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2. Nietzsche nel discorso freudiano

2.6 L'eterno ritorno e la coazione a ripetere

2.6.3 Una lettera a Ferencz

Lasciando da parte per un momento il doppio riferimento all'eterno ritorno presente nelle opere di Freud, c'è un altro elemento che può tornare utile per la comprensione dell'atteggiamento freudiano nei confronti di questo concetto nietzscheano: una lettera di Freud a Ferenczi del 16 dicemebre 1917. Questa lettera si inserisce nel contesto di una corrispondenza non solo lavorativa, essendo Freud e Ferenczi colleghi e confrontandosi intorno a problemi teorici e tecnici della psicoanalisi, ma anche e, forse più di ogni altro scambio epistolare freudiano, una corrispondenza amicale. La lettera, pur presentando entrambi gli aspetti, lavorativo e amicale, è interessante, ai fini del confronto Freud-Nietzsche, maggiormente per ciò che attine questo secondo aspetto. Freud veniva da un periodo di malessere fisico, malessere di cui aveva reso partecipe l'amico Ferenczi. Allora Ferenczi aveva risposto: «E il Suo malumore delle ultime settimane non si è un poco mitigato? Ho condiviso con Lei altre volte questo stato d'animo di commiato, che era sempre seguito da un rinvigorimento e da qualche bella novità per noi, i Suoi discepoli. Mi perdoni se non prendo troppo tragicamente il Suo stato d'animo e persevero nel mio ottimismo»88. E Freud risponde a sua volta: «Il Suo ottimismo mi ha fatto davvero sorridere. Sembra credere all' “eterno ritorno” [Sie scheinen an eine “ewige Wiederkehr des Gleichen” zu glauben] e voler ignorare che la curva ha una inequivocabile direzione. Non c'è nulla di sorprendente nel fatto che un uomo della mia età constati l'inevitabile graduale decadimento del suo essere. Spero si convincerà presto che io non soffro di

88

Brabant, Falzeder, Giampieri-Deutsch (a cura di) (1992), p. 273 vol. 2 lettera 716 Fer del 13 dicembre 1917.

malumore»89.

Anche in questo caso il riferimento a Nietzsche è fugace e poco significativo. Freud e Ferenczi stanno dialogando, in amicizia, sui piccoli problemi di salute che potevano affliggere un uomo di mezza età e, all'interno di questo colloquio epistolare, viene utilizzata un'espressione in voga nella Mitteleuropa colta del tempo. Non sembra quindi esserci nessun intento di considerare seriamente quel concetto. Eppure, se proprio si volesse tentare di ricostruire l'atteggiamento freudiano nei confronti dell'eterno ritorno a partire da questo piccolo riferimento, allora si dovrebbe arrivare all'idea che Freud tendeva a sorridere, bonariamente e con un certo atteggiamento di superiorità, tanto dell'ottimismo del suo più giovane amico, quanto dell'eterno ritorno nietzscheano, seppure quest'ultimo sia molto indebitamente associato a un andamento sinusoidale del benessere psicofisico.

Ricapitolando, i riferimenti freudiani all'eterno ritorno di cui si ha conoscenza, sono tre: due nelle opere e uno nelle corrispondenze. Tutti sono fugaci e poco significativi. Non c'è mai un riferimento bibliografico; l'espressione nietzscheana viene sempre riportata da Freud in modo più o meno scorretto; concettualmente eterno ritorno e coazione a ripetere sono estremamente diversi poiché il primo ha un carattere circolare il secondo lineare; l'atteggiamento assiologico freudiano e quello nietzscheano nei confronti dell'eterno ritorno è diametralmente opposto.

Ancora una volta, alla luce di queste considerazioni, è possibile affermare che i riferimenti freudiani a Nietzsche, anche per ciò che attiene la nozione di “eterno ritorno”, non sembrano essere particolarmente significativi né da un punto di vista

quantitativo né qualitativo.

2.7 Übermenschen

Si è deciso di intitolare questo paragrafo “Übermenschen” e non “Übermensch”, poiché l’utilizzo del sostantivo in forma plurale sembra maggiormente adeguato per affrontare un discorso sul concetto di “superuomo” in Freud e in Nietzsche. In primo luogo, ancora una volta, il riferimento freudiano a Nietzsche, è doppio, ma, soprattutto, in secondo luogo, le differenze tra il superuomo così come è pensato da Freud e il superuomo di Nietzsche, sono così marcate che si può arrivare a parlare

tranquillamente di “superuomini” al plurale. In altre parole, sia perché filologicamente due sono i riferimenti presenti nel testo freudiano, sia perché concettualmente ci si trova difronte a due concezioni radicalmente differenti di

Übermensch, si può parlare di nozioni opposte di “superuomini”.

