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Nel linguaggio figurato, inteso come quell’uso iconico della lingua finalizzato ad esprimere un significato non denotativo e quindi non letterale, il concetto di “spazio” è uno dei più utilizzati. Si parla di “spazio del problema”, di “spazio sociale”, di “spazio della comunicazione” senza che questo implichi necessariamente uno spazio fisico. Tradizionalmente è proprio nell’ambito della comunicazione, specie laddove si guardi alla comunicazione in termini di “trasferimento”, la categoria-base del “luogo” diventa centrale. “Infatti, il problema del luogo diviene rilevante nella misura in cui si pensa: se per me comunicare significa trasportare qualcosa da un punto all’altro dello spazio allora le questioni relative al luogo assumono una decisiva importanza. Questa importanza è chiaramente avvertibile sia nel caso in cui intenda la comunicazione come uno spostamento del soggetto nello spazio fisico, sia nel caso in cui non sia il soggetto a muoversi ma il contenuto della comunicazione. Nel primo caso il luogo costituisce il punto di partenza e di arrivo del viaggio, comporta problemi in ordine al percorso (tracciare strade e ferrovie significa tenere presente la natura del territorio), determina il tempo di percorrenza, decide della separazione e del ricongiungimento delle persone che lo occupano. Tutti problemi che si ripresentano, chiaramente, nel secondo caso, quando non sono io a viaggiare, ma magari una mia lettera. Luogo, dunque, come origine ed esito della comunicazione, come territorio da percorrere, come spazio da condividere” (Rivoltella, 2001, p.46).

La rete telematica diventa un luogo soprattutto nel momento in cui la si considera come ambiente di comunicazione. Il riferirsi alle categorie dello “spazio” (luoghi, siti, ambienti, piattaforme) ed ai predicati verbali ad esse riferiti (inviare, ricevere, spostarsi, navigare, visitare, ecc.) deriva, con molta probabilità, sia dal fatto che realmente i server sono macchine che risiedono in luoghi fisici diversi tra loro e che quindi la rete telematica raccorda, attraverso un complesso sistema di interconnessioni (per altro note come: “autostrade dell’informazione”), praticamente l’intero globo terrestre, sia dal fatto che tra i diversi apparati si svolgono – a livelli diversi – dei processi di comunicazione e, quindi, di “trasferimento” di informazioni da un punto all’altro.

L’ambiente digitale costituisce un vero e proprio spazio che si affianca ed integra i precedenti spazi della comunicazione (Bolter, 1993), soprattutto nel momento in cui i fruitori, o meglio i produttori e consumatori di informazione, sono in grado di percepirlo come strumento di interconnessione. Si tratta di un nuovo spazio del sapere e della

comunicazione, che integra e rimedia la storia degli spazi della scrittura precedenti - dalla tavoletta di argilla, alla pietra scolpita, al papiro, al codex, fino al libro di Gutenberg, alla radio, al telefono e alla televisione (Ferri, 2002, pp. 15-71).

L’interconnessione tra persone, e tra persone e sistemi, attraverso la rete determina uno spostamento di prospettiva per gli strumenti, che da elementi di “mediazione” (cfr. § 2.1.1 e § 3.2) si trasformano in elementi di “passaggio”, in varchi attraverso i quali muoversi. I programmi software, con le loro interfacce, diventano così la zona di accesso: il delicato fulcro in bilico tra reale e virtuale, tra il mondo fisico nel quale il corpo della persona risiede e l’ambiente artificiale al di là dello schermo. Grazie ad Internet comunità di individui, apparati culturali e tecnologie si innervano, “fanno sistema”, fondando mondi dotati di caratteristiche relativamente stabili. La rete come “luogo dell’abitare virtuale, un doppio digitale del mondo reale” diventa così lo spazio in cui prende forma e si fanno visibili molti di quei caratteri che sono alla base della postmodernità (Ferri, 2002), diventando al tempo stesso elemento dominante e simbolo dei nostri tempi35. L’edificio dove si svolge la formazione in rete è un non-edificio, o meglio è un luogo qualsiasi: quello da dove l’individuo accede al sistema. Lo studente telematico può essere visto come un cybernauta36, un moderno Ulisse, che entra ed esce liberamente da ambienti di apprendimento differenti da quelli tradizionali, ma non per questo meno significativi. Il tutto si svolge in una realtà che non è “materiale”, anche se per le persone che la praticano questa offre vissuti psicologici ed emotivi analoghi a qualsiasi altra esperienza concreta. Il soggetto che comunica in rete, infatti non si trasferisce fisicamente dalla sua stanza in un diverso luogo, ma lo fa mentalmente. “La Rete e i suoi ambienti più che come luoghi alternativi alla realtà “reale” vanno concepiti come scenari di azione, come situazioni e sceneggiature di cui il soggetto è protagonista accanto ad infiniti altri (ad esempio, mentre chatto con mia sorella in Pensylvania rispondo a mio figlio che mi chiede cosa sto facendo e a mia moglie che mi chiede di liberare la linea telefonica)” (Rivoltella, 2001, p.48). Ciò rimanda ad una riflessione sul significato dell’aggettivo “virtuale” soprattutto nel momento in cui questo venga applicato a contesti che, almeno nelle conseguenze psicologiche ma di conseguenza anche fisiche, possono essere identificabili come “reali”. Non sembra infatti corretto parlare di uno spazio irreale o virtuale – nell’accezione di “non reale” – nel momento in cui i vissuti e le relazioni instaurate – avvengono in maniera vitale coinvolgendo fino nei sentimenti più intimi le persone coinvolte (Turkle, 1997; Wallace, 2000; Paccagnella, 2000)37. Attraverso le reti telematiche avvengono infatti fenomeni di costruzione di una realtà sociale condivisa attraverso molte delle modalità che i sociologi sono abituati a studiare da decenni: esistono reticoli di relazioni personali, processi di socializzazione, istituzioni, fasci di ruoli, norme e sanzioni, tutto raccolto all’interno del cyberspazio, questo luogo virtuale cui si applica splendidamente ciò che Robert Merton ha chiamato teorema di Thomas: “se gli uomini definiscono le situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. Internet ha visto lo svilupparsi di fenomenologie sociologiche, come nel caso delle comunità virtuali ,

