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Nostalgia di un potere sovrano

Secondo Foucault, il potere contemporaneo non ha carattere sovrano. Frazionato tra molteplici apparati concorrenti fra loro e diffusosi nelle forme di associazione proprie della società civile, il potere ha assunto come compito principale quello di definire «una maniera retta di disporre le cose per indirizzarle non verso la forma del “bene comune” […] ma verso un “fine conveniente” per ognuna delle cose da governare»234. In questo modo esso non trae

più la propria funzione e legittimità da se stesso e dallo strumento sovrano della legge, bensì

234 M. FOUCAULT, Sécurité, territoire, population. Cours au Collège de France 1977-1978, Gallimard, Seuil

2004; trad. it. di P. Napoli, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), Feltrinelli, Milano 2005, p. 80.

dalle cose stesse che deve dirigere, ciascuna verso il raggiungimento della propria ottimizzazione.

Il potere tardo-moderno è pertanto un potere prevalentemente “tattico”; esso agisce a livello della popolazione attraverso i principi dell'economia politica al fine di provvedere alla conservazione e al controllo di corpi e persone, alla riproduzione dei soggetti, delle loro abitudini e convinzioni, in relazione a particolari scopi politici. Diviso in una pluralità di fini specifici, asservito alla razionalità intrinseca delle cose, non trae significato o finalità da una singola fonte, né assume una forma unica e coerente come quella che era garantita dalle figure del “sovrano”, del “rappresentante” dello Stato o dalla “Legge” stessa. Tuttavia, più che trattarsi di una perdita, questa trasformazione delle tecniche del potere politico rappresenta un modo con cui l'autorità statale rivitalizza se stessa, in un momento in cui il tradizionale governo della legge pare aver perso credibilità ed efficacia. La governamentalità, per Foucault, emerge come forma di potere distinta dalla sovranità, operante attraverso istituzioni direttive e burocratiche, dipartimenti e normative dello Stato, benché non in maniera esclusiva; attraverso il diritto, concepito però in maniera strumentale e tattica; attraverso discorsi statali e non statali che non sono legittimati né da elezioni dirette né da un'autorità costituita235.

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, Judith Butler reinterpreta questi temi in modo originale, sostenendo che la prospettiva “giuridica” del potere e quella “governamentale” siano, in fin dei conti, due aspetti collegati di una stessa dinamica a-temporale del potere, la quale persegue da sempre l'obiettivo dell'assoggettamento entro certe forme prestabilite mediante la minaccia dell'esclusione sociale e la promessa di riconoscimento e protezione. Sebbene sia d'accordo con il fatto che il potere contemporaneo abbia assunto una configurazione complessa, non riconducibile ai parametri della sovranità storica pre-moderna, Butler insiste nell'affermare che questo “declino” non escluda mai dei possibili “ritorni”. Mentre per Foucault la sopravvivenza del problema della sovranità ha luogo a livello meramente teorico, al modo di un anacronismo epistemologico236, secondo Butler, questa

235 Cfr. J. BUTLER, Vite precarie, cit., p. 75.

236 Precisa infatti Foucault: «non voglio certo sostenere che la sovranità abbia smesso di giocare un ruolo dal momento in cui l'arte di governo ha cominciato a divenire scienza politica. Al contrario, direi quasi che il problema della sovranità non è mai stato posto con tanta acutezza come in questo momento, perché non si trattava più di cercare di ricavare dalle teorie della sovranità un'arte di governo, come nel XVI e XVII secolo, ma poiché quest'ultima esisteva e prendeva consistenza, si trattava di capire quale forma giuridica e

istituzionale, quale fondamento di diritto si potesse attribuire alla sovranità che caratterizza uno stato»: M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 86. Secondo Foucault, tuttavia, il problema della sovranità persiste solo nella forma, per l'esigenza di trovare una giustificazione teorica all'instaurarsi dei nuovi regimi governamentali. Per Butler, invece, la vitalità del concetto di “sovranità” va rintracciata nell'affiorare di una modalità di agire «slegata, nella sfera del politico, dai suoi tradizionali ormeggi»: J. BUTLER, Vite precarie, cit., p. 76.

immagine tradizionale di forza e di efficacia è più che mai viva e operativa all'interno delle società contemporanee, nelle forme dell'anacronismo politico.

