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Possibilità e utopie

Nel documento strumenti per la didattica e la ricerca (pagine 99-103)

La democrazia dei postmoderni

5.2 Possibilità e utopie

la democrazia dei moderni è andata sviluppandosi di pari passo ad una critica sempre presente alla rappresentanza ritenuta un istituto per niente democratico. da rousseau fino ad oggi il mito della democrazia di-retta ha seguito come un’ombra la democrazia rappresentativa. pur presen-tando il paradosso di essere in realtà non propriamente una nuova meta

2 sul punto cfr., in particolare, Kelsen (1998).

bensì un ritorno al passato, alla democrazia ateniese, e pur essendo ampia-mente dimostrate le difficoltà che incontrerebbe ad affermarsi nella moder-nità – valga per tutte la critica di Kelsen (1998) – continua ad esistere un nucleo consistente di pensatori affascinato da questa prospettiva che anzi, con l’evoluzione dei mass media, sembra aver trovato una nuova linfa.

partendo dall’idea di un’insufficienza dalla democrazia rappresentativa, preoccupati anzi dal suo possibile declino – come dimostrerebbe il tenden-ziale aumento dell’astensione nelle democrazie più consolidate e la propen-sione sempre più frequente dei cittadini a chiudersi nel privato, emigrando dai luoghi della partecipazione politica, con il conseguente indebolimento dei legami sociali3 nelle democrazie più avanzate – molti studiosi hanno visto proprio nei mass media il ‘mezzo’ che avrebbe potuto salvare la de-mocrazia riattivando la partecipazione e addirittura facendola andare oltre, coinvolgendo sempre più i cittadini nei processi decisionali. ad accomuna-re questi studiosi vi è inoltaccomuna-re la tendenza a vedeaccomuna-re nel rapporto tra media e democrazia soltanto aspetti positivi, cioè nell’insieme un circuito virtuoso.

Già dai primi anni Ottanta si parlò di «teledemocrazia» (Becker 1981), mettendo l’attenzione sulle possibilità di partecipazione diretta offerta ai cittadini utilizzando come mezzi la radio, la tv via cavo e il telefono con consultazioni, forum, referendum ecc. Questa impostazione ha trovato l’appoggio anche dei sostenitori di una democrazia ‘forte’ caratterizzata proprio da forme di partecipazione quantitativamente e qualitativamente superiori (Barber 1998, 2003). alcuni, notando la rapidità con la quale la tecnologia riesce a registrare le opinioni dei cittadini, hanno profetizzato l’avvento di una repubblica elettronica (Grossman 1997), una specie di demo-crazia referendaria in tempo reale capace di sondare e stimolare continua-mente l’opinione pubblica.

la possibilità di rinnovare la democrazia attraverso la partecipazione dei cittadini grazie ai nuovi media ha spinto altri studiosi a unire la velocità della comunicazione con il potenziale delle democrazia deliberativa. sorta sul finire degli anni ’80 ad opera del politologo James Fishkin, la teoria del-la democrazia deliberativa ha lo scopo di dare voce direttamente ai cittadi-ni cercando di individuare cosa realmente pensa l’opicittadi-nione pubblica su un dato argomento. per fare ciò si è ricorso all’uso di sondaggi su campioni di cittadini, forniti di un ampio e completo insieme di informazioni, i quali, prima di pronunciarsi sull’argomento, discutono attentamente le possibili soluzioni; la discussione è il momento principale del processo deliberativo, non a caso il significato inglese di to deliberate non pone l’accento sulla de-cisione, ma sulla ponderazione, sulla capacità di valutare; la deliberazione non è cosa si decide ma come si decide (Fishkin 1991; cfr. anche ackerman, Fishkin 2002 e Fishkin 2003). il passo successivo che si è compiuto è stato

3 riferimento obbligato sul ridimensionamento del capitale sociale resta putnam (2004).