Definire opposte la concezione di Freud e quella di Nietzsche per ciò che attiene il superuomo, presuppone, in effetti, una chiara definizione di ciò che Nietzsche intende con questa espressione, paragonandola, poi, con l’uso freudiano e, infine, evidenziare le eventuali assonanze e/o differenze. Tutto ciò, a ben vedere, è più complicato di quanto non appaia a prima vista, poiché il termine “Übermensch” ricorre in Nietzsche svariate volte, per lo più nello Zarathustra, ma anche in altre opere e, soprattutto, in numerosi frammenti postumi così come, a volte, anche nelle corrispondenze. Le molteplici occorrenze del termine, inoltre, presentano numerose sfumature semantiche che, se dovessero essere prese in considerazione in maniera filologica e analitica, richiederebbero uno studio tale che esula dagli obiettivi e dalle possibilità di questo lavoro. Al fine di poter paragonare la concezione freudiana del superuomo con quella nietzscheana, si deve delineare una definizione, necessariamente parziale e sintetica di ciò che Nietzsche intende con questo termine con riferimento esclusivamente ad alcuni passi dello Zarathustra.

Tornato dalla montagna e giunto nella prima città ai margini del bosco, Zarathustra dice agli abitanti della città: «Io vi insegno il superuomo» e poi aggiunge «L’uomo è qualcosa che deve [soll] essere superato [überwinden]»90. Il superamento di cui parla Zarathustra è probabilmente molto lontano dal terzo momento della dialettica hegeliana; se Hegel utilizza la forma sostantivata del verbo “aufheben”, qui Nietzsche si serve del participio passato di “überwinden”. Senza prendere il considerazione tutti i significati e le sfumature semantiche del termine hegeliano, basta sottolineare come, per Hegel il superamento prevede allo stesso tempo una conservazione, mentre, per Nietzsche, sembra trattarsi invece di un salto evolutivo tratteggiato in termini di radicale discontinuità. Il termine “überwinden”, che corrisponde perfettamente all’italiano “superare”, può anche significare, in altri contesti, “vincere”, “battere”, “sopraffare”; si può quindi affermare che, per Nietzsche, l’uomo è qualcosa che deve essere superato, battuto, sopraffatto.

Questa interpretazione in termini di evoluzionismo discontinuista, viene avallata

dallo stesso Nietzsche che, poche battute dopo, fa affermare al suo Zarathustra: «Che cos’è la scimmia per l’uomo? Oggetto di riso o dolorosa vergogna. E proprio questo deve [soll] essere l’uomo per il superuomo: oggetto di riso o dolorosa vergogna»91

. In questo passaggio Nietzsche istituisce un rapporto proporzionale tra la scimmia e l’uomo da una parte, e l’uomo e il superuomo dall’altra. Così come c’è un abisso incolmabile, abisso che suscita riso e vergogna, tra la scimmia e l’uomo, pur derivando il secondo dalla prima, allo stesso modo c’è, per Nietzsche, un abisso incolmabile tra l’uomo e il superuomo. La discontinuità non è data biologicamente, tanto che in realtà l’evoluzione umana ha conosciuto svariate fasi intermedie tra lo stadio scimmiesco e l’attuale, ma è una discontinuità tutta concettuale e, probabilmente, ontologica: poco importano, per Nietzsche, le fasi intermedie, ciò che conta è che ora la distanza tra la scimmia e l’uomo è abissale, a tal punto da suscitare riso e vergogna. Allo stesso modo, mutatis mutandis, la distanza tra uomo e superuomo è una distanza concettuale, ontologica e non semplicemente biologica: altrettanto abissale e altrettanto ridicola e umiliante.

Questa evoluzione temporale, di una temporalità non meramente cronologica, ma marcatamente esistenziale, viene ribadita ancora oltre e maggiormente delineata: «L’uomo è una fune [seil] sospesa [geknüpft] tra l’animale e il superuomo, – una fune sopra l’abisso [Abgrunde]» e ancora, poco più avanti: «Quel che è grande nell’uomo è che egli è un ponte [Brücke] e non una meta [Zweck]: quel che si può amare nell’uomo è che egli è transizione [Übergang] e tramonto [Untergang]»92

. La scansione logica delineata da Nietzsche si può quindi riassumere, molto riduttivamente, come: animale – uomo – superuomo. Dove lo stadio del superuomo è chiaramente posto dopo quello umano. Questa scansione logica ha portato Vattimo a tradurre il termine nietzscheano “Übermensch” con oltreuomo anziché superuomo. Il prefisso “über”, infatti, possiede una vastissima gamma di significati e di sfumature semantiche, tra le quali, anche, quella di “oltre”. Tornando indietro, si può quindi affermare che, nonostante la complessità del concetto di superuomo in Nietzsche e le svariate possibili interpretazioni e sfumature dello stesso, questo carattere di oltrepassamento della condizione meramente umana si dimostra come un carattere essenziale e invariante.

