CINEMA E MUSICA: PRÉNOM CARMEN
3.2 Teorie e critica della musica per il cinema
La prima questione divenuta oggetto di un dibattito teorico risale ai primi anni Dieci del Novecento e tratta dell'opportunità della musica nel cinema. Fin dagli esordi
del cinema il pubblico percepiva l'esigenza di un accompagnamento musicale allo scorrere delle immagini in movimento. Nei primi scritti l'idea che la musica potesse essere stata introdotta per neutralizzare e coprire il rumore del proiettore è una costante; ad esempio il compositore Frederick Shepherd Converse disse a riguardo: «all'inizio […] la musica era impiegata per coprire gli sgraziati rumori delle macchine che proiettavano i film. Non c'era nessuna preoccupazione per la sua attinenza o meno con il dramma presentato sullo schermo. Era solo per distogliere l'attenzione da questo sgradevole ed inevitabile fatto concomitante al film»205. Il problema del rumore da
coprire tramite la musica ha valore per lo più storico e difficilmente è documentabile la sua veridicità, per questo motivo tale problematica si affianca a ragioni più profonde, di carattere psicologico e artistico, che hanno spinto il cinema a usufruire della musica.
Il dibattito sulle ragioni della necessità della musica da film si arricchì progressivamente e alcuni letterati espressero motivazioni di natura percettiva all'esigenza della presenza musicale in sala, come ad esempio Robert Musil, che nel 1930 scrive nel volume Der Mann ohne Eigenschaften: «Ma lo spettacolo del puro movimento è così magico che l'uomo non può sopportare senza difesa; lei può osservarlo al cinematografo, quando manca la musica. E la musica è movimento interno, che eccita la fantasia motrice»206. Ernst Bloch nel 1913 attribuisce alla musica il
compito di compensare l'assenza delle percezioni sensoriali, solitamente associate al movimento, agendo in loro vece207; lo psicologo Hugo Münsterberg nel 1916 riteneva
che la musica «non racconta la trama né prende il posto delle immagini, ma semplicemente rafforza il contesto emotivo. È probabile che quando l'arte del cinema avrà ottenuto il suo riconoscimento estetico quei compositori cominceranno a scrivere la musica per un bel film con lo stesso entusiasmo con cui scrivono musica in altre forme»208.
Si dissente anche la qualità e lo stile di musica da utilizzare come accompagnamento alle opere cinematografiche. Ricciotto Canudo nel 1911 pubblicò il
205 Music and the Motion Picture, in “Arts”, Ottobre 1923, p.210; qui citato in Simeon Ennio, Per un
pugno di note. Storia, teoria, estetica della musica per il cinema, la televisione e il video, Rugginenti,
Milano 1995, p.18.
206 Musil Robert, L'uomo senza qualità, Einaudi, Torino 1962, p. 409.
207 Bloch Ernst, La nascita della musica nello spirito del cinema, trad. it., in “Filmcritica”, XXVIII (1977), nn. 279-280, pp.391-392; qui citato in Miceli Sergio, op.cit., p.506.
Manifesto delle sette arti, in cui previde le potenzialità del linguaggio cinematografico
in quanto sintesi delle arti dello spazio e del tempo: le arti plastiche con la musica e la danza, un'unione di cinema e musica che viene considerato come luogo di reincarnazione tecnica del Gesamtkunstwerk wagneriano. Nel manifesto, Canudo condannava l'abitudine dell'accompagnamento musicale formato da una selezione di brani messi insieme e proponeva invece l'uso di partiture scritte appositamente per un film, nelle quali il compositore era libero di esprimersi e produrre secondo il suo stile personale e allo stesso tempo rispettava le eventuali esigenze filmiche. Secondo Canudo poi, il cinema doveva distaccarsi dai legami con la letteratura e il teatro, il quale nulla può avere in comune con un film che fissa in modo definitivo le sue immagini su pellicola. La differenza fondamentale fra i due sta nel fatto che il teatro rappresenta mentre il cinema suggerisce, raggiungendo anche con il silenzio ritmato dei gesti sensazioni che altrimenti solo la musica potrebbe dare209.
