• Non ci sono risultati.

Narcisismo: amore di sé e amore per la legge

Ne La vita psichica del potere, Judith Butler sottolinea a più riprese quello che le appare il problema più importante della posizione foucaultiana: il filosofo francese avrebbe avanzato critiche importanti a quella che egli considererebbe una concezione meramente repressiva del potere contrapponendola a una concezione produttiva del suo operare, senza tuttavia pervenire a una spiegazione convincente di come il potere eserciti “concretamente” il suo dominio sui singoli individui. A suo avviso, infatti – almeno stando alla lettura che Butler ci restituisce del suo lavoro334 – il desiderio e il corpo non possono essere descritti come delle

realtà esistenti indipendentemente dal discorso che le nomina e che, nominandole, esercita su di loro la sua azione normalizzatrice. Il corpo hegeliano e l'istanza libidica freudiana – secondo la prospettiva assunta da La volontà di sapere – si porrebbero come una dimensione semplicemente occultata dalla legge, che, pur riemergendo continuamente attraverso le fratture e i cedimenti di quella legge, riconfermerebbe ogni volta l'ineluttabilità della legge stessa. La cecità delle teorizzazioni di Hegel e Freud, secondo Foucault, risiederebbe nel non rendersi conto di come, lungi dall'essere i meri oggetti della sua applicazione, il desiderio e il corpo non siano altro che i “prodotti” di quell'ipotesi repressiva che si propone di spiegarne il funzionamento. Foucault – sostiene quindi Butler – nella sua storia della sessualità afferma che l'epistemologia freudiana costituisce la “matrice”, e non l'analisi, del corpo che pretende di descrivere; egli ritiene inoltre che la polemica freudo-marxista di Marcuse contro la

repressione morale dei desideri corporei335 resti vittima di un grave fraintendimento politico e

che la sua stessa denuncia contribuisca a confermare un'interpretazione del corpo come oggetto di costrizione e frustrazione.

Il corpo foucaultiano, contrapposto in questo modo alla visione freudiana, sorge direttamente come l'ambito della regolamentazione; esso non esiste “prima” di questa regolamentazione, prima della disciplina che lo “normalizza”. Scrive Butler: «secondo Foucault, la repressione non interviene su una dimensione prestabilita di piacere e desiderio, ma struttura quella dimensione come qualcosa da regolare necessariamente, che si trova sempre potenzialmente o realmente nell'ambito della regolamentazione»336. Il corpo esiste quindi solo nella forma di ciò

che necessita di disciplina, di un sapere e di una cura specifici.

Di più: il corpo esiste solo nella dimensione che questo sapere e questa disciplina gli “impongono”. Per Foucault, infatti, la “superficie” corporea è addirittura accresciuta, rinnovata e moltiplicata ad opera di questa proliferazione discorsiva e normativa che si industria intorno al corpo e ai suoi segreti. Il motivo per cui ciò accade rientra nell'economia del potere stesso: il potere è qualcosa di relazionale, esiste solo nelle lotte e negli scontri per

il potere e l'unica ratio alla quale obbedisce è quella che lo guida verso il proprio

accrescimento.

«Il regime repressivo», scrive ancora Butler interpretando Foucault, «mira dunque alla sua stessa espansione e proliferazione. In quanto tale, esso esige anche l'espansione e la proliferazione della dimensione dell'impulso corporeo quale dominio moralizzato, così da avere nuovo materiale con cui strutturare il suo stesso potere. Al fine di rendere più semplice e razionale la sua stessa proliferazione, la repressione genera, dunque, una dimensione di fenomeni corporei infinitamente moralizzabili»337. Più le percezioni, i desideri, la conoscenza

del corpo di se stesso si moltiplicano, acquisendo nuove, specifiche definizioni, più il potere arricchisce la propria struttura.

Una teoria del genere, rigidamente costruzionista ed estranea a qualsiasi dialettica che possa prevedere un'alterità rispetto alle pratiche discorsive e alle condotte epistemologiche del potere, appare a Butler priva di quel riferimento alla dimensione psichica necessario a collegare la repressione con la costituzione del soggetto. D'accordo con Foucault sul modo di concepire il potere, ma insoddisfatta delle conclusioni da lui tratte, Butler sostiene che, in questo caso, è proprio il filosofo francese a non aver compreso appieno le affermazioni della

335 H. MARCUSE, Eros and Civilisation. A Philosophical Inquiry into Freud, Beacon, 1955-1966; trad. it. di L.

Bassi, Eros e civiltà, Einaudi, Torino 2001. 336 J. BUTLER, La vita psichica del potere, cit., p. 88.

teoria psicoanalitica e la loro profondità euristica338.