A questo punto si può introdurre uno dei riferimenti freudiani a questo concetto di

91

Ibidem.

superuomo, ovvero il riferimento presente in Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in cui Freud scrive: «Agli inizi della storia umana [Zu Eingang der Menschheitsgeschichte] fu lui il superuomo [war er der Übermensch] che per Nietzsche possiamo aspettarci solo dal futuro [den Nietzsche erst von der Zukunft erwartete]»93. Questo brevissimo riferimento denota già delle caratteristiche importanti: in primo luogo, come per gli altri riferimenti freudiani a Nietzsche, si tratta di un riferimento breve, non tematizzato e, soprattutto, completamente sprovvisto di qualsiasi tipo di notazione bibliografica. Potrebbe trattarsi dell’ormai usuale sentito dire, di voci intorno a concetti nietzscheani di cui Freud si serve senza necessariamente verificarne la fondatezza. In secondo luogo, per la prima volta, sembra che Freud abbia consapevolezza del carattere antitetico della sua posizione rispetto a quella nietzscheana: se è vero che carattere essenziale del superuomo nietzscheano è la sua collocazione temporale successiva alla condizione umana, allora il superuomo di cui parla Freud si colloca esattamente all’opposto, ovvero in una condizione esistenziale preumana e non oltreumana. In altre parole, se per Nietzsche il superuomo è una evoluzione dell’uomo, per Freud è l’uomo a essere una evoluzione del superuomo e, se dovesse mutare la sua condizione umana verso una condizione superominica, non si tratterebbe di una evoluzione “progressiva”, ma di una evoluzione (mutazione) “regressiva”.

Inoltre, questo rovesciamento operato da Freud implica, necessariamente, l’impossibilità di intendere lo Übermensch come oltreuomo e, nel contempo, la volontà esplicita di ricondurlo a un campo semantico legato alla potenza e alla tracotanza. È come se Freud stesse affermando che il superuomo di Nietzsche è un essere caratterizzato dalla sua capacità di imporre con forza, fisica e psichica, il suo volere al resto della comunità in cui si trova e che, un essere siffatto, più che aspettarcelo dal futuro, come nell’interpretazione nietzscheana, è possibile invece ritrovarlo nel passato.

Sarebbe interessante sapere quanto questa immagine del superuomo nietzscheano che Freud possiede, sia stata realmente costruita sulla base di una reale lettura dello

Zarathustra o quanto, invece, non provenga da fonti altre rispetto a una lettura

testuale. Quel che è certo è che, non operando Freud alcun riferimento bibliografico e, contestualmente agli altri riferimenti a Nietzsche presenti nei suoi scritti, appare

estremamente plausibile che anche questo riferimento al superuomo sia fondato, più su un clichè culturale in voga all’epoca che non su un vero e proprio studio della problematica testuale nietzscheana; non bisogna inoltre dimenticare che Freud non poteva conoscere né i Frammenti postumi, né aveva assistito, o poteva sospettare, della futura revisione critica delle opere nietzscheane operata da Colli e Montanari. Il Nietzsche di Freud, ammesso che si possa parlare di un Nietzsche di Freud, è indubbiamente il Nietzsche portato in auge dalla sorella Elisabeth Förster-Nietzsche e che, a inizio secolo, si trovava strumentalizzato da una cultura della tracotanza che avrebbe poi condotto all’avvento del nazionalsocialismo.

Un’altra differenza importante tra il superuomo nietzscheano e quello freudiano, legata al rovesciamento temporale tra i due, risiede nell’atteggiamento assiologico assunto dai due autori nei confronti dei rispetti Übermenschen: se per Nietzsche l’avvento del superuomo è qualcosa di auspicabile, per Freud, al contrario, è stato un bene il superamento di quello stadio primordiale in cui viene collocato il superuomo nietzscheano, di cui, quindi, non è affatto auspicabile un ritorno.

