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4.3 La scrittura: il tessuto della rete

4.3.2 Collaborare in rete: i limiti della CMC

La rete sembrerebbe essere, per quello che abbiamo visto parlando di intelligenza collettiva (cfr. § 4.2), un ambiente idoneo – per sua natura – allo sviluppo di aggregazioni spontanee e congeniale alla produzione collaborativa. Se paragoniamo gli anfiteatri dialogici virtuali con i contesti tradizionali della riunione o dell’assemblea collegiale ci accorgiamo che esistono importanti analogie ed alcune significative differenze. In una riunione in presenza oltre agli ovvi limiti spazio temporali (tutti devono essere presenti nello stesso luogo allo stesso tempo), ne esistono altri quali ad esempio la limitatezza del tempo a disposizione, la sequenzialità (si parla uno per volta), la costrittività (è necessario ascoltare l’oratore di turno), la disuguaglianza (non tutti hanno la stessa possibilità di intervento), ecc. Questi

elementi portano all’esigenza, da parte dei moderatori, di regolarne lo sviluppo – e quindi restringere le libertà di espressione di molti – per evitarne esiti fallimentari in termini di produttività. In rete, per contro, non esistono limiti specifici. Le risorse sono a disposizione di tutti in maniera abbondante: né lo spazio, né il tempo rappresentano impedimenti evidenti all’espressività individuale. Non solo, ma la possibilità di lavorare in maniera “distaccata” rispetto al luogo virtuale di accadimento dell’evento, determina la libertà per i soggetti di selezionare quali contributi ritenere rilevanti e leggere o se impiegare il proprio tempo per produrre un nuovo intervento. La struttura reticolare della comunicazione, l’alta interattività e la naturale anomia della rete, finirebbero però, ben presto, per causare, anche in questo contesto, un overload comunicativo (Berge, Collins, 1995; Harasim, 1997; Turoff, 1995) e quindi la potenziale impossibilità di raggiungere obiettivi specifici.

L’esigenza di una netiquette, di una sorta di “etichetta” di comportamento in rete, si è posta come problema fin dai primordi della rete41. Regole più specifiche, come ad esempio sulla qualità e quantità della comunicazione ammessa in un determinato contesto, sulla pertinenza, congruenza o sul “formato” specifico da utilizzare, restano necessariamente demandate alle specifiche scelte metodologiche e pedagogiche. Di fatto, però, per poter comunicare in maniera produttiva è necessario il ricorso a regole di partecipazione e di coordinamento che consentano uno svolgimento ordinato dei lavori, visto che non esistono, data la natura sostanzialmente anarchica della rete, convenzioni comportamentali univoche ed universalmente accettate.

Come evidenziato nella letteratura specifica (Turkle, 1997; Wallace, 2000; Paccagnella, 2000; Preece, 2001) la rete porta anche a fenomeni di reciproca incomprensione (il “flaming” è l’esempio più noto: ci si riscalda con maggiore facilità che in presenza) o viceversa di mielosa assertività (si è tutti d’accordo, non conviene contraddire per non rischiare che il gruppo fraintenda). L’assenza degli elementi metacomunicativi che costituiscono la cornice all’interno della quale si inscrive una comunicazione faccia a faccia e l’impossibilità di ricevere un feedback immediato accrescono le possibilità della decodifica aberrante (Rivoltella, 2003), mettendo a rischio l’efficacia comunicativa delle interazioni in rete. In particolare, gli studi più recenti sulla computer mediated communication in riferimento all’apprendimento online evidenziano come maggiori siano in rete alcuni rischi quali il senso di isolamento o quello di inadeguatezza rispetto al medium o alla situazione con conseguente ansia e tensioni che possono portare al rifiuto e all’abbandono. In questo senso la “non comunicazione”, che secondo la scuola di Palo Alto (Watzlawick, Beavin, Jackson, 1971) è pur sempre comunicazione, è in rete particolarmente imbarazzante portando incertezza ed indecifrabilità davanti all’assenza di feedback. Esiste poi il rischio di una limitata coesione sociale, da parte dei soggetti che interagiscono, tale da non garantire pratiche significative. In alcuni casi si verifica la perdita del controllo sulla gestione dei tempi o la difficoltà nella gestione di situazioni di conflittualità.

