CINEMA E PITTURA: PASSION
2.3 La pittura nella storia del cinema
2.3.10 Modelli pittorici nel cinema d'autore
Paolo Bertetto offre una definizione di cinema d'autore, descrivendo gli elementi che uniscono questo gruppo di cineasti che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nel
129 Pellanda Marina, Tra pittura e cinema: la storia interminabile delle immagini, Cavallino, Venezia 2007, p.117.
periodo che va dall'esaurirsi del neorealismo italiano alla nascita delle nouvelle vagues, sono emersi per le loro opere che rispecchiano la personalità del loro autore. Gli elementi individuati sono:
Il lavoro del regista si estende a tutte le fasi di lavorazione del film […] con una particolare attenzione al momento della sceneggiatura che spesso è da questi firmata o co-firmata; i film d'autore si caratterizzano per una complessità di contenuti, spesso di non facile lettura, che liberano il cinema di ogni residuo commerciale, facendone del film un oggetto culturale […]; anche sul piano dello stile, i film d'autore si caratterizzano per una particolare originalità espressiva […] che muove il cinema nell'ambito di territori inesplorati, al di fuori di ambiti di rappresentazione che hanno dominato il cinema classico; la complessità dei contenuti e l'originalità delle forme espressive impone un nuovo tipo di spettatore, la cui funzione principale […] è legata ad un accrescimento culturale […]; il film d'autore è tale anche perché inserito in un'opera complessiva, quella formata dagli altri film dello stesso autore, di cui riecheggia e ripropone forme e contenuti che appunto lo rendono riconoscibile e identificabile.130
Queste definizioni ci accompagnano ora all'introduzione di alcuni esempi di cinema d'autore in Italia e all'estero. L'istanza “autoriale” acquistò negli anni che seguirono la Seconda guerra mondiale un valore nuovo e di notevole importanza, nata come reazione al silenzio imposto dal regime sulle questioni culturali, sociali e politiche. Il cinema d'autore diventò così il simbolo di una recuperata capacità critica, di una rinnovata attività interpretativa, dopo un ventennio di sottomissione ad una regia intesa come mestiere al servizio dei regimi. Dopo la Seconda guerra mondiale, lasciate la povertà e le dittature alle spalle, l'Europa iniziò la sua ripresa economica, politica e culturale. Un chiaro segnale di questa ripresa in atto fu data sia dagli artisti che dai cineasti, i quali intuirono la possibilità di continuare le sperimentazioni iniziate dalle avanguardie storiche nei primi decenni del secolo. «Emerse così un cinema d'arte internazionale che spesso rifiutava le tradizioni popolari per identificarsi con la sperimentazione e l'innovazione di “arti alte” come letteratura, musica, pittura e teatro. Il film artistico del Dopoguerra segna, per certi aspetti, il ritorno degli impulsi formali degli anni Venti, già esplorati dagli impressionisti, dall'Espressionismo tedesco e dalla scuola del montaggio sovietico. A questi ultimi tre movimenti alcuni cineasti del
130 Bertetto Paolo (a cura di), Introduzione alla storia del cinema: autori, film, correnti, Utet, Torino 2008, p.186.
Dopoguerra continuarono a farne riferimento; per esempio il neorealismo italiano seguiva i cineasti sovietici nella scelta di attori non professionisti in ruoli importanti, mentre alcuni registi scandinavi mostravano inclinazioni espressioniste»131. In senso
generale, i cineasti del cinema moderno del Dopoguerra cercarono di essere il più possibile fedeli alla realtà di quanto non fecero i loro predecessori delle avanguardie storiche; impegnandosi a denunciare gli orrori della guerra, delle dittature e dell'antagonismo sociale. Per accompagnare questo “realismo obiettivo”, i cineasti usarono un tipo di narrazione più aperta, dove spesso i nodi narrativi non venivano sciolti ed in genere il commento narrativo veniva lasciato al fruitore finale, nonché lo spettatore, creando un senso di ambiguità per cui le interpretazioni rimanevano molto spesso aperte.
Queste caratteristiche si ritrovano nella “corrente” del Neorealismo, che si sviluppò in Italia tra il 1945 e il 1951132. Il neorealismo apportò soluzioni narrative e
stilistiche che ebbero grande successo nel cinema moderno internazionale: dalle riprese in esterni con doppiaggio in studio, all'uso di attori non professionisti, alle ellissi temporali, ai finali aperti ed infine alle trame fondate sulla casualità133. Parleremo ora di
alcuni registi che in qualche modo sono stati toccati ed influenzati dalla corrente neorealista.