Il fatto che per Nietzsche l’avvento del superuomo sia auspicabile e che possieda quindi anche una portata assiologica, risulta evidente dall’espressione utilizzata, secondo cui l’uomo sarebbe qualcosa che “deve [soll]” essere superato, quel dovere, espresso con un “sollen”, è chiaramente inteso come un dovere morale. Allo stesso modo, Zarathustra, dopo aver annunciato l’oltreuomo94, afferma ancora: «Io amo colui che lavora e investe per edificare la casa al superuomo»95.

Se l’atteggiamento assiologico nietzscheano nei confronti del suo oltreuomo è molto chiaro, risulta invece, almeno in apparenza, meno chiaro quello di Freud nei confronti del suo superuomo. In quanto medico e psicoanalista, è difficile trovare nelle opere freudiane dei giudizi di carattere assiologico: praticamente impossibile nelle opere più propriamente psicoanalitiche come, per esempio, i Casi clinici. Ciò nonostante, attraverso il confronto tra le opere non strettamente ed esclusivamente analitiche, con altre di carattere maggiormente teorico, è possibile dedurre le posizioni freudiane per ciò che attiene il giudizio morale: in questo caso il rifiuto nei confronti di ciò che per lui significa il concetto di superuomo.

Il riferimento presente in Psicologia delle masse, come si è visto, suona: «Agli inizi

94

Da questo momento in avanti si utilizzeranno i termini “oltreuomo”, in riferimento a Nietzsche e, “superuomo”, in riferimento a Freud.

della storia umana fu lui [er] il superuomo che per Nietzsche possiamo aspettarsi solo dal futuro»96. Tenendo sullo sfondo il capovolgimento cronologico perato da Freud nei confronti dell’oltreuomo nietzscheano, ci si può però interrogare ulteriormente sulla identità di questo “lui” [er] che Freud considera il superuomo e che colloca all’inizio della storia umana: questo superuomo primitivo non è altri che il padre dell’orda primordiale descritto da Freud in Totem e tabù. In Psicologia delle

masse, infatti, Freud paragona esplicitamente i sistemi gerarchici moderni, in

particolare esercito e chiesa cattolica, all’orda primordiale descritta in Totem e tabù e, i moderni capi di queste organizzazioni gerarchiche non sarebbero altro, secondo Freud, che versioni moderne dell’antico modello costituito dal padre primordiale o maschio alfa dell’orda o superuomo. È in questo contesto, quindi, che operando il parallelo con Totem e tabù, in Psicologia delle masse, Freud etichetta quel capo primordiale con l’espressione nietzscheana.

Il riferimento freudiano a Nietzsche, quindi, seppur breve, è fortemente polemico, sia per il suo carattere antitetico rispetto al testo nietzscheano, sottolineato attraverso il capovolgimento cronologico, sia per la prospettiva assiologicamente opposta tra i due autori. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, si è già visto come in Nietzsche sia presente un piano prescrittivo legato all’avvento dell’oltreuomo, piano evidente nella scelta di utilizzare l’espressione “deve” [soll] per indicare la superiorità del nuovo stadio evolutivo. Ciò che rimane ancora da indagare è se anche in Freud sia presente un piano prescrittivo legato al suo nuovo ricollocamento temporale del superuomo: già l’accostamento al padre dell’orda primordiale dovrebbe essere sufficiente per determinare la portata assiologica del riferimento freudiano, in quanto in Totem e tabù, il padre dell’orda primordiale, non è da considerarsi propriamente neanche un essere umano, ma un grosso mammifero, alla stregua di un gorilla, estremamente pericoloso e incline alla violenza, sprovvisto di qualsiasi elemento di umanità, se non, forse, nella struttura fisiologica. L’antropogenesi, infatti, secondo Freud, avviene solo in seguito al parricidio primordiale ed è strutturalmente legata alla serie di eventi che da quell’atto seguono, ovvero: 1) il senso di colpa; 2) l’instaurazione dei due tabù originari; 3) la comparsa del Super-Io. In altri termini, ciò che rende umano l’uomo è la presenza di questi elementi, ovvero la presenza della sfera morale.

