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Il ritorno di Judith Butler a Freud, tuttavia, non esaurisce il suo significato nel mostrare come il desiderio costituisca il luogo della conservazione e riproduzione del potere. Questo ritorno è funzionale ad affermare che il desiderio costituisce allo stesso tempo il sito di una possibile decostruzione erosiva del regime normativo.

Si tratta, secondo Butler, del secondo grande problema posto dalla teoria di Foucault, la quale, oltre a non registrare l'importanza dell'attaccamento appassionato al potere, sembra incapace di rilevare i problemi che quell'attaccamento pone in relazione all'opposizione e alla resistenza politiche. Svincolato l'agire del potere dal principio troppo “teleologico” dei capovolgimenti dialettici – secondo cui ogni istanza è illuminata di senso dall'istanza che la contraddice e viene inverata da una sintesi di significati che dischiude un livello di comprensione ulteriore –, l'unica possibilità di continuare a pensare la resistenza, per Michel Foucault, consiste nel pensarla come un fenomeno immanente al linguaggio e alle pratiche del potere stesso. Negando alle passioni e alla dimensione psichica una propria autonomia, Foucault nega che queste possano assumere qualsiasi valenza sovversiva o politicamente liberatoria. Il fallimento della psicoanalisi nel riconoscere il valore “produttivo” della legge repressiva determina – come abbiamo visto nel paragrafo precedente – il fatto che ogni desiderio “ribelle” non faccia altro che confermare e incoraggiare il riprodursi della legge stessa, in un circolo vizioso che non sembra ammettere rotture.

Rispetto alla possibilità che un dominio “inconscio” della psiche possa mettere in discussione la normatività sociale e culturale condivisa, Foucault sembra scettico. Come Butler ricorda, ne

344 «Se la spregevolezza, l'agonia e il dolore rappresentano luoghi o forme della caparbietà, modalità di attaccamento a se stessi, modi di riflessività negativamente articolati, significa che questo avviene perché essi sono concessi da regimi regolatori in quanto unici luoghi disponibili per l'attaccamento; e un soggetto preferirà aggrapparsi al dolore piuttosto che al nulla. Secondo Freud, un bambino sviluppa un attaccamento che arreca piacere a qualsiasi eccitazione gli venga incontro, perfino la più traumatica: questo giustifica lo sviluppo di forme masochistiche e, secondo alcuni, la produzione di degradazione, rifiuto, spregevolezza, e così via, quasi fossero queste le condizioni indispensabili dell'amore»: ivi, p. 90.

La volontà di sapere egli afferma categoricamente che «non c'è dunque rispetto al potere un

luogo del grande Rifiuto»345: al di là dello specifico riferimento all'opera di Herbert Marcuse,

quest'asserzione è, secondo la filosofa americana, una presa di distanza da tutte le teorie che collocano la contestazione e la sovversione del potere in dimensioni “altre” rispetto alla legge, quali possono essere «la psiche, l'immaginario, o l'inconscio»346. In Foucault sembra implicito

che l'interpellazione simbolica – per esprimerci in termini lacaniani – è ineludibile ed efficace e che la sua azione performativa riesca sempre a formare le identità che richiama, risultando così “illocutoria”. Per questa ragione, secondo il pensatore francese, l'opposizione alla legge deve essere condotta internamente a essa, e dev'essere ugualmente diffusa, capillare, multiforme; in un certo senso, la sua comparsa dev'essere considerata necessaria, posto che la struttura del potere stesso sia quella di un insieme complesso di performances reiterate.

Soprattutto, per Foucault, la resistenza non è residuale e inerte rispetto alla legge. Essa non è la faccia nascosta del simbolico che, pur manifestando la propria erosiva presenza, non può fare altro che rinviare ad esso come al proprio necessario completamento, riuscendo così a rafforzarne l'autorità347. I soggetti possono essere «sia costituiti dalla legge, sia un effetto della resistenza alla legge»348, ma sempre emergenti all'interno del registro simbolico. Poiché,

secondo Foucault, è tipico dello Stato liberale moderno distribuire riconoscimento sociale sulla base di una politica identitaria, la ricerca di un'identità socialmente accettabile deve fare i conti con il fatto che – secondo questo schema – ogni identificazione ambisce a comportarsi come una totalizzazione, e in questo modo agisce come deterrente a qualsiasi trasformazione o evoluzione non conforme al modello imposto. Nell'ottica della proposta teorica foucaultiana, quindi, un movimento di resistenza a tale politica dovrebbe cercare di sovvertire questo ordine o, quantomeno, cercare di respingere l'esclusività del legame tra rivendicazione

345 M. FOUCAULT, La volontà di sapere, cit., p. 85. Il riferimento è a H. MARCUSE, One-Dimensional Man,

Beacon, Boston 1964; trad. it. di L. Gallino e T. Giani Gallino, L'uomo a una dimensione, Torino, Einaudi 1967, p. 266.