Scrive Butler: «benché Foucault possa avere ragione sul fatto che la governamentalità ha assunto questo aspetto [l'aspetto di ciò che è maggiormente rilevante sul piano politico perché più vitale per la società], è importante considerare che il suo emergere non sempre coincide con la perdita di vitalità della sovranità»237. Secondo la filosofa, infatti, la società che fa perno

sulle contrapposizioni binarie e le esclusioni, arrivando ad attribuire ai singoli cittadini la capacità di privarsi gli uni con gli altri dei diritti politici, si struttura sulla base di costruzioni fantasmatiche che veicolano il timore, catalizzano i processi di delirio paranoide, intensificano le forme di diffidenza reciproca e le occasioni di ricatto sociale. Il risultato di tutto ciò, secondo Butler, non è altro che una richiesta sempre maggiore di protezione e di controllo, diffusa fra la popolazione, le parti sociali e i gruppi politici; un'invocazione sempre più pressante di misure straordinarie del potere e della giustizia, purché in grado di far fronte a un'emergenza di sicurezza nazionale avvertita come prioritaria.

All'interno dell'attuale configurazione del potere statale, nuove forme di sovranità trovano sempre più spesso la loro concretizzazione attraverso misure e atti governativi «che sospendono e limitano la sfera d'azione stessa della legge […] nelle situazioni di emergenza in cui lo stato di diritto è sospeso»238. Frequentemente, il ramo esecutivo assume su di sé o affida

ai propri funzionari amministrativi l'esercizio di prerogative di competenza del potere legislativo o, ancora più inquietante, del potere giudiziario; procedure di governamentalità non riconducibili al diritto sono invocate per ampliare e rafforzare forme di sovranità ugualmente non riconducibili al diritto.

Nel testo della sua lezione sulla governamentalità, Foucault affermava che «la legge tende ad arretrare, o meglio cessa di essere lo strumento principale, nella prospettiva del governo»239; a

suo modo di vedere, per disporre di uomini e cose il potere contemporaneo utilizza delle tattiche o, al più, utilizza le leggi come tattiche. Ma, osserva Butler, ciò che forse Foucault non era riuscito a prevedere, è il fatto che, in un tempo caratterizzato da una paura sempre più “liquida”240,

è come se fossimo tornati a un'epoca storica in cui la sovranità era indivisibile, prima che la separazione dei poteri si fosse insediata come precondizione della modernità politica. Detto 237 Ivi, p. 75.

238 Ivi, pp. 76-77.

239 M. FOUCAULT, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 80.

240 Cfr. Z. BAUMANN, Liquid Fear, Polity Press, Cambridge 2006; trad. it. di M. Cupellaro, Paura liquida,

altrimenti: l'epoca storica che pensavamo passata ritorna per strutturare la contemporaneità con

una persistenza che smentisce l'idea della storia come successione cronologica. […] Non solo si

tratta la legge come se fosse una tattica, ma la si sospende al fine di accrescere il potere discrezionale di persone che si basano esclusivamente sul proprio giudizio per decidere intorno a importanti questioni di giustizia, di vita e di morte. La sospensione del diritto è certamente una tattica della governamentalità, ma in questo contesto è anche una pratica che lascia spazio al risorgere della sovranità: le due azioni producono un effetto combinato […]; la sovranità viene esercitata nell'atto della sospensione, ma anche nell'atto di auto-assegnazione della prerogativa legale; la governamentalità caratterizza un'azione del potere amministrativo che è extra-legale, pur facendo riferimento, e ritornando, al diritto come sfera tattica di intervento241.

In questo modo lo stato amplia la propria sfera di competenza, la propria “necessità”. La questione sollevata da Butler è se questa nuova centralità di cui sembra godere oggi la rappresentazione sovrana del potere non sia indice di un “tentativo di compensazione”, quasi una risposta allucinatoria di fronte a una percezione di crescente insicurezza.

«La mia opinione», sostiene La filosofa, «è che nel momento di questa sospensione la sovranità si mostri nella sua versione contemporanea, animata da una nostalgia violenta che cerca di abolire la separazione dei poteri»242. L'atto di sospensione del diritto è, ancora una

volta, un atto performativo che «rianima lo spettro della sovranità all'interno della governamentalità. Lo stato produce, mediante l'atto della sospensione, una legge che non è legge, un tribunale che non è un tribunale, un processo che non è un processo»243. Infatti, le

regole governamentali che intendono ripristinare un potere sovrano al di fuori del perimetro delle leggi costituzionali non sono vincolanti in base alla legittimazione che ricevono dal codice, bensì sono totalmente discrezionali, interpretate unilateralmente, invocate e invocabili in maniere e misure arbitrarie.

