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Menzogne necessarie contro la paura

La critica espressa da Nietzsche ha come bersaglio l'incapacità del senso comune di riconoscere questo processo di auto-figurazione come tale e di scorgere la sua genesi nell'antico sentimento della paura. L'indizio, peraltro esplicito, che porta in questa direzione è racchiuso nell'immagine del fulmine che, apparentemente slegata dal discorso sulla morale, ne fornisce invece una potente sintesi simbolica.

Lo sdoppiamento metalettico dell'evento “fulmine” in una causa efficiente e in un effetto luminoso riecheggia, ad esempio, le ricostruzioni di Giambattista Vico sull'origine della religione presso i popoli antichi, i quali interpretarono il fulmine come l'ingiunzione di Giove alla sottomissione. Secondo la Scienza nuova (1744), la credenza nella finzione di Giove fa tutt'uno con l'interpretazione della potenza del fulmine come un segno dotato di valore performativo86. In questa visione, di tradizione ciceroniana e agostiniana, la morale scaturisce

da ciò che Nietzsche definirebbe un “affetto”, cioè dallo “spavento” provocato nei primi uomini dall'evento ignoto. Un tale spavento “atterra i giganti”87 e li costringe all'osservanza di

una legge, immaginando che tale legge provenga da un volere divino in grado di infliggere punizioni ai non osservanti. Il fulmine “produce” retrospettivamente Giove e il senso comune non può più prescindere dalla fede nell'ordinamento divino del mondo.

Nella Genealogia della morale, Nietzsche aggiorna questa tesi mostrando come, nell'esistenza degli uomini moderni, la morale sia ancora un effetto della medesima esigenza di rassicurazione e protezione dalla violenza, la quale può sopraggiungere in ogni momento e contesto, improvvisa e traumatica. Si crede nella moralità dell'altro essere umano proprio nella speranza che egli scelga di non muovere guerra contro di noi; nella speranza che egli si

86 «Il cielo finalmente folgorò, tuonò con folgori e tuoni spaventosissimi, come dovett’avvenire per introdursi nell’aria la prima volta un’impressione sì violenta. Quivi pochi giganti […] spaventati ed attoniti dal grand’effetto di che non sapevano la cagione, alzarono gli occhi ed avvertirono il cielo. E perché in tal caso la natura della mente umana porta ch’ella attribuisca all’effetto la sua natura, come si è detto nelle Degnità, e la natura loro era, in tale stato, d’uomini tutti robuste forze di corpo, che, urlando, brontolando, spiegavano le lor violentissime passioni; si finsero il cielo esser un gran corpo animato, che per tal aspetto chiamarono Giove, il primo dio delle genti dette «maggiori», che col fischio de’ fulmini e col fragore de’ tuoni volesse dir loro qualche cosa […]. In tal guisa i primi poeti teologi si finsero la prima favola divina, la più grande di quante mai se ne fossero appresso, cioè Giove, re e padre degli uomini e degli dèi, e in atto fulminante; sì popolare, perturbante ed insegnativa, ch’essi stessi, che sel finsero, sel credettero e con ispaventose religioni, le quali appresso si mostreranno, il temettero, il riverirono e l’osservarono»: G.B. VICO, Principi di una

scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni, in questa terza impressione dal medesimo autore in un gran numero di luoghi corretta, schiarita, e notabilmente accresciuta [1744], a cura di A. Battistini, Opere, Mondadori, Milano 1990, pp. 571-574.

87 «Non meno che i corpi», il terrore provocato dal tuono nei primi uomini «atterrò le loro menti» e suscitò quel «conato» di virtù morale e quel pudore che posero freno al «vezzo bestiale d'andar errando da fiere per la gran selva della terra»; da esso nacque l'autorità «primieramente divina, con la quale la divinità appropriò a sé i pochi giganti ch' abbiamo detti, con propiamente atterrargli nel fondo e ne' nascondigli delle grotte per sotto i monti»: ivi, pp. 643-577.

conduca moralmente nei nostri confronti, trattandoci come fini piuttosto che come mezzi. Il «bisogno della credenza nell'indifferente libertà di scelta del “soggetto”» che ha reso quest'ultimo «fino a ora sulla terra il migliore articolo di fede»88, è presentato da Nietzsche

come un bisogno primario dell'essere umano: il bisogno di illudere se stessi attraverso una menzogna rassicurante, prodotta in ultima analisi dalla paura della violenza altrui. Questa menzogna, secondo Nietzsche, è per molti aspetti una reazione difensiva necessaria: ispirata da un profondo moto di terrore verso tutto ciò che minaccia l'autoconservazione, produce un vero e proprio rovesciamento dell'esame di realtà che riguarda l'altro ma, in primo luogo, noi stessi. Non diversamente dagli antichi uomini che, ignorando la natura del fulmine, la interpretavano come una manifestazione di potenza sovrumana e vi si assoggettavano con scrupolo religioso, il soggetto contemporaneo sarebbe artefice – o “artista”, secondo Nietzsche – della propria sottomissione a un'auto-regolamentazione approvata dal contesto sociale.