È infatti opinione esplicita della psicoanalisi che il rapporto che unisce il singolo individuo alla legge repressiva non sia un legame estrinseco, accidentale, e pertanto facilmente rimovibile; al contrario la psicoanalisi ritiene che le istanze “repressive” che regolano la normatività generale siano esse stesse oggetto di erotizzazione. Ritiene, più esplicitamente, che le resistenze psichiche siano delle formazioni investite di libido, e che l'auto-repressione sia un evento profondamente desiderato. In questo senso, Foucault non comprende la “produttività” della legge repressiva – né la forza del suo potere – perché non riesce ad applicare il concetto di “produttività” a qualcosa che, appunto, mantenga il nome di “legge”. In compenso, alla base dell'adattamento sociale del soggetto, la psicoanalisi non postula soltanto un movimento negativo contrapposto alla positività della spinta desiderativa, bensì riconosce a questa negazione la positività della creazione culturale: gli oggetti d'investimento primari, entro un contesto di civilizzazione, vengono sì sostituiti da nuove mete maggiormente compatibili con le richieste della socializzazione, ma una sostituzione – come insegna il concetto hegeliano di Aufhebung339 – non equivale comunque a una perdita. Per

quella che è la dinamica del potere, proprio il desiderio – conservatore – di ciascuno di preservare la propria esistenza sociale ha un ruolo fondamentale.

Il potere, sfruttando questo desiderio di soggettivarsi, incoraggia il rafforzarsi, in ciascun soggetto, di un attaccamento appassionato alla norma. In questo modo – sostiene Butler – scopo del cosiddetto “potere repressivo” non è soltanto quello di controllare il desiderio e determinarne le mete ammissibili, e non è neppure quello di alimentare quel tipo di desiderio che può essere opportunamente represso dalla norma. Ciò che infatti il potere repressivo soprattutto ottiene è di essere desiderato in quanto potere. Ottiene cioè la dislocazione del desiderio, il suo ridirezionamento nei confronti della norma, l'attaccamento appassionato alla

norma e la dipendenza emotiva del soggetto da essa. Diventando la norma un'immagine

fantasmatica di sicurezza, il potere riesce a istituire una vantaggiosa coincidenza tra libertà e auto-asservimento, ottenendo la collaborazione dei soggetti nel processo della propria espansione e del proprio rafforzamento.

Il testo hegeliano, in questo senso, è illuminante; l'Autocoscienza di Hegel non si limita a denunciare l'ipocrisia della morale repressiva, ma illustra, come abbiamo visto, le ragioni per cui l'assoggettamento agli imperativi etici è soprattutto un auto-assoggettamento sorretto dal

338 Cfr. J. BUTLER, La vita psichica del potere, cit., p. 85, nota.

339 «La negazione – come relazione che differenzia e, al contempo, media i termini che inizialmente si

contrapponevano l'un l'altro, ossia intesa nel caso dell'Aufhebung – supera, conserva e trascende le differenze apparenti che le sono interrelate»: J. BUTLER, Soggetti di desiderio, cit. p. 47.

desiderio di vedersi riconosciuto un proprio posto nel mondo. La Fenomenologia dello

Spirito, secondo Butler, chiarisce come il desiderio si auto-ostacoli, a metà strada fra la

consapevolezza e l'incoscienza, al fine di acquisire quei requisiti che garantiscono a un individuo il riconoscimento sociale. Lo sviluppo di resistenze descritto da Hegel è da considerarsi, nel complesso, come un'operazione produttiva di nuovo potere, e non un circuito chiuso finalizzato a una mera mera sottrazione di potenza, o all'indebolimento delle potenzialità della soggettivazione.

Se il progetto hegeliano si concentra in primo luogo sul desiderio per mostrare quanto la sua dinamica sia accidentata, l'istanza che Nietzsche, a sua volta, pone al centro della propria

Genealogia – l'istanza della volontà – descrive un movimento analogo e produce esiti affini.