Trattiamo ora il regista che con il film Ossessione (1943) ha decretato la nascita del filone neorealista del cinema italiano. Parliamo di Visconti ed in particolare del film
Senso (1954), ponendo particolare attenzione agli aspetti figurativi della sua opera, nella
quale emerge da parte del regista la necessità di storicizzare la rappresentazione, questo avviene con un lavoro di ricerca sostenuto da fonti pittoriche e storiche di fine Ottocento. Il primo riferimento alla pittura viene rappresentato nella scena in cui la protagonista del film, Livia Serpieri, va a fare visita al suo amante Franz Mahler, ufficiale austriaco, negli alloggi dei soldati: per l'ambientazione della camerata Visconti trae ispirazione dal dipinto La toelette del mattino (1898) di Telemaco Signorini. In
131 Bordwell David, Thompson Kristin, Storia del cinema e dei film. Dal dopoguerra a oggi, Editrice Il Castoro, Milano 2003, p.77.
132 Il movimento si sviluppò intorno a un circolo di critici cinematografici che ruotavano attorno alla rivista Cinema, fra cui Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Gianni Puccini, Giuseppe De Santis e Pietro Ingrao.
133 Si veda Roma città aperta (1954) di Roberto Rossellini; Ladri di biciclette (1948) di Vittorio de Sica;
qualche scena successiva, che vede Livia apprendere da un giornalaio dello scoppio della Terza Guerra d'Indipendenza e rifugiarsi così a Palazzo Serpieri, Visconti trae come modello di riferimento per i costumi della scena dal quadro del pittore macchiaiolo Silvestro Lega, La visita (1868). In seguito, dopo vari tentativi di allontanamento da parte di Franz, Livia cede alle lusinghe dell'ufficiale e si abbandona tra le sue braccia, i due amanti si baciano all'interno della villa di Aldeno in una scena dove appare la ricostruzione esatta de Il bacio (1859) di Francesco Hayez. Il significato della scena sembra però in contrapposizione con il quadro: nel film si celebra il momentaneo ricongiungimento della coppia; mentre il dipinto di Hayez è dominato dalla figura bramosa che bacia la sua dama prima di una partenza, che viene motivata da Hayez come un'allusione all'esilio politico. Per le scene della battaglia di Custoza, Visconti trae ispirazione per l'ambientazione dalle opere dell'artista macchiaiolo Giovanni Fattori, come L'Accampamento militare (1861) e Il campo italiano durante la
battaglia di Magenta (1862). Nonostante i dipinti siano a soggetto militare, Visconti
decide di porre l'attenzione non sulle imprese militari, ma sulle sensazioni e le emozioni dei soldati. Infine, al dipinto di Telemaco Signorini intitolato Non potendo aspettare (La
lettera) del 1867, è ispirata la scena in cui Livia raggiunge Franz nel suo appartamento;
dal suddetto quadro viene ripreso il colore rosso vivo della parete e i dipinti affissi ad esso, mentre annulla le gesta dei personaggi: se nel dipinto vi è una donna intenta a scrivere una lettera su un tavolino, nel film accanto al tavolino vi è Livia, la quale verrà umiliata da Franz. Ricordiamo poi il film Il Gattopardo (1963), nel quale i riferimenti sono rivolti ancora una volta ai macchiaioli italiani di fine Ottocento: da L'elemosina di Lega alla Dama al giardino di d'Ancona per il richiamo alle figure femminili; da
Pescivendole a Lerici di Signorini a La filatrice di Cabianca utilizzati per la sequenza
di Palermo.
Nell'opera cinematografica del regista Michelangelo Antonioni è riscontrabile un nesso con l'arte Informale in quanto, come per la corrente, anche per il regista la materia segna in modo indelebile il suo stile. Antonioni trasforma la natura e i paesaggi in tessiture che si possono vedere nei cieli vuoti e nelle vedute urbane prive di presenza umana dell'Eclisse (1962); o nelle sabbie di Professione: reporter (1975); o ancora, nelle nebbie di Identificazione di una donna (1982). «I punti in comune tra l'Informale e
il cinema di Antonioni sono l'appartenenza alla grande linea fenomenologica del Novecento, al suo immanentismo radicale come fondazione dell'interrogativo epistemologico e rifiuto della metafisica; la conseguente domanda epistemologica sul rapporto tra materia e forma; radicalità del confronto con la materia per la costruzione di nuove significazioni; rapporto problematico con la memoria e con la storia; improvvisazione e ispirazione tratta direttamente dal confronto con i materiali»134.
