l’utilità delle fotografie del rapporto tra tv, politica ed elettori che i diversi gruppi di ricerca e osservatori forniscono in corrispondenza di tornate elettorali successive è considerevolmente implementata dalla con-tinuità di queste analisi, che ripropongono metodologie d’indagine alta-mente comparabili, rendendo così possibile leggere i dati prodotti in una prospettiva diacronica.
il programma di ricerca Itanes sul comportamento elettorale e le opinioni politiche degli italiani, attivato presso l’istituto carlo cattaneo di Bologna, affida la riflessione sugli effetti della campagna elettorale, e in particolar modo di quella televisiva, di preferenza a Guido legnante. coerentemente con la tendenza alla iperpersonalizzazione del racconto della politica, l’unità d’analisi considerata è anzitutto rappresentata dai leader delle mag-giori coalizioni in campo: il valore aggiunto di un’analisi qualitativa sulle performances dei leader sta nella rilevazione della percezione del vincitore dei due Confronti tra leader (legnante 2006), e nella realizzazione di una sorta di indice di visibilità dei candidati premier, utile ad operare una com-parazione con i dati della campagna elettorale precedente (legnante, sani 2008). nelle analisi prodotte dai gruppi di ricerca di perugia e roma – acco-munati peraltro dalla produzione di pubblicazioni confezionate a una cer-ta discer-tanza dalla competizione elettorale – la scena della telepolitica viene invece spostata sugli studi dei programmi di approfondimento. i risultati delle indagini convergono su molti punti: nonostante la scarsa innovazio-ne dei formati (con l’eccezioinnovazio-ne ancora una volta dei Confronti tra leader del 2006), la politica ‘occupa’ le trasmissioni di approfondimento nell’ultimo mese di campagna con un discreto successo di pubblico, segno della per-sistenza dell’attivazione comunicativa del pubblico della telepolitica con l’avvicinarsi della data del voto. l’unico argomento in grado di distogliere l’attenzione dei ‘salotti’ delle ammiraglie rai e mediaset dalla competizione politica è la quasi morbosa attenzione verso i fenomeni di cronaca, specie se questi ultimi risultano in grado di magnificare il registro del giornali-smo ‘compassionevole’, come nel caso della tragedia del piccolo tommaso Onofri. tuttavia, a ben guardare, la scelta di Porta a Porta e Matrix di posi-zionarsi sul versante politico o su quello dell’infotainment rivela una stra-tegia di counter programming, sostanzialmente improntata al ‘quieto vivere’
televisivo (ruggiero 2007). la centralità del candidato è ancora una volta ribadita dalla capacità di silvio Berlusconi di ‘farsi frame’ della campagna (marioni, mazzoni, moretti 2007), o almeno di catalizzare l’attenzione im-ponendosi come politico format (Bruno 2007).
al di là delle differenze appena messe in luce, è possibile individuare alcune chiavi di lettura che caratterizzano in maniera abbastanza trasversa-le gli studi sulla comunicazione politica nell’italia degli anni duemila. una serie di evidenze che ricorrono al punto da poter essere considerate veri e
propri frame applicati dalla comunità scientifica allo studio della telepoli-tica, e il cui interesse in questa sede deriva dalla constatazione che essi più che connotare le diverse analisi empiriche le anticipano, ne costituiscono un presupposto comune che è poi la constatazione di un’assenza, o meglio, di una serie di assenze.
primo. assenza di politica nei temi delle campagne elettorali, dominate da elementi che possono essere definiti di metadibattito sulla campagna, e che sono facilmente imputabili della perdita di appeal del racconto tele-visivo dello scontro elettorale. nel momento in cui, nei principali ‘salotti’
della telepolitica, ci si interroga sull’opportunità e sulle modalità con cui i leader dei principali schieramenti dovrebbero affrontarsi, sui toni della campagna o su cosa sia lecito o meno che divenga tema di campagna non solo non si offre al cittadino-elettore alcuna informazione utile per orien-tarsi nell’offerta politica ed esprimere un voto consapevole, ma si crea un cortocircuito ancor più pericoloso. Gli interminabili dibattiti sulle regole dei Confronti tra leader del 2006, o sulla legittimità di giocare la campagna del 2008 sul destino della compagnia aerea di bandiera avevano come trat-to comune la chiamata in causa del cittadino che «non avrebbe capitrat-to nul-la», e che si ritrovava di fatto ad assistere a dibattiti che pretendevano di fissare i paletti alla sua capacità critica, alla sua comprensione dei mecca-nismi elettorali, alla sua soglia di attenzione dei temi, neppure nei termini asettici di un testo di sociologia politica, ma nei toni drammatizzanti dello scontro televisivo.