Il musicologo Sebastiano Arturo Luciani, nel 1920, nel testo Verso una nuova
arte: il cinematografo ipotizzò addirittura un ribaltamento dei rapporti, in cui il film
diviene “commento” alla musica, ovvero l'immagine si associa e viene realizzata in base alla musica e non viceversa: «Ora la musica può determinare il gesto, non seguirlo, può evocare delle immagini, non tradurle in suono. È […] dal mondo dei suoni che si sale in quello delle immagini. E se si tenta il contrario accade che la musica non integra più la visione, ma o la disturba o ci distrae da essa. […] Ora perché questa antitesi non si stabilisca; perché la musica non disturbi la visione […] è necessario che il musicista non la componga cercando di seguire l'azione già realizzata, bensì ispirandosi alla trama generale del soggetto, i cui particolari devono essere determinati e suggeriti dalla musica stessa»210.
Con l'avvento del sonoro si aprì un dibattito internazionale nel quale numerosi registi e critici presero posizione in favore o contro il sonoro, riaprendo allo stesso tempo la discussione, che non fu mai totalmente chiusa, sull'artisticità del mezzo
209 Citato in Mattuchina Gudula, Musica sullo schermo: i primi cent'anni di storia della colonna sonora, Campanotto editore, Udine 2001, p.47.
210 Luciani Sebastiano, Verso una nuova arte. Il cinematografo, Ausonia, Roma, 1920, pp.46-47; qui citato in Simeon Ennio, Per un pugno di note. Storia, teoria, estetica della musica per il cinema, la
filmico. Ne citeremo ora alcuni, tra i più importanti, per aver apportato opinioni e giudizi a cui ancora oggi si fa riferimento per lo studio dei rapporti tra immagine e suono.
L'avvento del sonoro incontrò una forte ostilità tra i cineasti sovietici, i quali temevano che il dialogo, più precisamente il parlato, avrebbe irrimediabilmente distrutto i risultati artistici raggiunti nell'epoca del muto. Un punto di vista più elastico si ebbe con Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Vsevolod Pudovkin e Grigorij Aleksandrov, i quali nel 1928 firmarono un testo teorico-programmatico sul cinema sonoro che chiamarono
Manifesto dell'asincronismo, in cui si denunciava lo sfruttamento, da parte dell'industria
cinematografica, del neonato sonoro per fini esclusivamente commerciali e si sosteneva una possibile evoluzione della nuova tecnica nell'impiego contrappuntistico, o secondo Michel Chion anempatico, del suono rispetto all'immagine. Secondo i tre russi il suono doveva essere inteso come elemento di montaggio, ovvero «assioma su cui si basa lo sviluppo del cinema»211 e componente in grado di risolvere problemi espressivi
irrisolvibili con i mezzi visivi, dichiarando che «solo l'impiego del suono in contrappunto con un pezzo di montaggio offre nuove possibilità di sviluppare e perfezionare il montaggio. […] Solo questo metodo di montaggio può produrre l'effetto voluto e, col tempo, porterà alla creazione di un nuovo contrappunto orchestrale tra le immagini visive e le immagini sonore. La nuova scoperta tecnica non è casuale nella storia del film, ma è lo sbocco naturale dell'avanguardia cinematografica. E, in virtù di questa scoperta, sarà possibile sormontare molti ostacoli altrimenti insuperabili»212.
Perché il suono venga utilizzato come un nuovo elemento del montaggio audiovisivo è necessario che esso sia impiegato in senso contrappuntistico, ovvero, come scritto nel manifesto, vi deve essere «la non coincidenza tra immagine visiva e immagine sonora»213, in quanto il sincronismo riduce il cinema ad una semplice
riproduzione del reale.
Vsevolod Pudovkin nel saggio L'attore nel film (1934) analizza il tema dell'asincronismo basandosi sull'esperienza di regista del suo primo film sonoro,
211 Rip. Pudovkin Vsevolod, La settima arte (1934), trad. it. Editori Riuniti, Roma 1974, p. 133. 212 Rip. Pudovkin Vsevolod, La settima arte (1934), trad. it. Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 134-135. 213 Il manifesto è citato interamente in Simeon Ennio, Per un pugno di note. Storia, teoria, estetica della
Dezertir (Il disertore, 1933) e offre un'interpretazione “pratica” del concetto di
asincronismo applicato alla musica. Prendendo in analisi la sequenza del film in cui una dimostrazione di lavoratori berlinesi viene sciolta con violenza dalla polizia e si vede, poco dopo tra la folla, levarsi una bandiera rossa - simbolo della vittoria morale della dimostrazione - Pudovkin disse:
Se la si considera dal punto di vista dell'effetto emotivo, la sequenza può essere rappresentata da una curva complessa, con un'ascensione iniziale, una relativa caduta al centro, un'oscillazione, una profonda caduta e una nuova ascensione finale.
