• Non ci sono risultati.

La citazione pittorica nella filmografia di Godard

CINEMA E PITTURA: PASSION

2.4 Godard pittore

2.4.1 La citazione pittorica nella filmografia di Godard

Nella filmografia di Jean-Luc Godard sono innumerevoli i richiami alla pittura o al colore; per facilitazione ne citeremo alcuni, che introducono ed esemplificano le caratteristiche del cinema godardiano, per, infine, approdare a due film cardine in cui cinema e pittura si fondono insieme. ll primo film che prenderemo in analisi è Pierrot le

fou, che si colloca cronologicamente nel primo periodo di lavoro del regista (1960-

1967); Passion è la seconda pellicola su cui ci soffermeremo più a lungo nell'analisi ed essa si colloca nel terzo periodo (1975-)154. Passion è il film che conclude, a mio parere,

lo studio tra il cinema e la pittura svolto da Godard in questi anni e per tale ragione ho ritenuto fosse più adeguato citare i film cronologicamente girati in anni precedenti al

152 Amegual Barthelémy, Jean-Luc Godard, in Etudes Cinématographiques, n.57-61, 1967; qui citato in Allegri Luigi, Ideologia e linguaggio nel cinema contemporaneo: Jean-Luc Godard, Università di Parma, Centro studi e archivio della comunicazione, Parma 1976, p.72.

153 Godard Jean-Luc, Il cinema è il cinema, I Garzanti, Milano 1981, p.177.

154 Il primo periodo dell'attività del regista va dal 1960 al 1967 ed è caratterizzato da una spiccata vena creativa che culminerà nell'esperienza del Sessantotto. In questo primo periodo Godard privilegia i contenuti prodotti dalle immagini contemporanee, come la pubblicità, i fumetti, le riviste, manifesti di attori. Tra questi troviamo i film Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution, Pierrot le fou,

Deux ou trois chose que je sais d'elle. Dal 1966 Godard si avvicina alla teoria marxista e utilizza il

cinema per mettere in atto una critica verso la civiltà dei consumi. Ricordiamo tra questi La chinoise,

Week-end. Il secondo periodo che va dal 1967 al 1972 è segnato dalla sperimentazione di un cinema

collettivo, rifiutando il ruolo dell'autore, da queste premesse nel 1969 Godard fonda il gruppo Dziga Vertov. In questi anni ricordiamo i film Lotte in Italia e Tout va bien. Dopo una pausa di tre anni, che coincide con la fine del movimento, il terzo periodo di Godard si apre nel 1975. Questo periodo è segnato dall'approdo del regista alle tecnologie elettroniche e al video improntante ad una sperimentazione, in cui il video viene usato per una critica alle immagini. In questo periodo sono da annoverare: Numéro deux, Sauve qui peut (la vie), Prénom Carmen, Je vous salue Marie, Nouvelle

1982, che è l'anno del film Passion.

Tra questi vi è Une femme est une femme film del 1962 immerso tra la Op-art e il collage. Godard decide di porre come base cromatica il rosso e il blu saturi, colori che verranno ripresi anche in Pierrot le fou dove il rosso richiama il sangue, il blu richiama la morte, il suicidio. Godard utilizzerà i due colori cardine in una scena dove Angela (Anna Karina), mentre canta con addosso un abito blu, verrà avvolta da una luce rossa. Ma Une femme est une femme è anche un film astratto; Angela, in un dialogo, afferma: «Vorrei essere qualcosa di giallo e di astratto» e l'utilizzo della pellicola in technicolor (primo esperimento con il colore per Godard) permette allo spettatore di vedere questi colori, dal suo ombrello ai suoi abiti rossi e blu fino ai titoli di testa multicolore.

In Une femme mariée, del 1964, Godard pone delle statue di Maillol in contrappunto con il corpo scultoreo di Charlotte (Macha Méril). L'avvicinamento verso l'arte pop avviene attraverso temi cari alla corrente, come la pubblicità in ambienti esterni o la stampa periodica negli ambienti casalinghi. Spesso i protagonisti vengono ritratti vicino a manifesti pubblicitari, altre volte le riviste sfogliate mostrano pubblicità di reggiseni, mutandine, calze e sottovesti, un richiamano alla mercificazione e al sesso. Il cineasta denuncia la comunicazione di massa che entra in modo prepotente nella vita reale e tra le relazioni umane.