L'informale ha un'influenza anche in Deserto rosso (1964), dove il colore diviene parte predominate dell'immagine filmica ed è motivo di riflessione sullo stato d'animo dei personaggi, lo spaesamento di Giuliana viene difatti espresso attraverso la resa cromatica dell'ambiente industriale in cui vive, dove smalti colorati ricoprono natura ed edifici, le inquadrature inoltre appaiono simili per composizioni e colori ai quadri di Morandi. In Deserto rosso vi sono anche numerose inquadrature composte da fasce rosse o blu, tipico richiamo all'arte Informale e alle opere di Rothko o di Lucio Fontana. «Quello che è stato fatto in pittura da Piero della Francesca fino a Pollock (per citare altri due artisti cari al regista), Antonioni decide di farlo nel cinema: ovvero creare nuove immagini mai viste prima che vadano oltre la percezione razionale»135.
L'impulso neorealista trovò uno sviluppo in una forma di modernismo radicale delle opere di Pier Paolo Pasolini, come in Accattone (1961) o Mamma Roma (1962), ma da cui ben presto ne prese le distanze per abbracciare l'idea di evocare e citare grandi opere del passato. Nei primi film di Pasolini vi sono composizioni che ricordano dipinti rinascimentali e vi è l'uso di composizioni musicali classiche accostate a scene girate per strada. Con Il Decameron (1971) Pasolini ricrea Il Giudizio Universale (1304- 1306) di Giotto e ridipinge alcuni particolari della Storia della vera croce di Piero della Francesca per le sequenze de Il vangelo secondo Matteo (1964). Da non dimenticare è la citazione al Cristo morto (1485) del Mantegna, più volte citato in numerosi altri film da Bronenosec Potëmkin (1926) di Ejzenštejn fino a 2001: A Space Odyssey (2001:
Odissea nello spazio, 1968) di Kubrik, che viene riprodotto nella scena finale di Mamma Roma (1962).
Pier Paolo Pasolini è colui che con La Ricotta (del 1963 ed episodio tratto dal film
134 De Vincenti Giorgio, Il concetto di modernità nel cinema, Lampi di Stampa, Milano 2000, p.212. 135 Moscariello Angelo, Cinema e pittura. Dall'effetto cinema nell'arte figurativa alla cinepittura
RoGoPaG) ricostruisce con i tableaux vivants la Deposizione di Cristo (1521) di Rosso
Fiorentino e la Deposizione (1526-28) del Pontormo, «riproducendo i quadri in una sequenza dal montaggio ritmico sempre più serrato, riprendendo le figure in piani e particolari che comprimono la profondità di campo dell'immagine ed esaltano la qualità pittorica delle linee, delle forme e dei colori»136. Il film tratta di un regista (Orson
Welles) occupato nelle riprese di un film sulla Passione di Cristo, passione che incrocia in un certo senso anche la vita di Stracci, che interpreta Gesù, il quale morirà anch'egli in croce. Non è certamente un caso che molti critici ritengano come lo stesso Godard (il quale partecipa al film con l'episodio Le nouveau monde [Il nuovo mondo]) abbia preso ispirazione per il suo film Passion dalla “passione” di Pasolini. In Passion Godard fa pronunciare la stessa frase che Stracci disse in La Ricotta, che è l'invocazione al Cristo: «Quando sarai nel Regno dei Cieli ricordami al Padre tuo», forse in omaggio al regista e alla sua passione di Cristo.