346 J. BUTLER, La vita psichica del potere, cit., p. 122.

347 Una proposta di ispirazione lacaniana – come quella di Kristeva – potrebbe, ad esempio, sostenere che gli effetti della psiche non consistano solo in ciò che può essere significato, ma che esista, oltre e in opposizione a questo corpo significante, un dominio della psiche che ne metta in dubbio la leggibilità. Il rischio che “la domanda simbolica” non dia seguito ad alcuna forma di riconoscimento, che l'interpellazione fallisca il proprio obiettivo, non venga recepita dal proprio destinatario e cada nel vuoto priva di efficacia, verrebbe ricondotto da Lacan all'esistenza del dominio dell'immaginario. Questo dominio è ciò che si sottrae e si rivela, al contempo, nei lapsus e nei riconoscimenti mancati. Per Lacan l'identità è irriducibile a una

costituzione discorsiva e simbolica, perché nessun tentativo di definire qualcuno mediante una categoria o un insieme di qualità può mai riuscire nella sua totalizzazione. L'immaginario infatti è insito nella legge

simbolica e sempre in procinto di deviare, di contestare e interrompere qualsiasi processo performativo di identità. Se da una parte la riflessione foucaultiana è insufficiente perché trascura il lato “psicologico” della soggettivazione, allo stesso tempo Butler ritiene che una prospettiva come quella lacaniana non abbia sufficiente forza politica perché capace di pensare alla resistenza in una chiave esclusivamente intrapsichica. Sull'argomento, cfr. J. BUTLER, Scambi di genere, pp. 119-137.

identitaria e agibilità politica. Sostenendo che ciò sia possibile, Foucault sembra suggerire che possa essere lo stesso discorso disciplinare a generare al proprio interno le basi del conflitto, del disordine e della de-costituzione del soggetto. Le resistenze foucaultiane devono essere rintracciate in centri di forza e di potere che ambiscono alla sovversione e alla rinegoziazione dei termini della legge stessa.

Traducendo questa tesi in una terminologia a lei più affine, Butler spiega che una resistenza interna al discorso è da concepirsi come un'atto di appropriazione e di risemantizzazione del linguaggio del potere da parte di contesti che da quel discorso erano esclusi. La domanda interpellante del potere – come insegna Austin – è in grado di avere un effetto performativo solo se viene reiterata e rielaborata innumerevoli volte nel rispetto delle condizioni che ne garantiscono la “felicità”. Solo se, in questa reiterazione, l'ingiunzione performativa si dimostra capace di attraversare contesti diversi resistendo alle modificazioni delle condizioni di partenza, i suoi effetti nel mondo reale continueranno a essere quelli attesi. Ma, l'iterabilità della domanda – di cui ha parlato invece Derrida349 – è ciò che, al contempo, sancisce la

precarietà della legge e la sua possibilità di “reincarnarsi” in versioni di sé contrapposte e sovversive rispetto agli scopi dichiarati.

Testimonianza di ciò sono appunto quelle situazioni di abuso e di esclusione messe in atto da un regime regolatore, nelle quali – come già osservato – continua a intravedersi l'attaccamento appassionato del soggetto, la sua strenua lotta per la soggettivazione, cioè per l'affermazione del proprio desiderio. La melanconia, affrontata nel capitolo precedente, costituisce a sua volta un caso limite di questo tipo: quando il desiderio si lega a oggetti che la legge sociale forclude, la malinconia sorge a indicare la resistenza di questo legame al di là di ogni possibile negazione e al di là della stessa consapevolezza del soggetto melanconico. Posto che la sfera psichica non è mai scissa dalla dimensione sociale in cui si forma, e posto che il nostro “io” – come ha spiegato Freud – è il risultato di una serie di identificazioni e incorporazioni successive di ciò che abbiamo desiderato indebitamente, l'attaccamento del soggetto alla “sua” proibizione fondativa si trasforma a sua volta in un'imprevedibile erotizzazione della proibizione stessa, e il potere diviene sorprendentemente oggetto di desiderio per la possibilità di continuare a desiderare.