Queste inquadrature “pop” si trovano anche in Vivre sa vie (1962), nel quale il tema principale è la spersonalizzazione dell'individuo, tipico tema anche della cultura

popular. Diversamente in Les Carabiniers (1963) la pubblicità appare quando Michel-

Ange (non è casuale come il nome del protagonista richiami all'artista Michelangelo) e Venus posano, tenendosi davanti l'immagine pubblicitaria di un paio di mutande e di un reggiseno. In questo film Godard tenta di recuperare un certo contrasto che caratterizzava il cinema muto: pone particolare attenzione al trucco degli attori e al trattamento fotografico dei materiali d'archivio che inserisce nel montaggio. La critica non coglie questa impostazione e attacca violentemente il film accusandolo di abborracciamento e disinvoltura tecnica155. Godard risponde fornendo tutte le

precisazioni tecniche che dimostrano il suo controllo nel procedimento e il suo perfezionismo nell'associazione del suono:

155 Si veda per maggiori approfondimenti il testo di Marie Michel , La nouvelle vague: une école

Abbiamo girato per quattro settimane durante un inverno che ci spingeva al rigore e, dalla sceneggiatura al missaggio, tutto si è svolto in effetti sotto questo segno. Il suono in particolare, grazie agli ingegneri Hortion e Maumont, è stato particolarmente curato. […] Quanto agli attacchi sbagliati, ce n'è uno, superbo, emozionante, eisensteiniano, in una scena in cui una delle inquadrature sarà del resto presa direttamente dal Potёmkin. Si vede in campo totale un sottufficiale dell'esercito regio togliere il berretto a una giovane partigiana bionda come il grano del suo kolchoz. Nell'inquadratura successiva, in primo piano, si rivede lo stesso gesto. E allora? Che cos'è un attacco se non il passaggio da un'inquadratura all'altra? Questo passaggio può essere fatto senza urti – è l'attacco messo praticamente a punto in quarant'anni dal cinema americano e dai suoi montatori che, da un poliziesco ad una commedia e da una commedia a un western, hanno instaurato e affinato il principio dell'attacco preciso sullo stesso gesto, la stessa posizione, per non rompere l'unità melodica della scena; un attacco puramente manuale, insomma, un procedimento di scrittura. Ma si può anche passare da un'inquadratura all'altra non per una ragione di scrittura, ma per una ragione drammatica; ecco allora l'attacco di Ejzenštejn che oppone una forma all'altra, legandole indissolubilmente con la stressa operazione. […] Insomma, l'attacco è una sorta di rima, e non c'è bisogno di fare tanto rumore per impadronirsi di una scala. Basta sapere quando, dove, perché e come.156

Il riferimento a Ejzenštejn, fondamentale per l'estetica di Les Carabiniers, pone l'accento sulla riscoperta del montaggio operata all'epoca dagli autori della Nouvelle Vague, come Resnais, Rivette, Rozier e naturalmente lo stesso Godard. Il tema del montaggio verrà in seguito sviluppata ed approfondita nell'analisi del film Passion.

Nel film del 1966 Made in USA sono presenti invece i tipici oggetti “pop”, caratterizzati da colori accesi e vivaci come scritte al neon, i fumetti o i manifesti pubblicitari. Inoltre in una scena, dove la protagonista si trova in un deposito di manifesti cinematografici, vi è il richiamo esplicito alla serializzazione, accomunato anche dal taglio decentrato dell'inquadratura e dall'impianto delle sequenze.

Con La Chinoise (1967) Godard ritorna, questa volta, alla cultura pop attraverso il colore: i materiali figurativi diventano inserti, sfondi o contrappunti della vicenda o delle parole degli attori. Vi si trovano fumetti, campagne pubblicitarie, copertine di libri, ritratti di personaggi celebri in una storia che narra delle vicende di giovani rivoluzionari maoisti.

156 Jean-Luc Godard, Feu sur Les carabiniers, Cahiers du Cinéma, n.146, agosto 1963. Trad. it. Fuoco

Sia in Je vous salue Marie (1984), dove il blu rievoca la purezza, il cielo e Dio, che in Sauve qui peut (la vie) del 1980, Godard cerca di elaborare il cinema per ritrovare la pittura. In quest'ultimo film in particolare, Godard inserisce quadri di Hopper, un nudo di Bonnard e parla di luce e di colore, temi fondanti che saranno sviluppati due anni dopo in Passion.