Alle immagini è raccordato l'andamento del sonoro. Io avevo stabilito di impiegare, nel sonoro, soltanto il commento musicale. […] Se avessi voluto associare la musica alla scena […] il sonoro avrebbe avuto all'incirca il seguente andamento: valzer, durante la visione delle strade di Berlino; una marcia allegra, durante l'avanzare impetuoso della dimostrazione; quindi un tema di allarme e di pericolo all'arrivo della polizia; questo tema si dilata, quando la bandiera cade; fanfare di vittoria quando la bandiera si risolleva; la musica prende toni di accorata disperazione, mentre gli operai sono sconfitti e, di nuovo, s'innalza in accordi trionfali, quando la bandiera riappare al di sopra della folla.
D'accordo con il musicista Šaporin, decisi di seguire un'altra strada. La musica fu scritta, diretta e incisa, per tutto l'episodio, come un unico brano di marcia, sicura e vittoriosa, con un crescendo ininterrotto, dal principio alla fine. […] Nella seconda linea, costruita dalla colonna sonora, noi abbiamo cercato di tradurre la valutazione soggettiva dello spettatore, colpito dalla rappresentazione visiva di quella scena. […] Quando appare la bandiera dei dimostranti, la musica si fa sempre più chiaramente comprensibile e, sul suo ritmo, lo spettatore segue la massa dei lavoratori, che marciano per le grandi strade ormai deserte. Accorre la polizia: ha inizio la battaglia, ma la musica impetuosa, come lo spirito rivoluzionario che anima i lavoratori, trascina lo spettatore, sale di tono; la bandiera cade e la musica ha un ritmo crescente; i lavoratori sono sconfitti, e la musica poggia su note alte. Nel finale il riemergere della bandiera sulla folla coincide con una “coda” musicale di eccezionale vigore emotivo e conclude con tale intensità l'episodio e il film214.
Dallo scritto si evince che Pudovkin, oltre all'esemplificazione su un'ipotetica soluzione “sincronica” di Dezertir, utilizza il concetto di montaggio sonoro, derivante dal Manifesto dell'asincronismo, come una serie di operazioni attuate in campo sonoro e che sono contemporanee al processo di montaggio delle immagini.
214 Pudovkin Vsevolod, L'attore nel film, trad. it. (a cura di) Umberto Brabaro, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1947, pp.208-209.
«Si può affermare che l'importanza data all'uso contrappuntistico del sonoro da parte dei tre registi russi fece emergere nel corso degli anni la necessità di uno studio e di una pratica rivolte alle nuove forme espressive legate a tale scoperta tecnologica, senza per questo negare la possibilità, utilizzata anche dai tre registi, di un suo uso sincrono tra immagini e sonoro»215.
Tornando agli scritti teorici e procedendo in senso cronologico, sul versante opposto Rudolf Arnheim esprime la totale convinzione per cui il cinema si sarebbe elevato ad una forma artistica solo nel periodo muto216. Nel suo libro Film als Kunst
(1932) nega al cinema sonoro qualsiasi valore artistico, in quanto avvicinandosi al naturalismo e al realismo, esso annulla i caratteri peculiari del cinema, ovvero gli elementi figurativi, come linguaggio espressivo autonomo e quindi l'artisticità del cinema: «fu precisamente l'assenza del linguaggio che permise al cinema muto di elaborare uno stile proprio, in grado di condensare la situazione drammatica»217. Inoltre
Arnheim riteneva che lo spettatore provasse un forte senso di disagio di fronte ad un film parlato, in quanto la sua attenzione veniva turbata, perché attratta verso due elementi sensoriali opposti, quello dell'immagine e quello del suono, i quali si sforzano di esprimere in un duplice modo l'identico soggetto ma, allo stesso tempo, entrambe sono continuamente disturbate l'una dall'altra218.
Béla Balàzs approfondisce l'argomento dell'arte cinematografica in Der Geist des
Films (1930), libro nel quale elabora la teoria del fonofilm che pone le basi per un uso
corretto del sonoro in funzione all'immagine e al montaggio: «il suono non sarà solo un compimento dell'immagine, ma diverrà anche oggetto, causa e fase dinamica dell'azione» ossia «elemento drammatico del film»219. Balàzs ritiene che il suono possa
anticipare o prolungare una sensazione, un'emozione solamente attraverso l'asincronismo, la dissociazione tra suono e immagine, trasformandosi così in elemento creativo e innovativo.