L'auto-annullamento della legge nello stato di emergenza rivitalizza l'anacronistico “sovrano” nei panni dei soggetti manageriali, coloro che hanno potere direttivo e che recentemente sono diventati molto potenti. Naturalmente non si tratta di veri sovrani: il loro potere è delegato e non hanno il controllo completo degli scopi che muovono le loro azioni. Il potere li precede e li costituisce come “sovrani”, smentendo così la presunta sovranità. Non poggiano su fondamenti di piena autonomia; non offrono alla gestione politica funzioni rappresentative o di legittimazione. Tuttavia, entro i limiti della governamentalità, essi sono coloro che decidono chi sarà detenuto, chi rivedrà la vita fuori dal carcere, e ciò comporta un mandato e una presa di potere carica di conseguenze. […] Non si tratta, 241 J. BUTLER, Vite precarie, cit., pp. 77-78.

242 Ivi, p. 85. 243 Ibidem.

letteralmente, del fatto che un potere sovrano sospende il principio del governo della legge, ma del fatto che tale principio, nell'atto di venire sospeso, produce sovranità nella sua azione e come suo

effetto. Questo rapporto, inversamente proporzionale al diritto, produce l'“inaffidabilità” di questa

operazione del potere sovrano e anche la sua illegittimità244.

Ciò che è Butler descrive, in relazione all'attualità della politica contemporanea, assume i tratti di un lutto non elaborato, o meglio: di uno stato melanconico la cui nostalgia è senza oggetto. Sempre che si possa dimostrare che la vita nel passato fosse realmente più sicura – cosa assai dubbia –, ciò che si va cercando, infatti, è l'instaurarsi – e non tanto il “ripristino” – di un potere forte, garante di una sicurezza più “fantasticata” che persa245. Si moltiplicano i

centri di sovranità e i fulcri di potere, si “finge” che il singolo cittadino sia sovrano di se stesso e che la sua forza offensiva sia pari a quella della legge statale proprio per sopperire alla fragilità di questa legge, alla facilità con cui essa viene sospesa, piegata, reinterpretata da un esecutivo sempre più autonomo dal rispetto dei vincoli costituzionali.

Ciò che Butler cerca di argomentare è che il paradigma della sovranità applicato al presente veicola un'interpretazione della realtà tendenziosa e conservatrice. La focalizzazione dell'attenzione sulla possibile violenza perpetrata dai cittadini ai danni di altri cittadini sposta in secondo piano il problema della violenza perpetrata attraverso il discorso dei tribunali e di apparati governativi sempre più inclini a mescolare questioni di sicurezza con valutazioni giudiziarie. Il potere della censura è un potere che si autocostituisce e accresce se stesso esclusivamente per mezzo delle proprie deliberazioni, al di fuori dei vincoli imposti a garanzia dalla legge. Diffondere nelle società una percezione di forte insicurezza e precarietà, il cui unico rimedio può provenire da un intervento contenitivo super partes, garanzia di terzietà e di efficienza, consente al potere esecutivo di fomentare la diffidenza nei confronti del vicino, la paura per le conseguenze della libertà di espressione, il disagio di fronte al diritto di critica; la stessa paura che motiva tutte le proposte di censura giuridica di quegli atti e quelle forme di espressione.

Secondo l'analisi butleriana, la fiducia nella neutralità ed efficacia del dispositivo della censura rientra a pieno titolo tra i feticci del pensiero metafisico. Se la missione dichiarata di tale dispositivo è quella di sorvegliare il rispetto dei regolamenti nella “situazione linguistica totale” che costituisce la sfera pubblica, il suo fine reale è quello di tenere nascosta la violenza che è insita nel suo stesso linguaggio: il linguaggio giuridico che esprime le disposizioni volte a stabilire entro quali confini debbano essere contenuti gli atti e le pratiche dei soggetti politici

244 Ivi, pp. 85-89.

esercita una violenza linguistica analoga a quella che le sue disposizioni si propongono di punire. E' una violenza che si esercita mediante il sostenere una “transitività discorsiva” che apparterrebbe all'ingiuria ma, ancor prima, al potere interpellante.