Prima di addentrarci però nell'analisi di questo film, ho ritenuto fondamentale porre un'ulteriore analisi su un'opera che a mio parere esprime le qualità e i temi che ritroveremo anche in Passion e che ci permette così di giungere ad un quadro completo ed esaustivo delle teorie e delle pratiche di Godard: Pierrot le fou (1965).

Il film, meglio conosciuto in Italia come Il bandito delle ore undici, si posiziona cronologicamente nel primo periodo (1960-1967) della carriera cinematografica di Jean- Luc Godard e viene considerato il lavoro che riassume e conclude tutta la filmografia godardiana precedente157. Pierrot le fou è la pellicola che segna l'arrivo della pittura

sullo schermo. Godard utilizza colori con tonalità primarie, dense e dal cromatismo piatto, eliminando qualsiasi illusionismo ottico.

Il film si apre con un'inquadratura su Ferdinand (Jean-Paul Belmondo) immerso nella vasca da bagno (Fig.1), che legge dalla Storia dell'arte di Élie Faure un brano di Velázquez che recita: «alla fine della sua vita non dipingeva più le cose definite ma quello che c'è fra le cose [...]»158. Ferdinand, marito di un'italiana molto ricca, ben presto

abbandona la moglie per Marianne (Anna Karina), affascinante donna conosciuta anni prima e che lo chiama scherzosamente Pierrot. Marianne lo immischia nel traffico di armi e, dopo aver commesso un omicidio, i due si stabiliscono in riva al mare in Provenza; cercando di liberarsi delle loro identità vivono isolati dal resto del mondo, passando le giornate leggendo libri e fumetti. Ma la quiete viene interrotta ben presto da una banda di gangster capeggiata da un nano, della quale Marianne faceva parte prima di fuggire con Ferdinand. Dopo aver ucciso il nano, Marianne scappa lasciando che i gangster catturino e torturino Ferdinand. Dopo un po' di tempo, Ferdinand, rimasto solo,

157 Secondo il giudizio di Louis Aragon, Qu'est-ce que l'art, Jean-Luc Godard?, in Les Lettres

Françaises, n.1096, 9 settembre 1965. Tesi sostenuta anche da Farassino Alberto, Jean-Luc Godard,

Il Castoro, Milano 2007, p.69 e da Allegri Luigi, Ideologia e linguaggio nel cinema contemporaneo:

Jean-Luc Godard, Università di Parma, Centro studi e archivio della comunicazione, Parma 1976,

p.119.

trova lavoro come marinaio nel porto di Tolone. Qui ritrova Marianne che lo coinvolge nuovamente nella sua vita di criminale e, dopo uno scontro a fuoco con la banda, Marianne tradisce Ferdinand-Pierrot e fugge con Fred, il capo banda e amante della donna. Ferdinand-Pierrot, in preda alla rabbia e alla gelosia, li insegue e li raggiunge sull'isola dove si erano rifugiati. Dopo una sparatoria Fred e poi Marianne muoiono per mano di Ferdinand. Il film si conclude tragicamente con il suicidio di Ferdinand, che decide di farla finita legandosi intorno alla testa della dinamite. Un attimo prima dell'esplosione si coglie però nell'uomo un ripensamento, ma Ferdinand non riesce a spegnere la miccia in tempo e muore; nel frattempo si sentono le voci dei due protagonisti che sussurrano versi di L'eternité di Rimbaud.

Le citazioni pittoriche sono presenti in tutto il film: per l'intero viaggio Ferdinand porta con sé e ripercorre La storia dell'arte di Élie Faure in edizione economica, avvicinandosi al mondo dell'arte attraverso una lettura di piccoli saggi e immagini riprodotte. Per esemplificare l'uso della citazione del libro di Faure in Pierrot le fou, Godard disse: «mi ero imbattuto in un vecchio libro di Élie Faure che già conoscevo e che parlava di Velázquez e diceva che agli inizi come alla fine della sua carriera […] egli dipingeva quello che era tra le cose, e io mi accorgo che.. a poco a poco.. il cinema non è le cose, ma ciò che si trova tra le cose, quel che c'è tra qualcuno e un altro, tra te e me, e poi sullo schermo è quel che c'è tra le cose»159. Il medesimo concetto venne

ripreso anche all'interno dello stesso film, quando Belmondo imitando Simon ripete: «non è la gente che bisogna descrivere, ma quello che c'è tra la gente». In ogni caso, il libro di storia dell'arte sarà il supporto ad altri riferimenti espliciti: nel film le immagini pittoriche vengono inserite con piccole cartoline di riproduzioni che si pongono alle spalle del personaggio, altre volte invece vi sono riprese di immagini che occupano tutto lo schermo.