Entrambi i filosofi interpretano la “coscienza” come un'istanza identificante e uno strumento di normalizzazione e, pertanto, la descrivono come un'attività psichica derivata, la cui costituzione ha luogo nel tempo, a partire da una torsione340 su se stesso di quel conatus vitale

che per primo caratterizza l'esistenza. Sia che lo si voglia definire come “desiderio”, sia che lo si chiami “aggressività”, “pulsione”, “istinto”, “volontà”, ciò di cui si parla è sempre un principio dinamico di relazionalità che, grazie alla capacità di fissarsi su, e spostarsi tra, oggetti diversi, è in grado di strutturare lo spazio di un io che abbia cognizione di sé.

Ciò non significa, tuttavia, che per Butler il desiderio possa rappresentare qualcosa di autarchico, il cui senso si situa interamente in una dimensione pre-sociale, eventualmente capace di esprimere da solo un'alternativa efficace al potere “simbolico”. L'analisi della coscienza condotta ne La vita psichica del potere mostra che la dimensione sociale non può fare a meno della dimensione psichica come “luogo” essenziale della sua stessa formazione, ma, allo stesso tempo, che la coscienza e il desiderio stesso non hanno senso se non interpretati alla luce di un ambiente sociale costituente.

In generale, i modelli teorici descrittivi del desiderio e della volontà finiscono tutti per polarizzarsi, schematicamente, intorno a una delle seguenti alternative: una prospettiva che potremmo definire “esistenzialista”, che considera il desiderio e la “creatività” manifestazioni della libertà del soggetto, del suo destino di ente progettuale, sempre di là da venire; e un'interpretazione “strutturalista” che insiste nel fare dell'uomo e dei suoi bisogni soltanto un riflesso di norme sociali, di influenze culturali e di sollecitazioni linguistiche. Butler respinge questo secco dualismo, rifiutando l'idea che la volontà segua un movimento unidirezionale e lineare. Le sue riflessioni sullo statuto della vita psichica possono più correttamente mostrare come la “coscienza” non si riduca, per la filosofa, alla diretta espressione di una struttura

coercitiva esterna, ma sia, al contrario, un procedere tortuoso, che conosce ripiegamenti e sostituzioni, non privo di violenza.

Da una parte, Nietzsche insegna a Butler che la sanzione sociale si esprime sempre sulla base di ideali normativi che altro non sono che prodotti della cattiva coscienza: formazioni fittizie, metaforicamente costituitesi, al pari del linguaggio e delle categorie concettuali, filosofiche e scientifiche in vigore. Dall'altra parte, l'auto-assoggettamento si dispiega sulla base di un desiderio di approvazione e riconoscimento sociale che chiede di non rimanere inevaso. Ecco allora che, anche in una prospettiva “finzionale”, la regolamentazione normativa ci restituisce l'importanza dell'interazione della psiche individuale con lo sfondo sociale.

L'analisi condotta ci porta a rinvenire il baricentro di una possibile interazione tra “esterno” e “interno” nel narcisismo, cioè nello sfruttamento, da parte della normatività sociale, dell'attaccamento della volontà a se stessa, attraverso il dispositivo della punizione. La regolamentazione sfrutta a proprio vantaggio l'esigenza narcisistica di auto-riflessione e la trasforma in un attaccamento alla punizione. Il riferimento al narcisismo è particolarmente chiaro sia nella caratterizzazione nietzscheana dell'ideale ascetico, sia nella concezione psicoanalitica del meccanismo della repressione. La “volontà del nulla”, che segue al senso di colpa per aver desiderato qualcosa di interdetto, è pur sempre qualcosa di diverso dall'assenza totale di qualsiasi volere. La volontà del nulla offre un'alternativa alla cessazione del desiderio: è l'estrema possibilità di desiderare qualcosa, sia pure la repressione dei propri istinti, l'adesione a un modello di condotta che assicuri all'asceta la stima di se stesso. La repressione è sostenuta dalla forza della libido cui apparentemente si oppone, perché le resistenze inconsce si alimentano del desiderio che tentano di non far emergere al livello della coscienza. Quindi, il perseguimento degli imperativi morali, invece di rappresentare l'ostacolo all'espressione dell'istinto, rappresenta l'occasione della sua espressione: inibito dalla legge accusatoria, l'istinto è comunque rivissuto e riaffermato nell'auto-rimprovero intriso di narcisismo.