96 Freud (1921a), p. 311 corsivo mio.

Il riferimento freudiano al superuomo di Nietzsche, presente in Psicologia delle

masse, si trova più specificamente nel capitolo decimo, ovvero “La massa e l’orda

primordiale” che, già dal titolo, per l’appunto, tenta di istituire un parallelo tra le moderne masse coi loro capi e l’orda. Istituendo questo parallelo, Freud arriva a sostenere che, da sempre, l’umanità ha conosciuto sostanzialmente due tipi di psicologie, ovvero due modi di vedere il mondo e di viverlo, due Weltanschauungen o due Lebensformen: quella degli individui appartenenti alla massa o all’orda da una parte, e quella del capo o del padre primordiale dall’altra. Ed è in questo contesto che Freud inserisce il riferimento al superuomo nietzscheano:

fin dall’inizio, esistettero due tipi di psicologia, la psicologia degli individui appartenenti alla massa e quella del padre, capo supremo, guida. I singoli componenti della massa erano soggetti a legami, allora come lo sono oggi, ma il padre dell’orda primordiale era libero. Pur essendo egli isolato, i suoi atti intellettuali erano liberi e autonomi, la sua volontà non aveva bisogno di essere rafforzata da quella degli altri. Per conseguenza noi supponiamo che il suo Io fosse scarsamente legato libidicamente, che non amasse alcuno all’infuori di sé medesimo e che amasse gli altri solo se e in quanto servivano ai suoi bisogni. Il suo Io non cedeva agli oggetti nulla che non fosse strettamente necessario.

Agli inizi della storia umana fu lui il superuomo che per Nietzsche possiamo aspettarci solo dal futuro […] può avere la natura del padre ed essere assolutamente narcisistico, eppure sicuro di sé e autosufficiente […] si tratta della rappresentazione di una personalità straordinariamente forte e pericolosa, nei cui confronti ci si poté atteggiare solo in modo passivo-masochistico […] la massa continua a voler essere dominata da una violenza senza confini.97

Questo lungo brano costituisce la cornice entro cui collocare il riferimento freudiano al superuomo, cornice e riferimento solo appartenente di natura esclusivamente descrittiva, ma che, in realtà, nascondono importanti elementi assiologici impliciti che muovo in direzione diametralmente opposta a quella nietzscheana.

Quando si afferma che i componenti della massa sono soggetti a legami libidici si intende, implicitamente, che quegli individui sono capaci di amare e hanno una natura sociale e intersoggettiva. Al contrario, il padre primordiale o superuomo, non avendo legami libidici, era incapace di amare altri se non se stesso, in un delirio narcisistico che, nell’ottica freudiana, significa un delirio psicotico. L’espressione

“essere assolutamente narcisistico” significa proprio essere affetto da una forma di patologia psicotica per l’appunto di natura narcisistica, la quale, tra l’altro, non prevede vie d’uscita: un delirio impenetrabile a qualsiasi intervento terapeutico. Inoltre, tenendo fermo l’accostamento tra il superuomo e il narcisismo assoluto, bisogna anche ricordare che, per Freud, il narcisismo è, ontogeneticamente e filogeneticamente, il primo stadio dell’evoluzione psichica e, una fissazione (nel caso del padre dell’orda primordiale) o una regressione a uno stadio precedente dello sviluppo psichico (nel caso dei moderni superuomini), quindi, in altri termini, una fissazione o una regressione a quello stadio che, per definizione, è il più inferiore, tanto dal punto di vista psichico, sia esso filo- o ontogenetico, quanto da quello assiologico.

Il narcisismo, tipico della primissima infanzia, precede le fasi di amore oggettuale (orale, anale, genitale), le quali, a loro volta, precedono l’Edipo, senza il quale non è possibile la formazione del Super-Io e, quindi, neanche di alcuna forma di moralità, di valore, né, infine, di umanità propriamente detta. Se l’espressione “personalità straordinariamente forte e pericolosa” può essere considerata una espressione puramente descrittiva, ciò che segue immediatamente, ovvero l’espressione “nei cui confronti ci si poté atteggiare solo in modo passivo-masochistico” sembra, invece, nascondere un implicito giudizio di valore: ci si poté atteggiare solo in questo modo perché era la personalità del superuomo che obbligava gli altri a relazionarsi con lui in quel modo e, il modo, era un modo masochistico perché scaturiva dall’atteggiamento sadico del superuomo, sadismo che porta Freud a parlare di una “violenza senza confini”. Sadismo, coercizione, violenza, sono tutti elementi che, seppur esposti limitandosi a un piano esclusivamente descrittivo, comportano anche necessariamente delle implicazioni di carattere assiologico.

Si capisce a questo punto tutta la portata del riferimento freudiano al superuomo: il rovesciamento cronologico contiene una implica condanna e l’auspicio di una evoluzione che miri esattamente verso una direzione opposta a quella nietzscheana. Ammesso il valore polemico del riferimento freudiano, rimangono aperte alcune questioni: 1) se Freud abbia davvero letto e analizzato i testi nietzscheani sul concetto di superuomo; 2) se Freud non sia forse influenzato da un clima culturale caratterizzato da un superomismo pangermanico che si richiama a una certa eredità