La democrazia elettronica: governance, culture partecipative e nuovi bisogni di
6.2 Governance e democrazia deliberativa: una possibile sintesi un consistente filone teorico e significative esperienze concrete, declinate
specialmente a livello locale, individuano nel concetto di governance la chiave
13 sulla letteratura manichea sviluppatasi intorno al rapporto tra democrazia e internet, cfr.
anche cap. 5 del presente volume.
per il superamento dei meccanismi istituzionali del government, fondati sul monopolio delle istituzioni nella definizione delle politiche pubbliche.
il termine ‘governance’ è utilizzato, con sempre maggiore frequenza, per indicare un cambiamento nei modi in cui si costruiscono le politiche e le for-me dell’azione collettiva. in generale, con ‘governance’ si indicano le diverse forme di accordi e coordinamento che si innescano fra i soggetti pubblici e privati, caratterizzati, entrambi, da obiettivi e interessi specifici, talvolta in contrapposizione […]. il successo della governance sottolinea l’incapacità di un unico soggetto (pubblico o privato) di farsi carico da solo delle principali sfide con cui sono chiamate a confrontarsi le società contemporanee e, per certi versi, è anche il frutto del declino di fiducia nell’efficacia e nella credi-bilità delle tradizionali modalità di intervento dello stato o delle istituzioni pubbliche (de Bernardi, rosso 2007: 9-11).
la prospettiva della governance è dunque caratterizzata dal riconosci-mento della complessità sociale e postula un elevato grado di cooperazio-ne e di interaziocooperazio-ne tra lo stato e i diversi attori, con una forte attenziocooperazio-ne non solo ai governmental actors, ma anche ai non-governmental actors, cioè ai portatori di interessi economici e sociali, con l’obiettivo dell’allargamento non tanto dell’efficienza, quanto dell’efficacia delle politiche pubbliche, in quanto accompagnate da un maggior grado di consenso.
con riferimento al livello d’azione (globale o locale) e agli obiettivi per-seguiti (ricerca del consenso o miglioramento dell’efficacia dell’azione pub-blica), de Bernardi e rosso (2007) individuano quattro tipi di governance:
1. la good governance, nozione elaborata dalla Banca mondiale, caratteriz-zata dalla scala globale e dalle finalità socio-politiche;
2. la global governance, anch’essa di livello globale, finalizzata all’assetto delle attività economiche;
3. la corporate governance, che combina livello locale e obiettivi di effi-cienza, e che si colloca nell’ambito delle già citate teorie del New Public Management;
4. la governance urbana e territoriale, che opera a livello locale e si pre-figge l’obiettivo di coinvolgere i portatori di interessi, i gruppi, le or-ganizzazioni e gli attori individuali nel governo dei sistemi urbani e metropolitani14.
in definitiva, l’idea di governance, che resta per molti aspetti non uni-vocamente definita, evoca temi come la decentralizzazione dei livel-li decisionalivel-li; la sussidiarietà; la globalivel-lizzazione; l’affermarsi di mezzi di
14 un esempio di quest’ultimo tipo di governance è costituito dai processi volti all’elabora-zione dei progetti di sviluppo sostenibile finanziati dal programma comunitario agenda 21:
<http://www.a21italy.it/index.php> (06/10)
regolazione ‘soft’, in contrapposizione alle decisioni pubbliche cogenti, e dunque ‘hard’; il riconoscimento dell’esistenza di stakeholders che si orga-nizzano secondo reti autosufficienti, costruite per mezzo del dialogo, della negoziazione e degli accordi tra le parti.
l’affinità tra il concetto di governance e il tema della democrazia delibe-rativa si coglie con immediatezza. scrivono ancora de Bernardi e rosso:
Vi è un collegamento evidente tra l’idea di democrazia deliberativa e quella di governance: entrambi i concetti sono basati sulla partecipazione di attori diversi all’elaborazione di progetti e questioni complesse, e sulla necessità di concorrere a decisioni condivise, coinvolgendo settori diversi e costruendo reti di interazione prevalentemente orizzontali. la condizione che rende democratica la decisione, nelle forme di democrazia deliberativa, parte dall’inclusione di tutti i soggetti che sono coinvolti dalle conseguenze della deliberazione, mettendo l’accento sull’accesso al processo e ponendosi come completamento della democrazia rappresentativa (ivi: 63).
altra prospettiva che valorizza la partecipazione alle politiche pubbli-che degli attori non istituzionali è quella dei «processi decisionali inclusi-vi», ombrello teorico che racchiude tutte le ipotesi in cui, come riassume luigi Bobbio, gli interventi pubblici sono «progettati a più voci»: la con-certazione, il partenariato, la partecipazione, la consultazione, la negozia-zione, gli accordi e le intese. Qui la pubblica amministrazione rinuncia al ruolo di custode esclusivo dell’interesse pubblico e si presenta quale «part-ner tra gli altri part«part-ner» (Bobbio 2004: 9-10).