215 Dottorini Daniele (a cura di), Sincronismo e asincronismo, Enciclopedia del cinema Treccani.it, 2004, http://www.treccani.it/enciclopedia/sincronismo-e-asincronismo_%28Enciclopedia_del_Cinema%29/ (ultima visualizzazione: 11 gennaio 2015).
216 Citato in Miceli Sergio, Musica per film. Storia, estetica. Analisi, tipologie, Lim Editrice, Milano 2009, p.511.
217 Arnheim Rudolf, Film come arte, trad. ita., Il Saggiatore, Milano 1963, p.219.
218 Concetto espresso la prima volta nel 1938 nel saggio “Nuovo Laocoonte”: le componenti artistiche e
il cinema sonoro.
Quasi vent'anni dopo, in Der Film. Wender und Wesen einer neuen Kunst (1949), Balázs ritorna sui temi cardine del suo pensiero e senza scindere il muto dal sonoro analizza ogni componente che contribuisce a rendere il cinema un’arte nuova: il colore, il montaggio ed infine tratta degli esiti deludenti del filmopera220 e del suo potenziale e
rivaluta la musica da film:
Fin dagli inizi del cinema si osservò questo fatto: la musica riesce a fondersi meglio con il film che con il teatro. Essa appartiene al meccanismo stesso di ogni inquadratura, come la luce e l'ombra. La musica fu necessaria al film muto, lo è stata e lo è per il film sonoro. […] la musica nel film non svolge solo una funzione artistica, ma dà anche, alle immagini cinematografiche, una espressione naturale e viva: rende più significative ed efficaci (nel senso dell'atmosfera) le immagini stesse, e crea in un certo senso la terza dimensione. La musica rappresenta il sottofondo, la prospettiva acustica. Quando diviene fine a se stessa, e perciò si stacca dall'immagine, distrugge di quest'immagine l'espressione e la vita221.
Il conferire all'immagine filmica una terza dimensione verrà poi ripreso da Pier Paolo Pasolini in uno scritto del 1973, richiestogli da Morricone per accompagnare un'antologia discografica222.
Altro testo di rilievo è quello di Kurt London, intitolato Film Music223 (1936), nel
quale afferma che ci fu solo una motivazione per la nascita della musica da film, essa «iniziò non come risultato di un impulso artistico, ma dal terribile bisogno di qualche cosa che coprisse il rumore del proiettore», poiché «il noioso rumore disturbava parecchio il godimento visivo. Istintivamente, i proprietari di cinematografi ricorsero alla musica, e fu la via giusta, impiegando un suono piacevole per neutralizzarne uno spiacevole»224. Prende poi le distanze dall'uso e dall'abuso del leitmotiv, ritenendo che
questa tecnica richiedesse ulteriori sviluppi in quanto risultava difficile adattarla alla frammentazione filmica, affermando poi come il leitmotiv non dovesse mai diventare un principio strutturante primario nella composizione della musica da film; con questa
220 Secondo Balàzs si tratta di un'opera ideata e composta esclusivamente per il cinema. (Il film.
Evoluzione ed essenza di un'arte nuova, Einaudi, Torino 2002, p.302)
221 Balàzs Béla, Il film. Evoluzione ed essenza di un'arte nuova, Einaudi, Torino 1975, pp.327-328. 222 Il testo è stato riprodotto in Bertini Antonio, Teoria e tecnica del film in Pasolini, Bulzoni, Roma
1979.
223 London Kurt, Film Music, Faber & Faber, Londra 1936.
224 Citato in Rondolino Gianni, Cinema e musica. Breve storia della musica cinematografica, Utet Università, Torino 1991, p.20.
affermazione London affronta quello che sarebbe divenuto uno dei temi ricorrenti del dibattito successivo225.
Dal secondo dopoguerra si registrò un notevole incremento di contributi teorici, a partire dal trattato del filosofo Theodor Wiesengrund Adorno e del compositore Hanns Eisler Komposition für den Film226 (1947), la cui risonanza risulta oggi sproporzionata
rispetto ai suoi meriti reali, poiché secondo Sergio Miceli il bilancio critico ed estetico effettuato dai due autori appare condizionato da una visione riduttiva del cinema a causa anche delle due personalità degli autori molto diverse e talvolta contrastanti227. Dal testo
emerge soprattutto il disappunto nei confronti del sistema produttivo hollywoodiano, incentrato sulla produzione di film stereotipati in generi per scopi puramente commerciali con la conseguenza che anche la musica si basa su una prassi compositiva stereotipata, nella quale il leitmotiv svolge la funzione di semplice accompagnamento alle immagini. Adorno ed Eisler sostengono che per un efficace e duraturo rinnovamento della musica da film la soluzione sia sviluppare nuovi linguaggi ed esprimono l'idea del contrappunto drammaturgico, ovvero di una musica capace di esprimere le emozioni ed è in grado di evidenziare il senso della narrazione, soprattutto nel momento in cui essa viene occultata dalle immagini.