Reinterpretando Foucault sulla base di questa concezione, nella Vita psichica del potere Butler scrive:

se parte dell'operato del regime regolatore è costituita dal limitare la formazione e l'attaccamento al 349 Cfr. J. DERRIDA, Firma evento contesto, cit.

desiderio, allora sembra volersi ipotizzare una certa capacità di distacco dell'impulso fin dall'inizio, ovvero una certa imponderabilità tra la capacità di un attaccamento corporeo e il luogo nel quale esso viene confinato. Foucault sembra ammettere proprio questa capacità di distacco del desiderio, affermando che gli incitamenti e i capovolgimenti sono imprevedibili fino a un certo punto, e che hanno la caratteristica, fondamentale per la nozione di resistenza, di eccedere gli obiettivi regolatori per i quali sono creati. Se un determinato regime non è capace di tenere completamente sotto controllo gli incitamenti che pure produce, questo può in parte essere il risultato di un'opposizione, a livello dell'impulso, a una totale e conclusiva civilizzazione da parte di ogni regime regolatore?350.

Il confronto con la psicoanalisi offre a Butler l'opportunità di utilizzare strategicamente la nozione di inconscio così da far emergere quelli che a suo avviso sono i limiti della nozione foucaultiana di “soggetto”, inteso come un'entità che tende a esaurirsi nella “totalizzazione” del potere discorsivo. Allo stesso tempo, i concetti di eccedenza e di proliferazione, mutuati dalla teoria del potere-sapere di Foucault, sono applicati da Butler alla dinamica del desiderio e utilizzati per rendere intelligibile il modo in cui il potere espone se stesso al fallimento e a esiti imprevedibili.

La centralità del discorso nell'approccio foucaultiano emerge in maniera paradigmatica in

Sorvegliare e punire: in esso, come è stato più volte notato, il concetto di “anima” compare

associato a quello di “prigione del corpo”; Butler interpreta questa nozione come la struttura identitaria assoggettante mediante la quale il corpo è sottoposto alla normalizzazione e al dominio disciplinare e, contemporaneamente, è formato in quanto soggetto giuridico. Il rapporto di tale “ideale normativo” con il corpo appare tuttavia a Butler non privo di difficoltà. Una disamina attenta dei vari luoghi in cui Foucault affronta questo rapporto sembra poter rivelare un'oscillazione riguardo alla precisa forma di questo legame351.

In Sorvegliare e punire, l'esistenza di una materialità autonoma dal discorso è esclusa: sia la materialità del corpo umano, sia quella dei luoghi fisici di reclusione delle istituzioni disciplinari, è descritta da Foucault come totalmente dipendente da un investimento simbolico proveniente da una fonte sociale. L'“anima”, o l'identità discorsiva del detenuto, agisce come un principio “ideale”, storicamente e culturalmente determinato, che attualizza la materia corporea rendendola intelligibile. Il corpo, in questa trattazione, non è qualcosa che possa esistere indipendentemente dal potere, bensì – afferma Foucault – si materializza unicamente se investito di potere. L'identità conferita dall'assoggettamento colloca il corpo nel tempo e nello spazio sociali e quindi lo porta all'esistenza proprio nel momento in cui lo designa come

350 J. BUTLER, La vita psichica del potere, cit., pp. 89-90.

351 Cfr. in particolare Soggettivazione, resistenza, risignificazione. Freud e Foucault, in J. BUTLER, La vita

“corpo”.

Di contro, nel saggio anteriore Nietzsche, la genealogia e la storia, la tesi sostenuta da Foucault sembra essere più sfumata. Secondo Butler, in questo testo il corpo e il potere discorsivo sono due entità distinte, o quantomeno distinguibili. Mentre nell'opera sulla prigione il corpo e il soggetto emergono insieme, l'uno sostenuto dall'altro, nello scritto dedicato a Nietzsche Foucault fa nascere il soggetto dalla subordinazione e, addirittura, dalla

distruzione del corpo. Scrive infatti Foucault:

il corpo […] è il luogo della Herkunft: sul corpo, si trova la stigma degli avvenimenti passati, così come da esso nascono i desideri, i cedimenti, e gli errori; lì anche si annodano e a un tratto si esprimono, ma in esso ancora si slegano, entrano in lotta, si nascondono gli uni gli altri e continuano la loro lotta insormontabile. Il corpo: superficie d'iscrizione degli avvenimenti (laddove il linguaggio li distingue e le idee li dissolvono), luogo di dissociazione dell'Io (al quale cerca di prestare la chimera di un'unità sostanziale), volume in perpetuo sgretolamento. La genealogia, come analisi della provenienza, è dunque all'articolazione del corpo e della storia: deve mostrare il corpo tutto impresso di storia, e la storia che devasta il corpo352.

In questo brano, soggetto e corpo appaiono alternativi l'uno all'altro: “l'anima” linguistica e sociale interviene contro il corpo, come una matrice di iscrizione degli avvenimenti della storia sopra la sua superficie e come l'operatrice di uno “sgretolamento”, di una “devastazione” del corpo. L'anima – riformula Butler – sembra fungere da catalizzatore per un processo di sublimazione del corpo, per la rimozione e sostituzione di esso con un'identità discorsiva socialmente ammissibile.

