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1.3 Thomas Mann

1.3.3 Freud e l’avvenire (1936)

L’ultimo e forse più interessante scritto manniano su Freud è, ancora una volta, uno scritto d’occasione. Si tratta del più famoso discorso manniano su Freud, che raccoglie e riassume le considerazioni dei due lavori precedenti e, allo stesso tempo, celebra l’ottantesimo compleanno di Freud.

Lo scritto, già nel titolo Freud e l’avvenire, riprende i temi del lavoro di sette anni prima su La posizione di Freud, ribadendo il valore rivoluzionario e progressista della psicoanalisi, legando questo valore alla propensione di quest’ultima verso il futuro, ma, aspetto forse più interessante ai fini di una definizione del legame Freud- Nietzsche, viene anche ulteriormente ribadita l’appartenenza freudiana a una determinata tradizione culturale germanica.

Il discorso manniano inizia con una breve esposizione dei suoi legami personali e culturali con la psicoanalisi freudiana, affermando che, questo legame, sebbene caratterizzato da «simpatie profonde»27, da entrambe le parti, dev’essere in qualche modo sempre esistito, almeno inconsciamente. Queste affermazioni sembrano riprendere quel concetto di “derivazione inconscia” di cui Mann aveva parlato sette anni prima in relazione a Freud e Nietzsche, trasposte, ora, in relazione al rapporto Mann-Freud o, più in generale, letteratura-psicoanalisi. Proprio insistendo su questi

legami ideali e teorici fra diverse forme di sapere e diverse tradizioni culturali, esistenti, secondo Mann, anche a prescindere da una effettiva derivazione storica, ma, per l’appunto, concretizzatesi anche attraverso canali di trasmissione culturale inconscia, Mann ripropone le sue considerazioni sulle affinità freudiane, non dovute a una lettura diretta dei testi, con altre correnti culturali, prima fra tutte, la filosofia nietzscheana:

Egli [Freud] non ha conosciuto Nietzsche, in cui si trovano a ogni passo lampi

precorritori delle scoperte freudiane; non Novalis, le cui fantasticherie e ispirazioni

romantico-biologiche si avvicinano spesso in modo soprendente alle idee psicoanalitiche; non Kierkegaard, il cui cristiano coraggio nello spingersi fino agli estremi confini della psicologia avrebbe destato il più fecondo e profondo interesse, e sicuramente nemmeno Schopenhauer, il malinconico orchestratore di una filosofia dell’istinto, che tende al superamento e alla redenzione […] solo, per proprio conto, senza conoscere le intuizioni precorritrici di altri, egli [Freud] doveva conquistarsi metodicamente le verità del suo pensiero […] noi non possiamo raffigurarci nella mente l’immagine severa di lui disgiunta dalla solitudine, da quella solitudine di cui parla Nietzsche.28

Nonostante Freud sia inserito in un contesto sicuramente articolato e complesso, composto da diversi autori, il ruolo ricoperto da Nietzsche è indubbiamente quello preminente. Si potrebbe dimostrare non solo il senso di estraneità che Freud provava nei confronti di questo contesto culturale, ma anche la sua effettiva estraneità anche nei contenuti concettuali in realtà profondamente distanti, a dispetto delle associazioni manniane, ma ci si limiterà qui al solo Nietzsche.

Si è detto che il ruolo di Nietzsche, all’interno dell’interpretazione manniana della psicoanalisi è un ruolo preminente: Mann inizia e finisce la sua analisi con Nietzsche. All’inizio parla di lampi precorritori delle scoperte analitiche, instaurando così un rapporto privilegiato tra Freud e Nietzsche, nonostante il riconoscimento dell’ignoranza del testo nietzscheano da parte di Freud. Alla fine, forse più significativamente, Nietzsche non è evocato quale precorritore, ma quale chiave interpretativa attraverso cui leggere la psicoanalisi. Questi due aspetti, così chiari in Mann, sono forse all’origine del mito storiografico che vorrebbe Freud come un’espressione e una diretta conseguenza della filosofia nietzscheana. È molto

probabile, infatti, che diversi interpreti, formatisi sul testo nietzscheano, lo abbiano utilizzato, forse non del tutto consapevolmente, quale strumento di lettura e interpretazione del mondo, abbiano visto in Freud, proiettandolo, qualche elemento che l’avrebbe collegato a Nietzsche. In altre parole: è facile ritrovare elementi nietzscheani in Freud se a compiere questa operazione è un interprete formatosi sul testo nietzscheano. Del resto, questa confusione è tipica dei lavori che tendono a coniugare due autori e, in particolare, quando l’interprete si è formato sulla produzione di uno solo dei due autori trattati, schiacciando poi l’altro autore sulle posizioni di quello principale. Esempio emblematico di questa dinamica è, probabilmente, lo stesso Thomas Mann: formatosi su Nietzche che iniziò a leggere fin da giovane, una volta venuto a contatto, relativamente tardi, come egli stesso ammette nei suoi lavori, con la produzione freudiana, tende a schiacciare quest’ultima sul testo attraverso il quale interpreta il mondo, forzando il legame tra Freud e Nietzsche anche laddove è consapevole della completa assenza di un legame storico diretto e ricorrendo, necessariamente, a concetti come quelli di derivazione inconscia.