Sono numerosi i riferimenti espliciti che Godard pone tra l'identità dei personaggi e le figure pittoriche: nella stanza di Marianne vi sono appese riproduzioni di Modigliani, Picasso e di Renoir; non casualmente Renoir è anche lo stesso cognome della donna. Ma il personaggio di Marianne è legato in modo indissolubile al pittore, difatti in alcune scene vengono rievocati una serie di figure pittoriche a partire da una

successione di inquadrature. Per esempio, in una scena si parte da una inquadratura su Marianne per poi passare al viso della Bambina presso il covone (1888), un richiamo esplicito alla donna-bambina che diviene impersonificazione di Marianne. In un'altra sequenza, Marianne poggiata su un muretto bianco rievoca la Bagnante (1880), il cui volto viene richiamato in una scena successiva.

La serie dei Renoir si sviluppa parallelamente alla serie dei Picasso, altro richiamo di fondamentale importanza all'interno del film. In una scena in camera di Marianne, dove vi è la donna nell'atto di ordinarsi i capelli davanti ad uno specchio, vicino a lei, appesa al muro, si vede la riproduzione di Fanciulla allo specchio (1932) di Picasso. Ma è nei confronti del protagonista maschile, Pierrot-Ferdinand, che il richiamo a Picasso è reso ancora più esplicito: nella scena dove Marianne conficca le forbici al collo del nano, sempre appesi al muro, si vedono Jacqueline coi fiori (1954) e Ritratto

di Sylvette sulla poltrona verde (1954); a queste due raffigurazioni corrispondono due

foto di donne nude che si trovano nella camera vicina e che si vedranno poco dopo. Nell'intervallo tra le due scene si vede, mentre viene pronunciata la battuta: «Tenera è la notte, è un romanzo d'amore», la riproduzione de Gli innamorati (1923). «Ancora, nella sequenza che si svolge nell'appartamento di Marianne, lei si sposta da una stanza all'altra cantando una canzone160 sulla precarietà dell'amore “senza domani”, l'amore che

Ferdinand e lei stessa stanno vivendo»161. Subito dopo vi è l'inquadratura sul viso di

Marianne mentre pronuncia la frase «Si vedrà» accompagnata dalla colonna sonora Au

clair de la lune, mon ami Pierrot..., che si unisce alle citazioni pittoriche di Paul travestito da Pierrot (1925) di Picasso in primo piano; La blusa rumena (1940) di

Matisse (Fig.2-3); per poi tornare a Paul travestito da Pierrot, questa volta in primissimo piano e, infine, per concludere con il volto della Bagnante (Fig. 4-5). Nel frattempo i dialoghi dei due protagonisti vengono associati ai dipinti, la voce di lei si ascolta mentre scorre l'immagine di una riproduzione maschile e viceversa. Marianne annuncia a Ferdinand che è arrivata sua moglie, ecco allora che La blusa rumena può essere un richiamo alla moglie di Ferdinand e, dunque, la serie delle quattro citazioni può essere una rappresentazione metaforica della situazione amorosa di Ferdinand, che

160 La canzone è Jamais je ne t'ai dit que je t'aimerait toujours di Duhamel e Bassiak.

161 Liandrat-Guigues Suzanne, Leutrat Jean-Louis (tr. it. di Arecco S.), Godard alla ricerca dell'arte

si trova in mezzo alle due donne. Nella stanza in cui avviene l'uccisione del nano da parte di Marianne vi sono Jacqueline coi fiori e Ritratto di Sylvette sulla poltrona verde (Fig.6). Il primo quadro è diviso in due parti separate da una diagonale, come se fossero due pezzi di carta tagliati da una forbice, la parte superiore è blu mentre quella inferiore è rossa. I colori non sono casuali, ma sono un esplicito richiamo ai due protagonisti: il rosso a Marianne, in quanto indossa un vestito rosso ed è un richiamo al delitto che commette; mentre il blu è legato a Ferdinand, dove un posacenere di tale colore annuncia l'imminente tortura che l'uomo subirà nella medesima stanza.