secondo. assenza di professionalità nei conduttori o giornalisti, che nella maggior parte dei casi sembrano rinunciare all’opzione di messa in scena di un giornalismo d’indagine, di verifica o di certificazione per riti-rarsi nel ruolo di ‘smistatori di domande’. se la televisione politica della se-conda metà degli anni novanta aveva attratto il suo pubblico con strategie
‘coinvolgenti’ di diverso tipo, dalla messa in scena del privato del politico in Porta a Porta alla spietata requisitoria riservata dal conduttore di Mixer ai suoi ospiti, fino alla rappresentazione delle routine giornalistiche che por-tavano la ‘verità’ nelle case dei telespettatori di Linea Tre (Bionda, Bourlot, cobianchi, Villa 1998), tutti questi elementi sembrano essere andati per-duti. l’impossibilità per i talk show ‘tradizionali’ di chiudere in uno stesso studio televisivo i due contendenti major, si è risolta nella realizzazione di confronti in absentia alquanto sterili, più simili alle obsolete Tribune che al-le soluzioni teal-levisive che nel 2001 misero in scena la proposta politica di Berlusconi (il contratto) materializzandola davanti agli occhi del pubblico con un’abilità drammaturgica destinata a farsi ricordare. al contempo, gli stessi politici sembrano essere sempre meno disposti a piegarsi alle regole del contenitore che li ospita, e se la conflittualità dello stesso Berlusconi nel 2001 nei confronti di michele santoro si risolse comunque nella conti-nuazione e anzi nell’arricchimento del dibattito attraverso la ‘presenza’ in studio del principale accusato, cinque anni dopo il conflitto tra il cavaliere
e lucia annunziata si risolverà nell’abbandono del campo di battaglia da parte del primo, e in nient’altro che un ennesimo elemento di metadibattito per i giornali e i telesalotti dei giorni successivi.
terzo. incapacità del mezzo televisivo di affrancarsi dalla propaganda partitica. l’appiattimento del formato specifico delle trasmissioni a sempli-ci contenitori pronti, alternativamente, a ospitare il ‘grande’ leader per rac-cogliere deferentemente le sue dichiarazioni programmatiche, o a gestire uno sterile ‘tutti contro tutti’ volto a dimostrare unicamente la residualità politica degli ospiti e a mettere in scena una conflittualità fine a se stessa e quindi poco affascinante, sancisce la perdita di una delle prove caratteriz-zanti a cui il leader doveva sottoporsi quando la televisione rappresentava attivamente una sorta di ‘quinto potere’. molto è stato scritto sulla necessi-tà che il politico in televisione fosse in grado di ‘misurarsi’ con i meccani-smi interni delle diverse trameccani-smissioni (morcellini 1995; livolsi, Volli 1997), il che dipingeva una situazione in cui la ricchezza dell’offerta di telepolitica era tale da poter presumere che prodi potesse trovarsi in difficoltà più di Berlusconi nello studio di Tempo reale, per la diversa capacità dei due di adattarsi al format o costringere il format ad adattarsi al proprio stile inter-locutorio. allo stato attuale, sembra che quest’ultima possibilità sia diven-tata la regola, al di là dell’abilità del politico, sempre più ospite e sempre meno soggetto di una (più o meno epica) prova qualificante.
Quarto. assenza di un posizionamento chiaramente politico su alcune delle questioni maggiormente in agenda, che sono piuttosto destinate ad una trattazione ‘di sponda’ che si avvale di contenitori anche non politici, o dell’assenza di politici sulla scena, per operare una sorta di ‘coltivazione’
delle coscienze. nel 2004, una parte rilevante della retorica patriottica e mi-litarista che intendeva sostenere la permanenza delle truppe italiane in iraq passava non tanto per gli aspri faccia a faccia che avevano luogo negli studi di Porta a Porta o Ballarò, ma per i racconti provenienti dal teatro di guerra o dalle case dei militari portati sullo schermo da Verissimo. nel 2008, os-servando l’agenda dei telegiornali o delle trasmissioni di approfondimen-to, l’emergenza criminalità, che certamente ha influenzato in maniera non residuale il giudizio sulle amministrazioni uscenti sia a livello nazionale che locale (in riferimento al comune di roma), sembrava decisamente sot-tostimata. Osservando i segmenti news-oriented dei due celebri contenitori domenicali di raiuno e canale cinque, tuttavia, balzava agli occhi come il tema fosse impostato quale priorità assoluta per i cittadini, in attesa di una risposta forte da amministratori che fino a quel momento si erano dimo-strati sin troppo tolleranti o di nuovi amministratori disposti, anche per la loro storia politica, ad esserlo molto meno (mazzoni 2008).
la televisione politica, ed elettorale in particolare, resta un campo d’in-dagine privilegiato, e tutte le analisi che si concentrano su di essa trova-no ampia giustificazione nel forte investimento politico sulla televisione in quanto mezzo in grado, se non di coltivare le coscienze, almeno di imporre
un determinato frame alla campagna, e nei dati che danno la tv come mez-zo più usato in assoluto dagli italiani per ricevere informazioni sull’offerta politica, anche a fronte di una scarsa fiducia nel mezzo. ma a fronte di tutto ciò il sentimento comune sembra essere quello di una mancanza nelle for-me e nei contenuti della telepolitica, derivata dall’interazione di una serie di elementi che ne sanciscono il degrado se non il declino.
1.2 Un circolo (non) virtuoso. Fiducia, cinismo e appeal della telepolitica