Nella sezione di Genealogia della morale dal titolo Colpa, cattiva coscienza e simili89,

Nietzsche avvia un'indagine volta a ricostruire l'origine della coscienza nell'uomo, o, per meglio dire, la genealogia dell'uomo di coscienza. Egli impugna l'argomento da lontano, a partire, cioè, dall'“antichissimo problema” del processo di formazione della memoria nell'animale-uomo: «in questo intelletto dell'attimo, in parte ottuso, in parte sventato, in questo vivente oblio»90, si forma, a un certo punto della sua storia, una consapevolezza della

propria identità, la percezione della continuità del proprio volere e del proprio agire. La tesi sostenuta da Nietzsche è che questo sentore di continuità sia presente nell'uomo solo in quanto struttura derivata: questo tipo di esperienza di sé sarebbe infatti il corollario di una sviluppata capacità di fare promesse. La promessa, il patto vincolante con cui ci si impegna a onorare un debito nel tempo, recherebbe a sua volta su di sé un sigillo di dolore. Una traccia dolorosa, lasciata da un'impressione più antica, sarebbe costantemente rianimata e rivissuta, riattivando nel corso del tempo il ricordo del dolore che l'ha impressa. Questa “impressione”, che appare all'uomo come primaria e originante, ha infatti il carattere dell'orrore.

«Si incide a fuoco qualcosa affinché resti nella memoria: soltanto quel che non cessa di dolorare resta nella memoria» – è questo un assioma della più antica (purtroppo anche più longeva) psicologia della terra. Si potrebbe anche dire che ovunque ancor oggi sulla terra esistano nella vita di un uomo e di un popolo solennità, gravità, mistero, tinte fosche, fa sentire il suo postumo

88 F. NIETZSCHE, Genealogia della morale, cit., p. 245.

89 Ivi, pp. 255-297. 90 Ivi, p. 258.

effetto qualcosa della terribilità [Schrecklichkeit] con cui una volta ovunque sulla terra si facevano promesse, si davano pegni, si tributavano lodi […] – tutto ciò ha la sua origine in quell'istinto che colse nel dolore il coadiuvante più potente della mnemotecnica. […] Quanto peggio stava l'umanità “riguardo alla memoria”, tanto più terrifico [furchtbarer] era l'aspetto dei suoi usi91.

Il brano che introduce il tema dell'impressione non specifica fin da subito da dove essa provenga, chi la provochi, quale soggetto la imponga. Butler si occupa in modo particolare di questa questione in uno dei capitoli de La vita psichica del potere92. La parola Schrecklichkeit,

che nella versione italiana di Masini viene resa con “terribilità”, è tradotta nell'inglese di Butler con “terrore” [terror]93 ed è associata direttamente all'effetto psichico – descritto

qualche paragrafo dopo – provocato nel debitore dalla minaccia di punizione che gli giunge dal creditore, in conseguenza del mancato pagamento.

La situazione si inscrive nel contesto del diritto commerciale, le cui regole governano – secondo Nietzsche, universalmente94 – lo scambio dei beni e dei corpi, dei prestiti e dei debiti,

delle azioni e delle posizioni sociali. «La non restituzione di un prestito», commenta Butler, «riaccende nel creditore il desiderio di riparazione, il quale infligge un'offesa al debitore: l'attribuzione di una responsabilità morale al debitore sembra così “razionalizzare” il desiderio di rivalsa del creditore»95. L'offesa inflitta al debitore, la punizione corporale,

detentiva o morale che gli viene riservata e che gli provocherà dolore, è pensata come la legittima restituzione del torto subito. Si tratta di un'equiparazione radicata nella cultura umana al punto da apparire la forma di risarcimento più elementare che esista: secondo il criterio valido per lo jus talionis, il dolore [Schmerz] può essere inflitto in cambio del danno [Schaden] ricevuto. La paura della punizione e il desiderio di obbedienza, commenta Butler, sembrano provenire da lì: dal ricordo – forse una rappresentazione archetipica che permane sotto forma di avvertimento; o forse la ferita aperta di un'esperienza recente, un segno dotato della forza della concretezza – di una sanzione dolorosa inflitta in relazione a una mancanza, a un debito non onorato, a una possibile colpa meritevole di punizione.

91 Ivi, p. 259.

92 J. BUTLER, Circuiti di cattiva coscienza. Nietzsche e Freud, in Ead., La vita psichica del potere, cit., pp. 93-

108.

93 Ivi, pp. 100-101.

94 «Il sentimento della colpa […] ha avuto […] la sua origine nel più antico e originario rapporto tra persone che esista, nel rapporto tra compratore e venditore, creditore e debitore: qui, per la prima volta, si fece innanzi persona a persona, qui per la prima volta si misurò persona a persona. Non si è ancora trovato un grado di civiltà tanto basso in cui non si lasciasse porre in evidenza già qualcosa di questo rapporto»: F. NIETZSCHE, Genealogia della morale, cit., p. 268.

«Ciononostante», continua Butler, «le circostanze del contratto scisso sembrano non essere sufficienti a giustificare del tutto il desiderio di punire il debitore. Sembra quasi che subentri un elemento di “piacere”: per quale motivo, dunque, il creditore prova piacere nell'infliggere la sua offesa, e che forma assume quel piacere quando l'offesa viene inflitta sotto forma di “azione moralizzatrice”, per mezzo della quale il creditore giudica il debitore come moralmente responsabile e lo colpevolizza?»96.