Con il saggio Estetyka muzyki filmowej228 (1964) Zofia Lissa pone sullo stesso
piano le componenti visive e sonore di un film. La concezione unitaria del film sonoro sostenuta da Lissa deriva dall'idea che in un'opera d'arte la sintesi sia una totalità delle diverse forme espressive, perciò la componente musicale assume all'interno dell'immagine filmica una temporalità diversa rispetto a quella tradizionale, in quanto essa è condizionata dalle leggi costruttive dei piani visivi. Lissa giunge alla conclusione che un giudizio sulla componente musicale non può essere espresso in sé, ma bensì bisogna considerare altre proprietà che essa riceve nel contesto, al punto da considerare la musica da film come un genere che, in quanto tale, risponderà a leggi diverse rispetto
225 Adorno-Eisler criticano l'uso indiscriminato e semplicistico del leitmotiv; il dibattito vedrà in causa anche la musicologa Zofia Lissa che invece ritiene possibile l'uso a patto che sia pertinente e che abbia un significato profondo.
226 La musica per film, trad. it., Newton Compton, Roma 1975.
227 Secondo Sergio Miceli, Musica e cinema nella cultura del Novecento, Sansoni, Milano 2000, pp.537- 541.
228 Lissa Sofia, Estetica della musica per film, PWM, Cracovia 1964. Di supporto al testo, in quanto le uniche versioni disponibili sono in lingua polacca e tedesca, è stata impiegata la dettagliata analisi di Miceli Sergio, op. cit., pp.547-552.
a quelle della musica nata autonomamente229. In Struktur der auditiven Schicht im
Tonfilm230 sostiene la suddivisione in due piani distinti della musica per film, i quali
emergono nel momento in cui la musica, nell'atto di trasmettere il proprio piano sonoro, rimanda l'attenzione dello spettatore in un qualcosa di diverso da sé, ovvero un altro piano extra-musicale. Inoltre la musica, anche dal punto di vista temporale, è duplice in quanto essa appartiene sia al tempo della narrazione filmica, sia al tempo dello spettatore.
Lissa conclude il suo saggio elencando le undici funzioni drammaturgico-musicali della musica da film231:
1. musica come sottolineatura di movimenti, la quale definisce eventi dinamici in cui enfatizza il ritmo visivo (ad esempio un cavallo in corsa);
2. musica come stilizzazione musicale di rumori reali: definisce una funzione imitativa e onomatopeica in cui la componente musicale assume i caratteri sonori di eventi naturali (vento, pioggia), meccanici (macchinari) o di atti e segni prodotti da esseri viventi (passi);
3. musica come rappresentazione dello spazio mostrato: definisce ambiti geografici ed etnici o sociali (contesto militare, religioso);
4. musica come rappresentazione del tempo mostrato: definisce ambiti epocali dalla preistoria al futuro fantascientifico;
5. musica come commento nel film: definisce la musica extradiegetica che si contrappone all'accompagnamento, interpreta con mezzi musicali in modo psicologicamente coerente gli eventi filmici;
6. musica nel suo ruolo naturale: definisce interventi in cui la sorgente musicale è visibile all'interno della scena (musica diegetica);
7. musica come mezzo di espressione di esperienze psichiche: definisce interventi musicali di struttura e durata variabili, intesi a dare corpo alle emozioni dei personaggi;
229 Miceli Sergio, op. cit., p.548.
230 “Struttura della dimensione uditiva nel cinema sonoro” in Lissa Sofia, Estetica della musica per film, PWM, Cracovia, 1964.
231 I commenti esemplificativi, qui parzialmente citati, sono la personale interpretazione di Miceli Sergio, op. cit., pp.549-551.
8. musica come base della immedesimazione: assume una funzione segnaletica nei confronti dello spettatore, in quanto detiene una posizione privilegiata e consapevole degli eventi;
9. musica come simbolo: la funzione è analoga alla precedente, essendo rivolta allo