Proseguendo l’analisi del saggio manniano, è interessante notare che, secondo Mann, due sarebbero gli elementi caratterizzanti la psicoanalisi: l’amore per la verità e il senso per la malattia come strumento di conoscenza. Entrambi questi elementi, per Mann, sono riconducibili a Nietzsche:

Quanto all’amore per la verità, l’amore sofferente e moralistico considerato come psicologia, esso deriva dall’alta scuola di Nietzsche, in cui effettivamente la coincidenza fra verità e verità psicologica, tra filosofo e psicologo, è chiara agli occhi di tutti […]. La seconda tendenza, ho detto, è il senso per la malattia o, più precisamente, per la malattia come strumento di conoscenza. Anch’esso potrebbe derivarsi da Nietzsche, il quale sapeva bene quanto dovesse alla sua malattia e ogni pagina sembra insegnarci che nessun profondo sapere è possibile senza quell’esperienza, premessa e condizione di ogni più alta salute.29

In entrambi i casi, il paragone istituito da Mann, benché teoreticamente non del tutto privo di interesse, sembra però un po’ forzato, tanto storicamente, poiché nessuno può derivare qualcosa da qualcuno che non ha letto e conosciuto, quanto concettualmente. È già di per sé rischioso avvicinare due autori che lavorano su

terreni tanto diversi quali quello filosofico e quello analitico, con due registri stilistici altrettanto radicalmente differenti, ma un simile tentativo diviene ancora più complesso su un terreno, come quello puramente teoretico, che è del tutto assente dall’orizzonte freudiano. Parlare di verità, sia essa psicologica o metafisica, è quanto meno forzato nel caso di Freud, poiché è assente tutta la cornice teoretico-metafisica che gira intorno a questo concetto sul terreno filosofico. Ma, ammesso che si voglia proprio istituire il confronto, se è vero che per Nietzsche la verità coincide con la verità psicologica, questa identificazione non è del tutto plausibile in Freud. Freud distingue tra realtà psichica e realtà di fatto, le quali, invece, solo approssimativamente possono essere paragonate ai concetti nietzscheani di verità e verità psicologica, in quanto, per Freud, la verità-realtà è prima di tutto quella oggettiva e di fatto, ovvero extrapsicologica: che la realtà psichica, per il soggetto affetto patologicamente, coincida con la realtà di fatto, non vuol dire che, in assoluto, sia così, poiché al contrario, è proprio la capacità di mantenere la distinzione tra realtà psichica e realtà di fatto che consente il mantenimento della sanità mentale. Proprio il discrimine, mai pienamente delineato e sempre labile e suscettibile di essere perso, tra sanità e malattia, è l’elemento di distinzione anche nel secondo fattore della psicoanalisi che Mann fa derivare da Nietzsche. È vero che la malattia è un eccezionale strumento di conoscenza, sia in Freud sia in Nietzsche (così come in molti altri), ma è anche vero che c’è una profonda differenza nei rispettivi modi di approcciarsi alla malattia: in Freud è sempre presente una tendenza all’ideale di guarigione, magari mai del tutto raggiunta e raggiungibile, ma pur sempre intesa come un dovere etico di impegno profuso nella direzione del suo raggiungimento; in Nietzsche, invece, la sanità coincide con una accettazione della malattia, o almeno, una accettazione tanto degli elementi sani quanto di quelli patologici della vita, entrambi ugualmente necessari allo stesso processo vitale30.

Sembra che più che da una effettiva vicinanza tra Freud e Nietzsche, le parole di Mann siano influenzate dalla sua formazione e, in effetti, è lo stesso Mann che nel saggio ne dà conferma:

30

Cfr. anche il desiderio nietzscheano per la malattia, totalmente inverso rispetto all’impegno terapeutico della psicoanalisi: «datemi dunque la follia, voi celesti! […] Datemi deliri e spasimi, luci e tenebre improvvise, terrorizzatemi con gelo e arsura, quali nessun mortale ha ancora mai provato, con frastuoni e girovaganti fantasmi, lasciatemi urlare e guaire e strisciare come una bestia […]. Dimostratemi che sono vostro; la follia soltanto me lo dimostra» [Nietzsche (1881), M

Ma la descrizione freudiana dell’Es e dell’Io non è in tutto identica a quella che Schopenhauer dà della «volontà» e dell’«intellletto»? Non è forse la sua metafisica tradotta in linguaggio psicologico? E come non avrebbe sentito di trovarsi in un mondo noto e familiare colui che, inziato da Schopenhauer alla metafisica, dopo aver gustato gli amari incanti della psicologia nietzscheana, incoraggiato da esperta guida si fosse per la prima volta indirizzato al regno della psicoanalisi?31

Colui che è stato iniziato da Schopenhauer e ha gustato la psicologia nietzscheana è, chiaramente, lo stesso Mann, ma, per utilizzare una distinzione di quest’ultimo, la verità psicologica di un legame Schopenhauer-Nietzsche-Freud32 non coincide con la verità di fatto dell’assenza di questo stesso legame.

31 Mann (1936), pp. 1387-1388. 32

Cfr. anche Mann (1938), p. 1289 «Come psicologo della volontà Schopenhauer è il padre della moderna psicologia. Da lui, passando per il radicalismo psicologico di Nietzsche, muove una linea che arriva fino a Freud».