Associare l'assoggettamento normativo al concetto psicoanalitico di “sublimazione” consente a Butler di descrivere il corpo come ciò che, alternativo all'anima, potenzialmente può

resisterle, o eccedere rispetto ai suoi scopi. Benché, in apparenza, sembri svanire al di sotto

della proiezione fantasmatica con cui la norma lo ricopre e lo rende intelligibile, il corpo riaffiora continuamente attraverso le fratture e le incongruenze che si spalancano in questa superficie. Proprio in quanto “residuo” di questa sublimazione – anche se parziale, frammentario, in rovina – il corpo sostituito potrebbe, secondo Butler, rappresentare il punto di resistenza e di sovversione attiva del regime di regolamentazione sociale.

Di fatto, la riflessione di Foucault sovverte l'ordine con cui pensiamo “anima” e “corpo”, attribuendo alla prima i caratteri dell'esteriorità e della costrizione, mentre al secondo attribuirebbe una potenzialità eversiva, liberatrice. Quando parla di “anima” o di “inconscio

culturale”353 Foucault si riferisce proprio a quegli atti e quegli abiti mentali che, adottati

inconsapevolmente, ci portano a riprodurre e rinforzare le catene materiali della nostra stessa sottomissione.

Tuttavia, messe a confronto con gli assunti della teoria psicoanalitica, le proposte di Foucault offrono a Butler importanti spunti per ripensare il tema della resistenza al potere. Per il Michel Foucault lettore di Nietzsche, il soggetto non sembra coincidere con il corpo dal quale emerge, esattamente come per la psicoanalisi il soggetto non coincide con la psiche dalla quale emerge. In entrambe le teorie è descritta la possibilità di un'eccedenza alla normalizzazione, l'esistenza di un nucleo di resistenza e disorientamento rispetto alle regole sociali che limitano la generazione dei soggetti stessi.

Ciò che Butler cerca di sostenere è che se un residuo alla normalizzazione esiste – corpo o desiderio che sia –, esso non può esistere in altra forma che quella del «già – per non dire “sempre” – distrutto, in una specie di perdita costitutiva»354. Questa perdita risulterebbe, nel

momento della formazione del soggetto, come qualcosa di già avvenuto e già da sempre “forcluso” al nostro recupero cosciente, pensabile solo in relazione al suo negativo, la normalizzazione entro cui siamo situati. Il corpo, in questa rilettura di Foucault, è ciò che non si dà e che “sempre sfugge”: sfugge al potere in quanto ne rappresenta il presupposto – non c'è esercizio di potere senza un corpo su cui la norma possa esercitare il proprio dominio – e la fallibilità – proprio il corpo, che è sempre singolare e particolare, fa sì che ogni soggettivazione sia un'attualizzazione della norma originale e unica, quindi non totalmente prevedibile e mai definitivamente interpretabile. Allo stesso modo, il desiderio freudiano eccede il perimetro della soggettivazione normativa in quanto ne costituisce la precondizione – non c'è assoggettamento senza desiderio di riconoscimento – e l'inevitabile deviazione – ogni desiderio respinto e sostituito non è mai completamente perso; esso produce delle identificazioni con gli oggetti perduti che de-stabilizzano l'Io e lo rendono costitutivamente sbilanciato verso l'alterità.

A partire da questa posizione, Butler afferma che l'auto-superamento è, in un certo senso, la conseguenza più propria del potere, proprio perché ogni soggettivazione riuscita produce spontaneamente eccedenze e “deviazioni”. La resistenza al potere è parte dell'auto-espansione del potere – come riteneva Foucault – nella misura in cui, per espandersi, esso necessita dell'appropriazione delle norme da parte del singolo – come ha capito Freud – e della loro riproduzione e attualizzazione performativa su scala individuale e collettiva. Il bisogno della

353 M. FOUCAULT, Rituals of Exclusion, in Foucault Live: Collected Interviews, 1961-1984, Semiotext(e), New

York 1989. Cit. da J. Butler, La vita psichica del potere, cit., p. 109. 354 J. BUTLER, La vita psichica del potere, cit., p. 117.

ripetizione, intrinseco nella natura della norma, produce di necessità la deviazione dal modello di partenza, in quanto non esiste esecuzione perfettamente conforme all'ingiunzione che l'ha provocata. Poiché il soggetto assoggettato non è una creazione definitiva, bensì qualcosa che necessita di una generazione continua, la possibilità di appropriarsi di tale potere e di reindirizzarlo verso direzioni e mete non previste è sempre possibile e anzi inevitabile.