensi superiori»20

Anche questa volta Mann sembra inserire Freud in una tradizione tedesca ben precisa e, anche questa volta, la chiave di lettura per la sua interpretazione del contributo freudiano è offerta da Nietzsche. Se prima Freud era inserito all’interno della cornice del romanticismo tedesco, ora lo è nel quadro di una più generale cultura germanica: Dürer, Schopenhauer, Freud, riletti, tutti e tre, a partire da Nietzsche, non sembra molto dissimile dai successivi Schopenhauer, Nietzsche, Freud, riletti a partire da Mann.

Questo secondo saggio, seppur breve, è denso di considerazioni, alcune delle quali, probabilmente, originate dalle comunicazioni tra Mann e Freud intercorse tra il primo lavoro su La posizione di Freud nella storia dello spirito moderno e questo secondo sul Cavaliere tra la morte e il diavolo. È lo stesso Mann a richiamarsi al suo scritto di due anni prima e a rifarsi alle comunicazioni personali avute con Freud:

Sono lieto di aver potuto testimoniare allora – anche se troppo tardi perché questo possa costituire un qualche merito – la mia ammirazione per lui [Freud], lieto soprattutto perché ciò ha fatto piacere al grande vegliardo. La sua riconoscenza per essere stato da me «inserito nella compagine della vita spirituale tedesca», lui che riteneva «di costituire per questa nazione un corpo estraneo», mi commosse profondamente. Sarei davvero tentato di rendere noti parecchi passaggi caratteristici e istruttivi della splendida lettera che egli mi scrisse allora, ma non posso farlo senza il suo permesso. Voglio tuttavia prendermi la libertà di citarne ancora uno […]: «Ho sempre ammirato e invidiato i poeti, soprattutto quelli che, come Lessing, l’ideale della mia giovinezza, sottomettevano la loro arte al pensiero e la ponevano al suo servizio»21

Il passo è estremamente indicativo dell’atteggiamento freudiano nei confronti di un

20

Mann (1931), p. 1376 corsivo dell’autore.

tentativo come quello di Mann, soprattutto se si prende in considerazione il contesto da cui nasce questo atteggiamento. Freud è chiaramente contento di ricevere apprezzamenti, vieppiù da un personaggio già noto e riconosciuto come era Thomas Mann all’epoca, il suo compiacimento, non esente da un certo cinismo sarcastico, si può evincere anche dalla corrispondenza tra Freud e Salomé in cui i due commentano l’intervento di Mann22

e, in effetti, questo piacere misto a una certa ironia riferita alla questione tedesca23, Freud l’ha espresso anche allo stesso Mann. Freud non si dice contento del contenuto del saggio di Mann, ma contento dell’apprezzamento che Mann nutre per lui e, aggiunge, che prova piacere nel ricevere l’apprezzamento «dal rappresentante riconosciuto della parte migliore del popolo tedesco»24. Naturalmente sarebbe stato di cattivo gusto se Mann avesse riportato anche questo complimento di Freud nei suoi confronti, ma, con la coscienza dei posteri, è impossibile non vedere il nesso tra la dichiarazione freudiana su Mann, ovvero il suo essere la parte migliore del popolo tedesco, e quella di una estraneità di Freud a quello stesso popolo a cui Mann lo aveva associato. Per comprende quanto poco poteva far piacere a Freud essere inserito all’interno della vita spirituale tedesca e quanta ironia avesse utilizzato nella sua lettera a Mann, basta leggere la corrispondenza con Arnold Zweig, ebreo di lingua tedesca, combattuto sui propri sentimenti identitari, insieme tedeschi ed ebraici, per rendersi conto delle più nette posizioni freudiane a riguardo. Freud scrive a Zweig: «Se mi racconta delle Sue elucubrazioni, La posso liberare dalla fissazione di dover essere un tedesco. Non si dovrebbe abbandonare a se stesso questo popolo dimenticato da Dio?»25 e poi, in riferimento a un lavoro di Zweig in cui quest’ultimo analizza la sua condizione di ebreo tedesco, Freud scrive ancora: «sono molto interessato a leggerlo, ora che so che Lei è guarito dal Suo infelice amore per la pretesa patria. Una tale passione romantica non si adatta a gente come noi»26. In particolare quest’ultima espressione è molto utile per comprendere la reazione di Freud al tentativo manniano di farne un romantico tedesco. Freud è chiaramente lusingato dall’ammirazione ricevuta da Mann, ma questo non lo costringe a sentirsi lusingato anche dal vedersi accostato al romanticismo tedesco, anzi, l’accostamento in sé, sebbene provenga da un uomo degno di stima, non deve avergli suscitato un

22

cfr. Pfeiffer (1978), pp. 177-180.

23 Utilizzo qui questa espressione sul calco di quella ben più nota di questione ebraica, per indicare

uno stretto legame tra le due.

24

Mann, E. (a cura di) (1961), p. 361.

25

Freud, E. (a cura di) (1968), p. 88 lettera di Freud a Zweig del 18 agosto 1932.

particolare piacere, ma, semmai, un leggero fastidio ammantato immediatamente da una distaccata ironia.

Infine, anche il riferimento freudiano a Lessing, riportato da Mann in chiusura del suo Cavaliere tra la morte e il diavolo, è anch’esso da interpretare in chiave assolutamente ironica, per non dire addirittura sarcastica. Mann aveva scritto un saggio su romanticismo e illuminismo con le rispettive componenti reazionarie e rivoluzionare presenti in entrambi e, nella cornice di quel saggio, la posizione freudiana vi rientrava come una posizione romantica; Freud non poteva perdere l’occasione di ringraziare il poeta Thomas Mann dichiarando il suo amore per il poeta illuminista e amico degli ebrei, Lessing. Il gesto è ancora una volta provocatorio e tendente ad affermare la scelta di campo in cui Freud si vedrebbe meglio collocato, cioè lo spirito dell’illuminismo.