Ciò che accomuna le riflessioni di Hegel, Nietzsche e Freud è, secondo Butler, la loro dinamica di rovesciamenti dialettici: l'oggetto su cui la repressione è applicata finisce per “eccedere” la cornice repressiva che lo vuole contenere, inserendo il proprio desiderio nella struttura della repressione. È in questo senso che, secondo Butler, esiste un punto di incontro tra la visione foucaultiana e la dialettica hegelo-freudiana, al di là delle innegabili differenze: sebbene la repressione si limiti a conservare l'oggetto che intende regolamentare, mentre invece il potere foucaultiano si fondi sulla proliferazione del proprio oggetto341, entrambe le

prospettive sono “produttive”. Sanzione repressiva e produzione di corpi, desideri e piaceri costituiscono anche per Hegel e Freud un'unica e medesima attività.

A dispetto di questa differenza, quindi, Butler può affermare che l'analisi foucaultiana della soggettivazione è debitrice di quella hegeliana: l'obiettivo di entrambe, infatti, pare essere quello di «indagare sui meccanismi regolatori per mezzo dei quali i soggetti stessi sono istituiti e mantenuti in vita», e «benché i lessici di Foucault e di Hegel debbano essere mantenuti adeguatamente distinti, l'analisi di Foucault delle implicazioni ambigue dell'assoggettamento (assujettissement: il simultaneo processo di costituzione e regolamentazione del soggetto) appare in qualche misura anticipata dalla liberazione hegeliana del servo, che si declina in varie forme di auto-rimprovero etico»342.

In base a quanto abbiamo visto, tuttavia, possiamo dire che oltre a esserne anticipata, l'analisi foucaultiana è, per certi aspetti, addirittura superata da quella hegeliana e psicoanalitica. Quest'ultima, infatti, non si è lasciata sfuggire il fatto che, al fine di reprimere e regolamentare, il regime normativo ha bisogno che alcuni attaccamenti appassionati abbiano luogo. Il desiderio del soggetto, dal canto suo, ha bisogno di un sito o un oggetto al quale attaccarsi; di conseguenza il potere e il soggetto hanno un estremo bisogno – o desiderio – l'uno dell'altro e questo determina le difficoltà che si incontrano nel tentare di sovvertire quest'ordine.

«È lecito», conclude Butler, «comprendere l'attaccamento all'assoggettamento come costitutivo della struttura riflessiva dell'assoggettamento. L'impulso teoricamente negato viene accidentalmente preservato proprio da quell'attività negante. […] Tale “desiderio del desiderio” ha dunque un ruolo cruciale nel processo della regolamentazione sociale, poiché se i termini in base ai quali acquisiamo “riconoscimento” sociale rappresentano per noi stessi quelli tramite i quali siamo regolamentati per acquisire “esistenza” sociale, allora dichiarare l'esistenza di qualcun altro determina la resa di fronte alla nostra subordinazione – un legame doloroso»343. Il “desiderio del nulla” nietzscheano, così come il “desiderio del desiderio”

nevrotico, evidenziano infatti fino a che punto il bisogno dell'alterità sia vitale e ineludibile;

tipologia di capovolgimento dialettico già vista in Hegel. In Foucault l'eliminazione del corpo non solo necessita del corpo e produce proprio il corpo che tenta di eliminare, ma va oltre, ampliando l'ambito corporeo da regolamentare, aumentando i luoghi di controllo, di disciplina e di soppressione. Detto altrimenti, il corpo che la soppressione hegeliana presuppone è costantemente creato e proliferato al fine di ampliare il dominio del potere giuridico». Se, in questo caso, l'analisi di Foucault può essere considerata più penetrante, tuttavia, rispetto a Hegel e Freud, essa non riesce a spiegare in maniera completa in che modo il potere garantisca questa proliferazione. «Se un regime regolatore necessita della produzione di nuovi luoghi di regolamentazione, e dunque di una più completa moralizzazione del corpo, quale ruolo giocano l'impulso corporeo, il desiderio e l'attaccamento? Il regime regolatore produce solo desideri o magari è anche prodotto dall'alimentare un certo attaccamento alla norma della soggettivazione?»: ivi, pp. 88-89.

342 Ivi, p. 67. 343 Ivi, pp. 105-106.

se desiderare ciò che esclude la desiderabilità è da considerarsi preferibile a smettere di desiderare, ciò significa che il nostro attaccamento all'alterità equivale in realtà a una condizione di dipendenza radicale. Soprattutto, significa che questa nostra ricerca di un'opportunità per continuare a desiderare ci espone costantemente al rischio di incorrere nello sfruttamento e nella subordinazione involontaria344.