quello di sostituire man mano il momento reale della discussione faccia a faccia con quello della discussione elettronica, virtuale. si è così proposto di realizzare forme di democrazia deliberativa elettronica dove i dibattiti sono stati sostituiti da forum su internet e dove la stessa rete viene utiliz-zata per diffondere l’informazione necessaria alla deliberazione. si sono così progressivamente realizzate varie forme di partecipazione elettronica, soprattutto in ambito locale. da questo punto di vista però l’ideale delibe-rativo perderebbe uno dei suoi aspetti peculiari e forse anche una delle sue ragioni di fondo. infatti, partendo dall’idea che la qualità della decisione è migliore se presa attraverso il dibattito, e auspicando anche attraverso la deliberazione la riattivazione di legami sociali, si trova di fatto a lasciare il cittadino (interessato) nella sua solitudine informatica. non solo, si con-sideri anche che le forme di democrazia elettronica, nella prevalenza dei casi in cui si sono realizzate, hanno riguardato l’ambito locale della poli-tica e ancor più l’amministrazione4. inoltre, nonostante il coinvolgimento dei cittadini, è giusto porsi la domanda: chi sceglie cosa scegliere? infatti restano ancora ben salde dinamiche verticali, visto che sono comunque le pubbliche amministrazioni a gestire queste forme di consultazione-parte-cipazione-decisione. c’è il rischio in pratica di un

[…] uso di un consenso distorto dei cittadini per attribuire legittimazione

‘democratica’ a soluzioni che rimangono sostanzialmente autoritarie o, co-munque, legate ad una elaborazione alla quale i cittadini rimangono del tut-to estranei. l’interattività, in altri termini, può essere messa al servizio di procedure di ratifica (rodotà 2004: 40).

Bisogna poi considerare il peso specifico che ciascun cittadino può ave-re nella deliberazione, essendo spesso le associazioni e i gruppi d’inteave-resse a giocare un ruolo preminente nell’esito finale.

attratti dalle prospettive della rete, alcuni studiosi si spingono ancora più in là nell’immaginare come potrà svilupparsi la democrazia arrivan-do ad ipotizzare la nascita della cyberdemocrazia (lévy 2008); un approccio, questo, che è stato definito «utopistico-visionario» (Formenti 2008: 117).

Questi studiosi partono da un’idea evoluzionistica della storia secondo la quale essa ‘seleziona’ il migliore sistema possibile; mentre in passato si è af-fermata la democrazia liberale, oggi invece l’influenza e la diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione, internet su tutte, dovrebbero consenti-re il passaggio ad un nuovo sistema politico nel quale si affermerà un nuo-vo spazio pubblico offerto dalla virtualità della rete che si sostituirà alla sfera pubblica habermasiana. le caratteristiche di questo sistema saranno date dal maggior peso che avranno i cittadini sia nell’informarsi

sull’at-4 per alcuni dati sull’utilizzo di forme di consultazione elettronica in ambito locale si veda macaluso (2007). sul tema, cfr. il cap. 6 del presente volume.

tività politica, sia nell’esprimere la propria opinione, sia nella capacità di partecipare attivamente alla vita politica sperimentando nuove forme di cittadinanza democratica. Grazie alla riduzione, oltre che dei tempi, an-che degli spazi, verrebbe meno anan-che la territorialità a favore di nuove for-me extraterritoriali cofor-me le comunità virtuali. la rete, inoltre, offrirebbe condizioni impensabili per far aumentare l’ampiezza e le capacità dell’in-telligenza collettiva, ossia di quell’«indell’in-telligenza distribuita ovunque, conti-nuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta ad una mobilitazione effettiva delle competenze» (lévy 2002: 35, corsivo dell’autore). il passaggio successivo della teoria di lévy è quello di profetizzare la nascita di uno

«stato trasparente», cioè uno stato nel quale il potere e i suoi meccanismi vengono sempre meno nascosti ai cittadini. anzi in futuro la rete sarà in grado di connettere tra loro, gradualmente, persino gli stati nazionali e ciò renderà inevitabile la nascita di uno «stato universale» (lévy 2008); tutta-via non si dovrebbe arrivare all’estinzione dello stato nazionale:

Dobbiamo quindi conservare l’esistenza dello Stato perché esso è garante del-la Legge e del-la Legge rende irreversibili i progressi dell’umanità. ciò significa che questa preservazione della realtà non è puro conservatorismo: essa, infatti, rimane al servizio dei progressi morali che devono ancora compiersi... (lévy 2008: 151, corsivo e punti sospensivi dell’autore).

in questo modo tutti i cittadini, muniti di maggior informazioni, avran-no i mezzi e le cognizioni per incidere meglio nella dinamica democratica e avranno anche un contatto diretto con i propri rappresentanti. l’importante è che a monte delle pratiche cibernetiche vi sia un’etica che garantisca il ri-spetto di tutti.

un altro studioso capostipite del filone cyberdemocratico è derrick de Kerkchove che nella sua elaborazione è molto più orientato alla possibili-tà del passaggio ad un governo elettronico, uno stato on demand. la pro-spettiva del e-government vede un primo passo compiuto nei servizi che la pubblica amministrazione riesce ad offrire ai suoi cittadini.

in futuro la politica si orienterà sempre più verso la funzione ammini-strativa in quanto, salvo situazioni di crisi, i governi di partito ideologico non sono indispensabili ed implicano costi notevoli. […] la chiave per lo sviluppo dei popoli è internet. un uso razionale della rete delle reti virtuali permetterebbe ai cittadini del mondo di liberarsi delle burocrazie corrotte o negligenti, con conseguente risparmio di energia e di risorse finanziarie e con il beneficio addizionale di liberare la politica dalla sua componente passionale. le ideologie, più dannose che benefiche, si ridurrebbero così al residuo di una modalità di partecipazione politica ormai obsoleta nel Ventu-nesimo secolo. l’e-government, insieme alla trasformazione dell’attività poli-tica in amministrazione di servizi per i cittadini, dovrebbe condurre ad uno stato giusto, onesto ed efficiente (de Kerckhove 2006: 63-64).

dunque l’esito di questa riflessione è la creazione di un’agorà elettronica nella quale i cittadini si governano da sé. a tal proposito, in un recente saggio si parla di «comunicrazia», termine che non mira a cogliere l’aspetto verticale della comunicazione, cui ci si poteva riferire in passato, bensì mirato a «foca-lizzare l’attenzione sulle dinamiche sprigionate, dal basso, dalle soggettività che abitano l’altra parte dello schermo» (susca, de Kerkchove 2008: 133-134).

numerosi sono i punti di critica che vengono mossi a questi filoni di studio. il primo, cui si faceva riferimento all’inizio, è l’unidirezionalità con la quale si indaga il rapporto tra media e comunicazione e che vede solo esiti positivi. in secondo luogo è evidenziato il problema dei divari digitali intendendo con ciò sia la possibilità di accesso ai nuovi media e sia la ca-pacità di orientarsi in questi ultimi in termini di sapere. in questo senso il modello di cyberdemocrazia avrebbe allo stato attuale il grande paradosso di voler essere una democrazia diretta ma di essere in realtà una demo-crazia per pochi, un’oligarchia. l’esclusività della cyberdemodemo-crazia sarebbe addirittura regressiva rispetto al modello della democrazia liberale, o come direbbe dahl (1997), della «poliarchia», che si è costituita appunto aumen-tando la sua inclusività. inoltre la cyberdemocrazia, così come teorizzata, prevedrebbe di fatto l’estinzione della rappresentanza e la fine di ogni me-diazione tra società politica e società civile in nome del suo essere diretta, veloce, immediata. ma ciò getterebbe il cittadino in quella solitudine, già tipica del postmoderno, che sarebbe aggravata dall’assenza di attori collet-tivi in grado di includerlo e socializzarlo (prospero 2006).

Nel documento strumenti per la didattica e la ricerca (pagine 99-103)

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