Altri fenomeni possibili sono quelli dell’accaparramento di risorse o, viceversa, la marginalizzazione, la dispersione, il senso di smarrimento o abbandono. Risulta quindi fondamentale rilevare che non è la rete, per sua natura, a privilegiare una specifica comunicativa e relazionali. Anche dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, la rete consente molteplici modelli organizzativi42, ma è importante riconoscere che la rete non ne favorisce uno in particolare. Anzi, per quello che abbiamo visto fin qui, potremmo affermare

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Il documento noto come “Netiquette” (“The Net user guidelines and netiquette”) è stato elaborato da Arlene H. Rinaldi della Florida Atlantic University nel luglio 1994 ed è disponibile all’indirizzo: http://www.fau.edu/netiquette

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Trentin (1998, 1999), ad esempio, presenta tre tipologie operative per l’organizzazione dell’apprendimento collaborativo in rete: sequenziale, parallela o reciproca. Nel primo caso l’organizzazione dei lavori prevede che alcuni soggetti producano contributi sottoposti successivamente al lavoro di altri, nel secondo caso si immagina un lavoro che viene svolto contemporaneamente ed in maniera separata da più gruppi, nel terzo caso si ipotizza a forme di interattività più stretta tra i soggetti coinvolti.

che la rete, per la sua natura multidimensionale e aperta, sembra più consona al privilegiare forme spontanee e rapsodiche di adesione al dibattito43. Non a caso in rete è possibile imbattersi sia in forum densamente partecipati che in arene spaventosamente deserte. Secondo Calvani (2001, pag. 151), affinché un ambiente comunicativo di rete possa trasformarsi in un ambiente di costruzione della conoscenza e di collaborazione è necessario passare attraverso l’individuazione di relazioni dotate di uno scopo e, soprattutto, all’interno di un contesto di vincoli (expertise, tempo, risorse).

Approfondendo le caratteristiche della CMC possiamo quindi constatare come la dimensione collaborativa e cooperativa, siano condizioni tutt’altro che naturali e il cui raggiungimento sia necessariamente frutto di un impegnativo sforzo organizzativo. In CSILE, come in molte esperienze di apprendimento collaborativo in rete (cfr. p.115), viene ad esempio sottolineata l’importanza di un robusto impianto organizzativo: l’esplicitazione e condivisione degli obiettivi, il ruolo dei vincoli operativi e strumentali, la presenza di regole e, non secondario: un contesto operativo caratterizzato da un costante lavoro di moderazione operato dai docenti. La rete è sfruttata per le sue insostituibili specificità, ma necessariamente adattata alle esigenze del disegno progettuale.

Se vogliamo individuare nella CMC caratteristiche specifiche tali da orientare in una determinata direzione lo sviluppo di dinamiche relazionali, possiamo con Calvani (2001, pag. 153) sostenere che la comunicazione in rete sia più adatta a favorire momenti di collaborazione blanda (i membri di un gruppo, interagendo, assumono un atteggiamento orientato a sostenersi vicendevolmente), più che quelli propriamente cooperativi (i soggetti in questione lavorano per un’unica finalità da conseguire e si organizzano intenzionalmente in tal senso). Le grandi potenzialità della rete emergono soprattutto nella capacità di sviluppare il brainstorming, il dispiegamento libero e creativo di idee, come nel consentire l’accesso ad un’illimitata quantità di risorse da condividere e reimpiegare a dismisura. Caratteristiche congeniali a situazioni di tipo “collaborativo”, contraddistinte in senso prevalentemente “centrifugo” e dove, appunto, “predomina una dimensione di produzione aperta, esplorativa, accrescitiva. Situazioni in cui il soggetto è invitato ad appropriarsi dell’esistente per andare oltre, in una direzione o nell’altra, senza che questo venga affatto a collidere o a limitare gli spazi degli altri. Diverse sono le situazioni che possiamo definire cooperative (‘centripete’), orientate cioè alla produzione di un oggetto specifico o soluzione particolare, ad esempio un progetto, un documento” (ibidem).

Seguendo questa linea di riflessione si può dunque tracciare un continuum tra livelli relazionali che dalla semplice comunicazione intersoggettiva arrivino fino alla collaborazione e quindi alla cooperazione (Bonaiuti, D’Agostino, 2003, p.94). Se la comunicazione è un semplice scambio informativo, la collaborazione implica uno scambio informativo orientato verso un aiuto reciproco (pur rimanendo individuale l’obiettivo) mentre la cooperazione è una forma di collaborazione, per così dire, più forte: i partner concorrono insieme a conseguire un obiettivo che è comune. Ogni passaggio ad un livello successivo, comporta livelli crescenti di accettazione di regole, criteri e motivazioni, tali da condurre – attraverso forme progressivamente più efficienti di comunicazione – al raggiungimento di obiettivi che da individuali divengono collegiali.

Ci sono dunque difficoltà oggettive, in rete come in presenza, legate allo sviluppo di efficaci esperienze di apprendimento cooperativo. In entrambi i casi è opportuno lavorare con gruppi

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I rischi di deriva relazionale nella CMC, come nelle situazioni comunicative tradizionali, possono ad esempio sorgere negli eccessi di “strumentalismo” (il gruppo si concentra utilitaristicamente troppo sull’oggetto della finalità operativa) oppure di “relazionalità” (il gruppo si perde nel piacere di stare insieme e di parlarsi). Su questo argomento sono fondamentali i contributi di Wilfred Bion alla comprensione delle dinamiche di gruppo. Bion (1971) compendia e propone i suoi studi sull’argomento.

