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Censura implicita o forclusione

La posizione “testuale” e formalistica di Derrida percepisce la fragilità della censura “esplicita”, facile da riconoscere perché frequentemente indotta dal suo stesso linguaggio nella trappola della contraddizione performativa, ossia lo scarto tra ciò che afferma di non poter dire e l'impossibilità di non dirlo nel suo stesso regolamento.

E tuttavia, prosegue Butler, una posizione semplicemente anti-censura non basta a cogliere per intero le difficoltà poste dal tema della legge. Scrive infatti la filosofa che «il fatto di non censurare un testo è qualcosa di necessariamente incompleto»294 perché «le condizioni di

intelligibilità sono esse stesse formulate nel e dal potere, e questo esercizio normativo del potere è raramente riconosciuto come un vero e proprio operare del potere»295. Non è

292 S. FREUD, Totem e tabù, cit., p. 41.

293 J. BUTLER, Parole che provocano, cit., p. 167.

294 Ivi, p. 185. 295 Ivi, p. 193.

riconosciuto perché, dando origine alle griglie che regolano l'intelligibilità del discorso, non vi è preso. Questa invisibilità alla lettura è ciò che conferisce al potere un certo grado di invulnerabilità.

«Questa particolare forma [implicita] di censura va oltre i limiti della definizione giuridica anche se mette in campo il diritto come uno dei suoi strumenti»296 e si riferisce a «operazioni

implicite di potere che escludono in modo non detto ciò che rimarrà indicibile»297. Chiarire le

modalità di queste operazioni implicite di esclusione è dirimente per capire quale siano le reali condizioni dell'assoggettamento sociale e linguistico, cosa significhi per un soggetto comprendere e seguire una norma sociale e in che senso questa norma sia incarnata nel corpo del soggetto.

La funzione tutelare, morale e civile nei confronti dei cittadini da parte dello Stato è parte di un più ampio operare del potere, diretto a «far sì che certi tipi di cittadini siano possibili e altri impossibili»298. Questa regolamentazione della soggettivazione passa attraverso il linguaggio

non soltanto come attraverso un medio, ma, secondo Butler, come l'elemento più proprio dell'espressione sociale. Più specificamente, la soggettivazione non è attuata solo mediante sanzioni giuridiche applicate alle parole pronunciate da un soggetto, o mediante la strategica trasformazione delle parole in “condotta”,

ma anche attraverso la regolamentazione dell'ambito sociale delle parole che sono dicibili. La domanda non è “che cosa sarò in grado di dire”, ma “che cosa costituirà l'ambito del dicibile all'interno del quale io comincio a parlare”. Diventare un soggetto significa essere soggetti a una serie di norme implicite ed esplicite che governano il tipo di linguaggio che sarà leggibile come linguaggio di un soggetto299.

Il punto qui, per Butler, riguarda non più quali tipi di parole siano da censurare, ma quali tipi di soggetto siano da costituirsi; come si diano le condizioni di possibilità della soggettività a partire da un meccanismo di censura che delimita il campo della dicibilità, oltre i limiti del quale non si è più protetti nel proprio status di soggetti.

La norma istituisce il soggetto parlante, quel soggetto che può dire e può dirsi, facendolo emergere da uno sfondo di indicibilità; tale collocamento è imposto da una normatività che non solo precede l'origine del soggetto storico, ma precede anche l'origine del soggetto logico del discorso, nella misura un cui stabilisce l'insieme dei predicati che a quel soggetto può e

296 Ivi, p. 184. 297 Ivi, p. 187. 298 Ivi, p. 190. 299 Ivi, pp. 191-192.

deve essere attribuito. La predicazione possibile è il dominio su cui si esercita la normatività sociale che, permettendo al soggetto di parlare e di sopravvivere nella vita politica, gli garantisce un'esistenza sicura finché non si arrischia a varcare la soglia dell'indicibile. «Le “parole impossibili” sarebbero precisamente l'errare dell'asociale e lo strepitare dello “psicotico” prodotti dalle regole che governano l'ambito della dicibilità e da cui le regole stesse sono continuamente tormentate»300.

Si tratta, secondo Butler, di una forma di forclusione che separa la vita linguistica dall'indicibile; il corpo che parla subisce una privazione violenta di alcune possibilità di parola. Il corpo parla ma solo perché è “detto”: la sua capacità di azione linguistica è vincolata alla parola che ha ricevuto da altri, da altrove, senza sapere da dove. Strettamente parlando, la forclusione è un'azione senza autore; inoltre «non è un'azione singolare, ma l'effetto reiterato di una struttura. Qualcosa viene barrato ma nessun soggetto lo barra; il soggetto emerge come risultato della barra stessa […] prodotto performativamente come risultato di questo tagliare fuori primario. Il resto, o ciò che è tagliato fuori, costituisce ciò che non può essere messo in atto in ogni messa in atto»301.

