ammettere l’attualità delle teorie del media malaise che pippa norris dava per superate all’alba del XXi secolo (norris 2000). tuttavia, più di un ele-mento contenuto nelle riflessioni sopra esposte sembra giustificare un ten-tativo di attualizzazione di quell’approccio per cui la comune routine delle campagne partitiche e dei mezzi di informazione ostacolerebbe l’impegno civico, nelle sue componenti fondamentali: la conoscenza delle questioni pubbliche, la fiducia nel governo e l’attivismo politico.
È possibile individuare numerosi indizi che giustifichino una simile ipotesi, a partire da un corposo rapporto che intende offrire una fotografia sufficientemente aggiornata delle relazioni tra italiani e politica e più in generale dell’interazione tra i cambiamenti avvenuti nel sistema dei valori, nel sistema politico e, “in piccola parte”, nel sistema mediale italiano nella formazione di uno specifico «civis italicus» (maraffi 2007).
se il tessuto civile della società italiana risulta complessivamente mol-to diverso dal modello descritmol-to nei primi anni sessanta (almond, Verba 1963) e mai considerato completamente superato, non tutti i caratteri della via italiana alla secolarizzazione politica e culturale hanno contribuito a realizzare la «mobilitazione cognitiva» (inglehart 1983; 1997) che ci si sa-rebbe aspettata in un paese in cui i livelli di istruzione sono cresciuti in mo-do lineare negli ultimi quarant’anni. l’andamento altalenante dell’interesse per la politica e la partecipazione intermittente ai rituali del voto sembrano piuttosto essere stati influenzati da altri tipi di variabili: momenti di par-ticolare effervescenza delle istituzioni politiche, il crollo di un sistema e la rifondazione dei soggetti politici in campo (il passaggio dalla prima alla seconda repubblica); elementi contingenti quali temi e leader di una sin-gola, drammatizzata, competizione (pasquino 2002); una configurazione di sentimenti suscitati dalla politica il cui saldo sembra essere complessi-vamente negativo. se, infatti, la quota di soggetti che dichiara di provare sentimenti positivi (interesse, impegno, entusiasmo, passione) verso la po-litica si mantiene stabilmente intorno a un terzo degli intervistati, le mutate percezioni dei restanti due terzi svelano una realtà interessante: parallela-mente al diminuire di quanti provano distacco (indifferenza, noia) verso la politica, sono in forte crescita i soggetti nei quali essa suscita rabbia, disgu-sto o diffidenza, sentimenti quindi autenticamente negativi (Biorcio 2007).
Qual è il collegamento con la rappresentazione pubblica, e in partico-lar modo televisiva, del racconto della politica? le parole-chiave da tenere in considerazione sembrano essere due: fiducia e conflitto. in termini as-soluti, i sentimenti di fiducia interpersonale sembrano calare al crescere dell’esposizione alla tv e aumentare al crescere dell’esposizione ai quoti-diani (legnante 2007). un risultato difficilmente ancorabile alle dinamiche di rappresentazione televisiva della politica che gli studi considerati de-scrivono, ma che diventa maggiormente spiegabile nel momento in cui vie-ne collegato al livello di fiducia che caratterizza singole istituzioni (segatti, Vezzoni 2007). emerge allora che il grado di conflittualità che si manifesta in un’istituzione ha un ruolo importante nel determinare il livello di fidu-cia, il che spiega perché la presidenza della repubblica o l’unione europea ispirino maggiore fiducia rispetto al sistema dei partiti o alle associazio-ni sindacali. a questo punto una lettura sembra possibile: sono reputate degne di fiducia le istituzioni la cui rappresentazione resta lontana dal racconto della telepolitica, mentre quelle maggiormente ‘televisive’, che subiscono le dinamiche di enfatizzazione della conflittualità come unica chiave di lettura dei public affairs (Fanizza 2008), restano schiacciate dai co-dici della narrazione giornalistica post televisiva.