Gli inizi cinematografici di Bernardo Bertolucci si ebbero nei primi anni Sessanta, quando gli venne proposto il lavoro di assistente nel primo film diretto da Pier Paolo Pasolini, Accattone (1961). Il grande successo venne raggiunto da Bertolucci con il film
Ultimo tango a Parigi (1972), tralasciando ora lo scandalo provocato dal film in quegli
anni, risulta interessante soffermarci sugli indizi pittorici che il regista ha inserito nei titoli di testa. Mentre compaiono i credits, scritte in bianco su sfondo nero, nella parte che rimane disponibile sulla sinistra dello schermo emerge un quadro di Francis Bacon,
Lucien Freud (Double portrait of Lucien Freud and Frank Auerbach) del 1964,
raffigurante un uomo solitario sdraiato su un letto disfatto. Dopo qualche minuto il quadro scompare per lasciare posto, questa volta nella parte destra dello schermo, ad un altro quadro di Bacon, Study for portrait (Isabel Rawsthorne) (1964), che rappresenta questa volta una donna, sempre sola e seduta nel centro di una stanza. Appena prima dell'incipit i due ritratti di Bacon si affiancano sullo schermo; si apre la prima scena dove viene mostrato il protagonista maschile Paul (Marlon Brando), che vaga per la città e la protagonista femminile Jane (Maria Schneider), che sopraggiunge con una camminata veloce. «Bertolucci crea a partire dai quadri di Bacon un'isotopia tematica e figurativa fondamentale nel film: l'incontro di un uomo e di una donna che vengono
connotati fin dai ritratti nelle loro rispettive solitudini»137. «Oltre alle citazioni dirette
dei quadri, Ultimo tango a Parigi presenta anche una forte continuità valoriale, tematica e figurativa con l'opera di Bacon»138. «Ad esempio, Bertolucci offre una sua
interpretazione alla poetica del pittore intessendo il film di tematiche care al pittore, come l'autodistruzione, la solitudine e l'incomprensione assieme ad un vitalismo di passioni e corpi quasi “in decomposizione”»139. Nel film, questo si ottiene soprattutto
all'interno dell'appartamento dei due amanti attraverso un isolamento delle figure nello spazio che si muovono su campiture di colore vivido e saturo, come il rosso cupo della moquette, avvolti da un luce naturale che trasmette riflessi dai toni dell'arancione. Gli spazi esterni all'appartamento sono luoghi di delimitazione e nitidezza delle forme avvolti da colori desaturati, da una luce artificiale e dai cromatismi bluastri.
Qualche anno dopo, Bertoluccci pone un forte richiamo alla pittura con
Novecento (1976), nel quale riproduce un'icona da chiunque riconoscibile, Il quarto Stato (1901) di Pelizza da Volpedo ponendolo come sfondo ai titoli di testa. La
disposizione dei contadini nel dipinto dà l'impressione di una rappresentazione drammatica: una chiamata alla ribalta del trio di testa, nel quale il braccio teso della donna invita all'applauso. Bertolucci la contrappone alla scena iniziale dove una lenta panoramica segue un partigiano che attraversa un prato prima di essere ucciso. «La massa rappresentata dai contadini nel dipinto viene messa in contrasto con l'individuo, solo e disarmato»140.
Per quanto concerne il cinema d'autore straniero, è doveroso trattare di Stanley Kubrick, il quale ebbe un rapporto molto stretto con le arti figurative. «Secondo il regista solo l'arte è l'unico repertorio affidabile per chi desidera ricreare immagini di un passato lontano»141. Le ricerche artistiche e culturali condotte da Kubrick si
manifestano, con una certa frequenza, nei suoi film attraverso l'uso di citazioni pittoriche. Questo processo ci ricorda il già citato Visconti per l’attenzione che i due registi hanno in comune verso un'autenticità meticolosa delle ricostruzioni di ambienti e
137 Dusi Nicola, Il cinema come traduzione, Utet Università, Torino 2003, p.269. 138 Dusi Nicola, Il cinema come traduzione, Utet Università, Torino 2003, p.271. 139 Casetti Francesco, Bernardo Bertolucci, Il Castoro, Milano 1975, pp.77-86.
140 Kline Thomas Jefferson , I film di Bernardo Bertolucci: cinema e psicanalisi, Gremese, Roma 1993, p.108.
situazioni. Kubrick però se ne differenzia in quanto il suo lavoro non si basa sull'eredità neorealista; il cineasta tende ad utilizzare il potenziale evocativo dell’arte per manifestare l'indecifrabilità che a volte il mondo del cinema rappresenta.