Ma anche lo stesso film è pienamente intrinseco di caratteri pittorici: lo schermo diviene una campitura su cui si distendono forme e colori in composizioni spesso quasi astratte. Vengono esaltati i colori e la luminosità dei paesaggi, gli abiti dei protagonisti, le luci dei semafori e dei neon che compongono le città, il rosso del sangue che decreta la morte di Marianne. La stessa morte tragica di Pierrot-Ferdinand è fatta di colori, egli prima di suicidarsi si colora il viso con della vernice blu e si lega intorno al capo tubi gialli e rossi di dinamite; blu che richiama ancora a Picasso e al suo periodo blu degli Arlecchini e appunto dei Pierrot.

Questa esigenza in Godard di esprimere le vicende dei personaggi e i loro stati d'animo attraverso l'uso del colore mi ricorda un'altra esigenza emersa nei primi anni del cinema: quella di colorare l'immagine fotografica in bianco e nero. I viraggi e le tinteggiature per imbibizione vennero presto in uso creando immediatamente una convenzione: in giallo erano virate le sequenze diurne, in azzurro quelle notturne, in verde le scene di campagna, in rosso la passione e il pericolo. Questa associazione tra i colori e i sentimenti era presente fin dalla nascita della storia del cinema e troviamo un'evoluzione simile anche in Godard, che nel suo film utilizza i colori rosso e blu per collegarli ai due protagonisti, rispettivamente, Marianne e Pierrot-Ferdinand. Come analizzato nella sezione del cinema d'autore, anche Antonioni si serviva del colore per tramettere le sensazioni dei protagonisti: il regista cercava nei suoi film di dare, attraverso l'alterazione dei colori, una chiave psicologica ai personaggi. Per affermare questo mio pensiero, lo stesso Godard in un'intervista rispondeva a chi sosteneva che nel suo film ci fosse troppo sangue: «non è sangue, è solo del rosso»162. Si tratta di

162 Citato in Moscariello Angelo, Cinema e pittura. Dall'effetto cinema nell'arte figurativa alla

un'affermazione che si riferisce al fatto che nel suo film erano i colori prescelti (rosso, blu) a suggerire gli sviluppi della vicenda e non quest'ultima a richiedere i colori.

Luigi Allegri definisce Pierrot le fou come un film surrealista «per l'intenzione che lo muove, per i moduli espressivi che pone in essere, anche per singoli episodi e particolari soluzioni linguistiche»163. L'affermazione di Allegri trova un riscontro nella

trattazione studiata in precedenza sul cinema surrealista; come già analizzato il surrealismo si opponeva con disprezzo all'arte e alla cultura borghesi, per una predilezione dei prodotti popolari o di scarto, alimentando così atteggiamenti provocatori e rivoluzionari con l'unico obiettivo di colpire lo spettatore nel tentativo di aprire una nuova concezione estetica attraverso la libera associazione di immagini. Questa operazione straniante viene messa in atto anche da Godard attraverso l'uso di ellissi narrative che rendono difficile la fruizione partecipativa, sia con certi stilemi, come lo sguardo in macchina, oppure con la sdrammatizzazione ottenuta attraverso l'inversione delle consuetudini di ripresa (ad esempio il falso tentativo di suicidio di Ferdinand mentre sta arrivando il treno ripreso con un campo lungo privo di “emozione”). Inoltre ricordiamo ancora il discorso “surreale” dell'uomo del porto, che racconta a Ferdinand l'assurda storia di una sua ossessione, che appare come una di quelle apparizioni di matrice surrealista e che riportano alla memoria alcuni film di Buñuel; questa digressione sul piano narrativo viene fatta per l'esigenza di rallentare l'azione e scaricarla delle sue componenti di coinvolgimento. Come per il cinema surrealista, anche in Pierrot le fou vi è la predilezione per i prodotti popolari e il film è fortemente marcato dalla cultura di massa, che rammenta però, a mio avviso, un'avanguardia artistica del Secondo dopoguerra, la pop art. Si pensi ai dialoghi della festa iniziale composti da slogans pubblicitari e frasi fatte; la cultura pop è riscontrabile anche nei colori, marcati, decisi e resi dalle tonalità fondamentali del rosso e del blu,