di dimensioni contenute, sia per evitare il disordinato e dispersivo aumento dei contributi, sia per consentire un produttivo sviluppo di relazioni sociali. La cooperazione richiede inoltre un coordinamento, delle regole, degli obiettivi condivisi, una suddivisione di ruoli e compiti. Per molteplici ragioni la cooperazione può non funzionare. Questo accade sia nei gruppi in presenza che nei gruppi che collaborano in rete, dove la possibilità che un’attività collaborativa rimanga sterile, inconcludente, frustrante, è più elevata. Il venir meno della contemporaneità spazio-temporale che caratterizza la partecipazione di un gruppo che collabora in rete ha grandi conseguenze nelle dinamiche di gruppo. La cooperazione è quindi un processo delicato e difficile: un punto di arrivo tutt’altro che scontato e non necessariamente alla portata di tutti. “Solo all’interno di ambienti ben strutturati sul piano culturale e tecnologico si possono attuare alcune forme cooperative che tuttavia non potranno assumere tutte le valenze della cooperazione in presenza. La cooperazione in rete è tanto più proponibile quanto più si ha a che fare con soggetti adulti, adeguatamente motivati, già orientati ad uno stesso fine condiviso. In questo senso le strumentazioni di rete possono offrire validi supporti” (Calvani, 2001, pag. 155-156.).

Partendo dall’evidenza di queste difficoltà, dopo aver comunque visto le potenzialità della rete nell’attivare spazi concreti ed efficaci per lo sviluppo della socialità e dell’espressività, cerchiamo con i prossimi paragrafi di capire quale contributo possa venire dagli strumenti. Come evidenza la Preece (2001, p. 205) “Un’attenta pianificazione sociale (la socialità) ed un software ben progettato (l’usabilità) non garantiscono il successo di una comunità online, ma senza questi due elementi essa è destinata, quasi sicuramente a fallire”.

I due aspetti: usabilità e socialità sono infatti intimamente legati. Se nei precedenti capitoli è stato infatti e soprattutto analizzato il ruolo degli strumenti come mediatori dei processi cognitivi individuali, nelle reti digitali il valore e l’efficacia degli strumenti è negoziata ed ha una portata a livello sociale. Se gli strumenti rappresentano per Vygotskij una delle modalità con cui si costruisce l’”io cognitivo”, seppure in relazione agli altri (cfr. 2.1.1), i media – e gli strumenti telematici in particolare – sono strumenti capaci di mediare e costruire il “noi”. Secondo alcuni (Galimberti, Riva, 1997; Banzato, 2003) non è possibile trasporre i vecchi modelli esplicativi presi dalla comunicazione uomo-macchina, o macchina-macchina agli studi della comunicazione interumana, pur se mediata da uno strumento come il computer. L’assunto che muove questo tipo di affermazione è che i processi comunicativi tra persone che avvengono tra terminali sono delle vere e proprie interazioni personali ed hanno poco a che fare con i linguaggi e i codici che si attivano quando il soggetto usa il computer come calcolatore. Dal nostro punto di vista queste affermazioni sono condivisibili solo in parte, ovvero solo nella parte che riguarda il processo comunicativo che avviene coinvolgendo effettivamente e pienamente individui diversi ed attivando quindi le stesse dinamiche relazionali e psico-sociali che si avrebbero in un incontro in presenza. È però pur vero che, affinché possano esprimersi pienamente tali effetti, lo strumento di mediazione deve riuscire a svolgere le proprie funzioni in maniera efficace ed efficiente. Ed è su questo ruolo che uno strumento può differire da un altro e che è necessario operare un approfondimento. La CMC prevede la possibilità di utilizzare strumenti di diverso tipo (posta elettronica, chat, forum, classi virtuali, ecc.). Ogni strumento di comunicazione offre delle affordance44, ma al contempo presenta dei vincoli di uso. La scelta di quale strumento utilizzare, in quale fase del processo formativo, con quale obiettivi e quali regole è uno degli elementi su cui riflettere. La scelta dello strumento non idoneo (o la sua collocazione nel momento, o con le finalità sbagliate) può compromettere il raggiungimento dei risultati. La scelta dello strumento – di una tipologia piuttosto che di un’altra – è però solo una parte del problema. Oggi, solo per fare un esempio, per la gestione dei web-forum esistono migliaia di soluzioni diverse. Le differenze non sono solo formali (come la collocazione dei pulsanti, o la quantità

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o modalità di attivazione delle funzioni), ma in alcuni casi comportano anche una diversa concezione dello sviluppo dei dialoghi, dell’organizzazione dei dati, della ricerca delle informazioni, ecc. fino ad arrivare ad una diversa modalità di offrire le affordance per la percezione della presenza sociale (concetto questo su cui torneremo in seguito, cfr. § 4.4.2). A complicare ulteriormente il quadro si aggiunga il fatto che oggi, gli strumenti per la CMC, ed in modo particolare per la formazione in rete, vengono principalmente utilizzati all’interno di “suite”, ovvero di piattaforme software integrate che, a loro volta, aggiungono opzioni ma contemporaneamente pongono dei vincoli.