Vi sono ambiti nei quali è la stessa legge che prescrive o consente l’ado-zione di processi inclusivi: nelle politiche urbane e di sviluppo locale, in quelle ambientali e in quelle sociali. più in generale, la legge sul procedi-mento amministrativo prevede, indipendentemente dalla materia, la stipu-la di accordi di programma tra pubbliche amministrazioni cointeressate alla realizzazione di un’opera o di un programma di intervento.
l’inclusione può però diventare, secondo Bobbio (2004), un metodo di lavoro regolare delle istituzioni, anche al di fuori dei casi espressamente previsti, cui ricorrere ogni qual volta se ne presentino le condizioni: quan-do esistono forti conflitti, anche solo potenziali; quanquan-do l’amministrazione manchi di risorse, di solito finanziarie o informative, che siano invece in possesso di privati; o quando il successo di una politica pubblica dipenda, in maniera decisiva, dall’adesione dei cittadini (es. nel caso della raccolta differenziata dei rifiuti).
i processi decisionali inclusivi possono, perciò, da un lato vincere la
‘sindrome nimby’15, specialmente se il confronto viene aperto
contestual-15 acronimo di Not In My Back Yard, letteralmente ‘non nel mio cortile’. esprime la tendenza a opporsi a decisioni che impattino negativamente sul territorio per quanto riconosciute di uti-lità generale (es. la costruzione di discariche, reti autostradali e ferroviarie ad elevato impatto ambientale ecc.).
mente all’avvio della fase progettuale, dall’altro correggere i limiti nei quali rischia di incorrere un ‘decisore cieco’.
una volta intrapresa la via dell’inclusione, è necessario scegliere con attenzione gli interlocutori. si tratta di costruire una vera e propria mappa degli stakeholders, più ampia possibile, che includa, oltre agli altri sogget-ti pubblici, anche attori privasogget-ti, a parsogget-tire da quelli organizzasogget-ti, ma senza escludere i portatori di interesse non organizzati. Vi sono tecniche ben precise, che consentono di individuare i possibili interlocutori, a partire dall’outreach, cioè «l’andare fuori a cercare».
Gli esiti di un processo decisionale inclusivo possono essere di tre tipi:
1. una negoziazione distributiva: è un gioco a somma zero, che conduce a reciproci sacrifici delle posizioni iniziali e in definitiva al compromesso;
2. una negoziazione integrativa, il cui risultato finale è una soluzione che complessivamente si traduce in un mutuo guadagno, che soddisfa gli interessi di tutti;
3. un processo deliberativo, nel quale si arriva a una posizione comune attraverso la discussione, il confronto degli argomenti, il ragionamento collettivo, condotto in condizioni di parità delle armi.
ecco, quindi, che, come già negli studi sulla governance, anche nella teoria dei processi decisionali inclusivi ritorna il tema della democrazia deliberativa.
Quest’ultima è definita da elster (1998) come quel processo decisionale che avviene per mezzo della discussione tra cittadini liberi e uguali. elster, riprendendo la nota argomentazione habermasiana, propone di considera-re la democrazia come una trasformazione più che una mera aggconsidera-regazione di preferenze. lo studioso considera due aspetti del concetto: una democra-tic part intesa come decisione collettiva presa attraverso la partecipazione di tutti coloro i quali sono interessati alla decisione stessa e una deliberative part come processo decisionale attraverso argomentazioni offerte dai par-tecipanti per gli altri parpar-tecipanti che condividono i valori della razionalità e dell’imparzialità. rispetto a questa iniziale definizione, particolare atten-zione va posta alla duplice acceatten-zione del concetto di deliberaatten-zione: da una parte il risultato di un processo di comunicazione in termini di cambia-mento di preferenze; dall’altra l’insieme delle condizioni procedurali che promuovono l’imparzialità (deliberative setting).
Gli effetti positivi di tale deliberazione sono: una maggiore legittima-zione della decisione finale, un arricchimento delle capacità critiche degli individui, la produzione di maggiori legami sociali e di fiducia.
le prospettive teoriche che abbiamo descritto prescindono, nella loro formulazione, dall’impiego delle nuove tecnologie. È evidente, tuttavia, che queste ultime possono abilitare spazi e strumenti per l’informazione, il feed-back, il confronto e la condivisione delle scelte, precedentemente inediti. la
prospettiva che si propone è, dunque, quella di una e-governance, che con-senta di superare l’illusione determinista per cui una piattaforma tecnologi-ca ben disegnata sia in grado di produrre da sé conseguenze partecipative, e applichi invece le nuove tecnologie nel quadro, già noto e praticato, dei processi decisionali inclusivi, realizzando l’espressione massima della e-de-mocracy: la partecipazione dei cittadini e delle loro forme associative ai pro-cessi decisionali che li riguardano, nelle forme più prossime al modello della democrazia deliberativa, e con l’effetto di modificare le relazioni nel contesto sociale e tra gli attori sociali e quelli governativi (netchaeva2002).
È chiaro, infatti, che i problemi della democrazia e della gestione della cosa pubblica non si risolvono con la mera adozione di tecnologie infor-matiche, il cui successo implica un ridisegno dei sistemi di relazione tra i soggetti in gioco e delle stesse dinamiche organizzative delle istituzio-ni coinvolte. sono molte e consistenti, in questa prospettiva, le criticità da superare: una debole cultura di governo, che conduce i decisori pubbli-ci a sottovalutare i vantaggi del coinvolgimento dei pubbli-cittadini; una cultura dell’ascolto nelle relazioni con i cittadini generalmente carente; un deficit nella diffusione delle skills digitali nel personale politico e amministrativo;
la mancanza di efficaci politiche pubbliche per l’accesso alla rete.