In 2001: A Space Odyssey (1968) Kubrick usufruisce della caratteristica primaria della pittura, ovvero il colore, con l'unico scopo di eludere e di dare rappresentazioni realistiche agli elementi filmici, ma fa assumere ad essi diversi significati. Ad esempio, i paesaggi richiamano la serie delle Dune di Mondrian e i loro colori mentali, mentre le vedute di Friedrich, caratterizzate da toni chiari, vengono usufruite per i paesaggi desertificati del film. Le Skylight series del pittore pop Allen Jones riconducono i corridoi di luce; mentre l'Optical art viene evocata nelle sequenze in cui la navicella viaggia nello spazio.
Una rivisitazione dell'iperrealismo pittorico e della pop art viene condotta da Kubrick con A Clockwork Orange (Arancia meccanica, 1971), nel quale vi è un richiamo alle ossessioni sessuali, aggressive e consumistiche tipiche dell'uomo e del mondo contemporaneo. Lo stesso film può essere associato ad una vera e propria opera pop per i colori vivaci e antinaturalistici. Lo scopo è quello di sottolineare le sensazioni e l'emotività del protagonista Alex, molto spesso rese dal linguaggio pubblicitario: ad esempio l’occhio abbondantemente truccato del ragazzo, che Kubrick spesso pone in risalto, sembra la pubblicità di un rimmel. Le citazioni pittoriche all'interno dell'opera sono molteplici, si possono riconoscere alcuni richiami alla scultura di Henry Moore, ai lavori di Allen Jones e a quelli di Segal; in un appartamento si riconoscono opere di arte contemporanea come il fallo di gesso, associabile a Princess di Brancusi, e un dipinto che richiama Great american nude di Wesselmann.
L'opera cinematografica che può essere considerata come un quadro del Settecento è Barry Lyndon (1975), in quanto nel film vi è una ricostruzione tramite
tableaux vivants di opere di pittori quali Reynolds, Gainsborough, Hogarth, Stubbs,
Füssli, Longhi e Traversi. Nel film, ogni elemento è realizzato con lo scopo di ricostruire ambienti, costumi ed atmosfere avendo come unica fonte d'ispirazione i quadri del Settecento.
Vi è un rapporto tra le inquadrature del regista Wim Wenders e i quadri di Edward Hopper, rapporto che si nota sia per scelta del taglio compositivo sia per una scelta di
luce che conduce ad un iperrealismo, di cui entrambi sono accomunati. La malinconia, tipica dei quadri di Hopper, che esprime la solitudine dell'uomo nell'ambiente urbano, la si trova anche in numerose inquadrature di Wenders. Così si riconosce perfettamente l'angolo urbano della tavola calda dipinta in Nighthawks (1942) nel film Don't Come
Knocking (Non bussare alla mia porta, 2005) in un'inquadratura dove il protagonista è
ripreso appoggiato ad un lampione su un marciapiede deserto e davanti ad un bar. Werner Herzog in Nosferatu: Phantom der Nacht (Nosferatu, il principe della
notte, 1979), rifacimento del celebre Nosferatu di Murnau, richiama nelle inquadrature
la pittura romantica e il gusto del sublime di Friedrich, autore di paesaggi che suscitano contemplazione nell'osservatore e che creano un senso di impotenza dell'uomo di fronte alla magnificenza della natura. Il dipinto Monaco in riva al mare (1808) viene «citato nella scena in cui Lucy si trova anch'essa di fronte al mare in una spiaggia deserta; ancora il Viandante davanti a un mare di nebbia (1818) è rievocato nella sequenza in cui il protagonista contempla la valle al tramonto dall'alto di un monte»142.
Infine, anche l'autore dei film western americani più conosciuti, John Ford, non è rimasto impassibile all'effetto della pittura: nel film She Wore a Yellow Ribbon (I
cavalieri del Nord-Ovest, 1949), in omaggio alla cavalleria Usa, le sequenze delle
cariche richiamano composizioni spaziali del pittore Frederic Remington. Anche nei film successivi Ford sceglie di attingere dalle opere dei pittori che, a fine Ottocento, avevano scelto di rappresentare la conquista del West attraverso enormi paesaggi americani, accompagnati sullo sfondo dagli uomini che hanno costruito la storia degli Stati Uniti.
142 Moscariello Angelo, Cinema e pittura. Dall'effetto cinema nell'arte figurativa alla cinepittura