il panorama di studi statunitense, che non sembra aver mai del tutto ab-bandonato l’ipotesi del media malaise, ha sviluppato una chiave di lettura estremamente aderente all’ipotesi appena esposta. in particolare, negli ul-timi anni gli studi di richard Forgette e Jonathan s. morris rappresentano un modello interessante di analisi dell’impatto delle dinamiche di rappre-sentazione della politica in televisione e del grado di public cynism che può svilupparsi nei cittadini, e di riflesso sull’apprezzamento che questi ultimi esprimeranno sull’operato degli organi di governo e delle élite politiche. in una prima sperimentazione empirica (Forgette, morris 2006) i due autori mostrano a 135 studenti universitari alcune clip di dieci minuti tratte dal-la copertura che due programmi deldal-la cnn, Crossfire e Inside Politics, han-no fornito del discorso del presidente Bush sullo stato dell’unione. i due programmi in questione sono stati selezionati in quanto rappresentativi di due stili giornalistici molto diversi, alternativi, quasi opposti nel panorama dell’offerta televisiva via cavo statunitense. sulla base di una scala di civili-ty che caratterizza le interazioni degli attori sulla scena (essenzialmente gli scambi di battute dei politici ospiti, il modo in cui il conduttore tenta di ri-portare l’ordine o viceversa di rinfocolare il conflitto, il numero di volte che gli speeches si confondono, sovrapponendosi le voci dei parlanti), Crossfire viene caratterizzato come un talk show in cui domina un registro di high uncivil conflict, mentre Inside politics è piuttosto un talk a low uncivil conflict.
da notare come i due autori sembrano dare per scontato che nella rappresen-tazione telepolitica di un momento importante, di bilancio, di un mandato presidenziale, trovarsi di fronte ad una conversazione pienamente civile sia fuori questione, e il compito del ricercatore sia piuttosto quello di misurare il
grado di ‘inciviltà’ che entro un certo limite è organico al formato stesso del talk show ma che, superato quel limite, porta a distorcere le opinioni dei cit-tadini-spettatori. alla luce di questa consapevolezza, la distinzione tra i due formati consiste nella rilevazione di un minore o maggiore numero di uncivil lines, ossia di brani di discorso classificati come incivili a causa del contenuto di dichiarazioni negative su individui o istituzioni politiche o dell’interru-zione causata da un altro dei parlanti. sottoporre contenuti a diverso gra-do di uncivil conflict a studenti universitari, soggetti quindi che secongra-do la teoria della mobilitazione cognitiva sopra menzionata dovrebbero avere gli strumenti per decodificare i messaggi ad un livello tale da formarsi un’idea a prescindere dal clima in cui si svolge l’interazione tra gli ospiti delle due trasmissioni, è utile per cercare di dimostrare come la copertura di leader e istituzioni politiche ad opera di talk show incivili e carichi di conflitto causi valutazioni negative di tali leader e istituzioni, un minor sostegno ai parti-ti e alle isparti-tituzioni e una valutazione negaparti-tiva del sistema poliparti-tico nel suo complesso. tali ipotesi sembrano aver trovato riscontri fortemente positivi nella comparazione delle risposte degli studenti che erano stati sottoposti a Crossfire, i quali dimostravano di approvare in misura significativamente minore l’operato del congresso e del presidente, di credere che il congresso stesso fosse un’istituzione complessivamente inefficiente, e di avere un grado di fiducia sensibilmente inferiore nei confronti del congresso e del presidente rispetto a coloro i quali erano stati sottoposti alla visione della civile copertura dell’evento offerta da Inside Politics.