Il senso del performativo rischia così di cambiare radicalmente alla luce di questo sintomatico “ritorno” della sovranità. Il linguaggio sembra rivelarsi il luogo in cui questo ritorno, nella forma del performativo, è vissuto come possibile – il luogo dislocato della politica –, mostrando come la nostra epoca sia attraversata da «un desiderio di tornare a una mappa del potere più semplice e più rassicurante, in cui il presupposto della sovranità rimane sicuro. […] Le limitazioni del linguaggio giuridico fanno la loro comparsa per mettere fine a questa particolare ansia storica»246.

La scena dell'enunciazione, che viene così spesso investita del potere di stabilire o ri-stabilire la subordinazione sociale del soggetto, individuale o collettivo, è oggetto – secondo Butler – di una semplificazione e di una sovradeterminazione tutt'altro che irrilevanti. È l'ispirazione proveniente da questa idea di sovranità rediviva a promuovere una concettualizzazione della responsabilità che ponga il singolo individuo all'origine della creazione di strutture linguistiche razziste, sessiste o altrimenti discriminanti. Il soggetto giuridico, individuato in quanto «“causa” del problema del razzismo»247, è gravato dell'onere di rispondere – di essere

responsabile – non tanto dell'ingiuria pronunciata, ma di un'intera struttura sociale discriminante, la quale a sua volta è all'origine, tanto del gruppo sociale preso di mira dalla sua ingiuria, quanto dell'ingiuriante stesso. Ciò che si verifica in questo tipo di interpretazione è una messa in ombra della prospettiva temporale: del carattere sedimentato, socialmente costituito, di ogni istituzione o pratica, linguistica o di altro tipo.

Il paradigma della sovranità è, secondo Foucault, ciò che, dominando il pensiero politico, giuridico e morale, permette di nascondere la realtà della dominazione contemporanea, ossia nascondere il fatto che il potere si realizza oggi sempre più nelle estremità “meno giuridiche” del suo esercizio. Il soggetto non è il perno della forma di dominazione attuale, che è diffusa, capillare, policentrica. Di conseguenza, domandarsi chi detenga il potere o quali siano il suo scopo o la sua volontà, difficilmente condurrà a una risposta soddisfacente o utile. Bisogna, al contrario, andare oltre la ricerca “giuridica”, inquisitoria, delle cause e della responsabilità soggettiva, avventurandosi sul cammino della ricerca genealogica, che porti alla luce le forme di dipendenza, le determinazioni reciproche, le trasposizioni e le sostituzioni che attraversano le pratiche e assoggettano i corpi.

246 Ibidem. 247 Ivi, p. 114.

Appiattire il problema della dominazione su singole scene di interpellazione ingiuriosa e responsabilità soggettive serve a razionalizzare, e quindi contenere, la paura collettiva; individuando dei capri espiatori, la società celebra i propri riti di purificazione e si ricompatta intorno alla causa dell'unità nazionale e del bene comune. E tuttavia, le difficoltà e gli stati d'ansia che richiedono questo tipo di semplificazione possono solo essere provocati da una situazione in cui il singolo cittadino vive in una solitudine radicale che riecheggia in modi angoscianti quell'uno-contro-tutti dello “stato di natura”.

In un panorama in cui lo spettro di un “ritorno della barbarie” getta la sua ombra sull'immagine più rassicurante della storia lineare e progressiva, il bisogno di un'identità più delineata e forte, capace se possibile di difendere dalla solitudine del presente, può indirizzare verso il passato, alla ricerca di una «relazione immaginata con una comunità di razzisti trasmessa storicamente»248. Si recuperano dal passato invettive ed epiteti come a negare che

uno spazio temporale si sia frapposto in mezzo; si ripetono inalterati slogan e appellativi ingiuriosi per negare la perdita di quella comunità ideale che garantiva i propri confini dalle contaminazioni di identità disgreganti. Che quella comunità sia realmente esistita, è lecito dubitarne. Ma la ripetizione costante di parole d'ordine che intendono riattualizzarla hanno l'effetto di fornire materiale utile per un'identificazione la cui forza non è affatto incrinata dal dubbio sull'esistenza di quella purezza originaria.