La forclusione sociale isola il soggetto, producendolo nello stesso momento in cui produce ciò che lo minaccia; essa lo espone e, allo stesso tempo, lo difende dalla dissoluzione. Lo definisce e lo immobilizza, lo priva di alcune possibilità nel momento in cui gliene fornisce altre. Facendo ancora riferimento alla lezione psicoanalitica, si potrebbe descrivere questa scena di iniziazione alla socialità come un evento collocabile nell'infanzia; tuttavia la vita politica “adulta” riattiva di continuo questa struttura originaria, peraltro sempre incompleta; essa pone il soggetto nella stessa condizione formativa-traumatica degli inizi quando gli impone di maneggiare un linguaggio, di dimostrare di possedere un savoir faire linguistico, pena il divieto di poter parlare. La vita sociale impedisce di parlare in quelle circostanze in cui parlare significherebbe parlare in modo incomprensibile, con il risultato di essere messi in discussione nella propria “vitalità” di soggetto, fino al limite estremo di incorrere nell'interdizione legale. Talvolta il percorso per l'emancipazione, per il riconoscimento dei propri diritti, per denunciare una molestia subita, deve passare attraverso il fornire una rappresentazione di sé che mentre ci qualifica ci nega, o ci qualifica come negazione di se stessi: tale è la forza del «legame tra sopravvivenza e dicibilità»302 che, come una tardiva

ripetizione della forclusione, obbliga all'assoggettamento in cambio del riconoscimento. Una delle tentazioni da cui si può esser presi, di fronte a una politica che costringe

300 Ivi, p. 192. 301 Ivi, p. 199. 302 Ivi, p. 196.

compulsivamente al discorso, è quella di concludere che il silenzio sia l'unica valida forma di resistenza; una tentazione analoga, ma speculare, può esser quella di pensare che, poiché ogni espressione è già da sempre in parte censurata, non è possibile opporsi validamente a essa e al potere in generale, poiché non è possibile opporsi alle condizioni di intelligibilità nei termini che fondano questa stessa opposizione.

Simili considerazioni tendono a non tradursi in azione politica e a evitare il problema stesso come un problema insolvibile. Una risposta provvisoria per tentare di uscire dall'impasse può consistere in una dislocazione della domanda stessa: è possibile chiedersi, infatti, non tanto quale sia l'azione politica più opportuna in un contesto dominato da certe condizioni di intelligibilità, ma come si determinino politicamente quelle condizioni di possibilità e quale rilevanza tattica possa avere la ricostruzione di questo processo.

L'analisi butleriana del meccanismo politico di forclusione costituisce già di per sé un esempio di strategia di resistenza che può essere applicata contro la forclusione stessa. Parlare di “forclusione politica”, infatti, corrisponde a compiere un atto di dislocazione di un termine al di fuori del contesto di appartenenza originale per farne un uso improprio e critico. Trasporre una nozione psicoanalitica in un contesto sociale significa investire quella nozione del «compito di ripensare il modo in cui la censura “agisce” come forma “produttiva” di potere»303: con questa operazione Butler intende richiamarsi al fatto che la forclusione politica

si fonda su una reinvocazione continua della scena primaria che ha legato per sempre il soggetto all'ambito del dicibile.

I regimi di potere contemporanei possono continuare a esercitare il loro dominio se l'esistenza della censura resta sullo sfondo, non detta, “censurata” appunto. In questo modo anche le origini del soggetto rimangono non chiarite, essendo queste origini da rintracciarsi in un rapporto di dipendenza dalla censura stessa, rapporto che non può che alimentarsi in quanto unica possibilità, per il soggetto, di parlare e di agire efficacemente.

Affermare, quindi, che la capacità di agire del soggetto post-sovrano è effetto della forclusione, significa rigettare ogni interpretazione strumentale della stessa: il soggetto post- sovrano non dispone della propria capacità di agire al modo in cui si dispone di una proprietà, o di uno strumento, e nemmeno al modo in cui si pensa di poter orientare la propria volontà, secondo una libera scelta. Essa è delimitata dalla forclusione politica fin dall'inizio e poi sempre di nuovo, attraverso il parlare del soggetto stesso, che può avvenire solo nel riappellarsi alla forclusione che lo ha fondato. Questo riappellarsi non è volontario e non è frutto di una deliberazione cosciente, in analogia con il principio che ci consente di parlare

una lingua senza riflettere sulle regole grammaticali da applicare.

In un certo senso, coloro che denunciano l'impossibilità di una critica costruttiva diversa dal mero restare in silenzio colgono un punto estremamente importante. Non è possibile parlare contro la legge perché potersi esprimere con le parole non può più essere considerato ingenuamente come la garanzia dell'esercizio della libertà politica. La legge non è esterna alle parole, anzi è ciò che ne costituisce le condizioni di possibilità. Quindi volersi opporre a quelle condizioni dall'interno di un discorso che le rispetta è una pretesa fallimentare in partenza.

Tuttavia, nemmeno il soggetto è, in ultima analisi, determinato in maniera meccanica. Essendo la forclusione un dispositivo che si rafforza mediante un parlare che rispetti sempre di nuovo la separazione fissata del dicibile e dell'indicibile, la forclusione stessa, per sopravvivere, deve necessariamente “affidarsi” alla vita dei soggetti che parlano. Nel momento in cui il parlante prende coscienza di questa suddivisione, l'efficacia della forclusione inizia a essere compromessa. Il ridisegnamento delle linee tracciate dalla forclusione è, secondo Butler, una possibilità concreta già contenuta nella sua dinamica anche se non prevedibile in anticipo.

C

APITOLO

4

D

ESIDERIO DI RISIGNIFICAZIONE