a rendere queste evidenze un trend preoccupante in termini di colti-vazione delle opinioni dei cittadini verso la politica, e di scoraggiamen-to alla partecipazione civica e politica, è la semplice constatazione che il conflitto è un elemento fondamentale della spettacolarizzazione della politica televisiva, il più semplice da creare e il più d’impatto nei con-fronti dei cosiddetti news grazers. ancora morris e Forgette (2007) forni-scono un valido ritratto delle caratteristiche sociodemografiche e delle abitudini di consumo di questi soggetti, che si autorappresentano come fruitori di programmi informativi in televisione ‘telecomando alla ma-no’, pronti a cambiare canale laddove emergano tematiche non di loro interesse. il news grazer, dunque, è un giovane adulto di età compresa tra i 18 e i 49 anni, il cui ricorso a fonti informative extra-televisive (quotidia-ni, settimanali, internet) non differisce sensibilmente da quello dei non-grazer. È un soggetto che fruisce frequentemente di canali televisivi via cavo (cnn, Fox news, msnBc), saltuariamente dell’offerta informativa dei grandi network (aBs, cBs, nBc) e delle emittenti locali, molto poco dell’offerta c-span. evita con particolare attenzione le hard news, ha dif-ficoltà ad individuare il partito maggiormente rappresentato alla House of Representatives, ma conosce i motivi per cui martha stewart è stata giudi-cata colpevole da una corte federale. un soggetto quindi che deve essere sedotto dal programma che ha davanti, per rinunciare ad esercitare una
libertà di scelta entro l’offerta di telepolitica che si risolve quasi in no-madismo informativo. che rifugge dai contesti più istituzionalizzati del dibattito politico e si rifugia nei ‘salotti’ che indulgono nel racconto delle vicende giudiziarie della star della tv accusata di insider trading e di aver mentito agli investigatori circa il suo ruolo nella vendita del consistente pacchetto azionario di una casa farmaceutica. che può essere attratto da un alto livello di ‘inciviltà’ del dibattito, e la cui scarsa partecipazione attraverso il voto (leggibile in modo particolarmente chiaro nella fascia d’età che va dai 18 ai 24 anni) sembra mettere in relazione la predilezione per una copertura conflittuale e public cynism oriented della scena pubbli-ca e il disimpegno politico del pubblico di massa.
pur in assenza di una precisa ipotesi di correlazione con lo sviluppo di un atteggiamento cinico e complessivamente sfiduciato nei confronti della politica e dei suoi rappresentanti, e di una prospettiva che metta in correla-zione tale assenza di fiducia con una percecorrela-zione di uno scarso senso di effi-cacia della propria azione politica e quindi con una scarsa propensione alla mobilitazione e alla partecipazione, alcuni tratti dell’analisi del grado di conflittualità delle trasmissioni di telepolitica appena descritte caratteriz-zano anche una parte (in apparenza minoritaria) della saggistica italiana.
ne fanno parte alcune analisi pubblicate su ComPol, che applicano meto-dologie diversificate all’analisi dell’offerta di telepolitica in campagna elet-torale. colombo e catellani (2006) propongono un’analisi semiotica della convivenza tra il rispetto delle regole e la messa in scena del conflitto in una singola puntata di Porta a Porta, definendo infine lo scontro come una deliberata e consentita rottura delle altrimenti rigide regole di etichetta del
‘salotto’ di raiuno allo scopo di aumentare la partecipazione emotiva dello spettatore. caniglia e mazzoni (2007) applicano i metodi dell’analisi della conversazione di matrice sacksiana per analizzare lo scontro tra Berlusconi e annunziata culminato con l’abbandono dello studio di In mezz’ora da par-te del premier nel marzo 2006.
come si vede, la pubblicistica italiana sembra concentrarsi unicamente sul versante dell’offerta di contenuti informativi ad alto grado di conflit-tualità, rilevando unicamente una connessione tra i momenti high conflict delle trasmissioni considerate e i picchi di attenzione del pubblico rilevati dall’auditel. pur in mancanza di supporti empirici, non sembra fuori luo-go ipotizzare che a simili meccanismi di drammatizzazione del racconto della telepolitica corrispondano effetti di amplificazione del public cynism analoghi a quelli osservati dai ricercatori d’oltreoceano.