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Secondo Ferri (2002) se la modernità ha visto l’incarnazione del proprio mito, quello del progresso, attraverso svariati simboli e metafore tecnologiche (la turbina, gli ingranaggi, la ciminiera, la locomotiva, ecc.) oggi è la rete web che incarna compiutamente le trame complesse della nostra ipermodernità. Da notare che l’autore, seguendo il sociologo Giddens (1990), preferisce utilizzare il termine “ipermodernità” piuttosto che “postmodernità” in quanto la nostra epoca non sarebbe uscita dal moderno, ma vi si sarebbe radicalizzata in maniera probabilmente immutabile.

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Il termine cyberspazio, da cui cybernauta, si deve allo scrittore di fantascienza William Gibson (1984) 37

Molti autori condividono con Lévy (1997) la posizione che vede nel virtuale non il contrario del reale, ma “il virtuale è qualcosa che esiste potenzialmente, con possibilità di attualizzazione inventiva”. Naturalmente questo tipo di considerazioni aprirebbero un interessante area di riflessione tra due posizioni opposte: la prima pronta a scorgere nel virtuale un potenziamento del reale e quindi un’opportunità preziosa per risolvere molti problemi visto che le nuove tecnologie consentono la costruzione di un modello perfezionato della realtà e allargare gli orizzonti della creatività e della conoscenza; la seconda posizione invece pronta ad enfatizzare i pericoli della distanza che separa il reale dal virtuale, per sottolineare il rischio di una progressiva perdita di contatto con il mondo reale, fino all’indistinguibilità tra realtà e “finzione”, o, più semplicemente con la perdita di interesse per il confronto con l’esperienza reale.

tali da far ipotizzare ad alcuni autori la presenza in rete di forme di “intelligenza connettiva” (De Kerckhove, 1999) o addirittura di “intelligenza collettiva” (Lévy, 1992, 1998). Il cyberspazio proprio per la sua natura decontestualizzata, sradicata dal contesto spazio- temporale, rappresenta per Lévy la condizione congeniale allo sviluppo di uno spazio aperto nel quale possa radicarsi una nuova socialità in grado di condividere saperi e dare vita a veri e propri fenomeni di intelligenza distribuita. Il cyberspazio è un luogo capace di esprimere una sua cultura (Lévy, 1999) e di far emergere forme spontanee di produzione collegiale: gli individui, svincolati dai limiti geografici e temporali, ma soprattutto affrancati dal peso e dal costo della produzione materiale, sarebbero secondo il filosofo francese spontaneamente spinti attraverso forme di partecipazione democratica a dare vita a momenti creativi dagli effetti significativamente benefici per lo sviluppo e la diffusione della conoscenza38.

Un’analisi più attenta ci porta ad evidenziare che l’origine di questi effetti è in realtà direttamente connessa con la capacità intrinsecamente umana di creare mondi simbolici (come luoghi e storie immaginari) o la possibilità di ripercorrere mentalmente ricordi e prospettare scenari per il futuro. Tali fenomenologie della mente non richiedono la mediazione di particolari apparati, né la vicinanza o il contatto fisico con altri attori sociali. Certamente i luoghi, le tecnologie, le situazioni sociali mediano, offrono nuove possibilità, creano le condizioni potenziali, ma non per questo rappresentano le condizioni necessarie. Lo stesso Lévy (1998) precisa: “La mia vicina di pianerottolo, con la quale scambio il buongiorno e la buona sera, è vicinissima a me nello spazio-tempo ordinario, ma lontanissima sul piano della comunicazione. Paradossalmente leggendo un libro di un autore morto ormai da tre secoli, posso stabilire con lui, nello spazio dei segni e del pensiero, un contatto intellettuale molto forte… molto più forte del contatto con la mia vicina di casa. Queste persone in piedi attorno a me nel metrò sono più distanti di me, sul piano affettivo, di mia figlia o di mio padre che si trovano a cinquecento chilometri di distanza da qui”. Come evidenziato dalla prospettiva costruttivista (cfr. § 2.1): il mondo in cui viviamo, è in larga parte creato dalla mente di ogni individuo. La mente umana è cioè in grado di creare “internamente” il contesto della propria azione: costruendo e denotando di senso il proprio agire anche ed indipendentemente dal mondo esterno: sia esso fisico o virtuale. Nonostante questo, lo spazio esterno, e quindi: la disponibilità di strumenti di mediazione e la presenza di altri soggetti consentono di imprimere una direzione, di sviluppare percorsi e di aprire strade ed opportunità senza i quali, non sarebbe neppure possibile - come evidenziato da Vygotskij - lo sviluppo umano. Una caratteristica che rende affascinanti gli strumenti digitali è però quella di fornire il supporto alla possibilità umana di muoversi fluidamente tra interno ed esterno (della mente) in maniera interattiva fornendo un supporto mobile e realistico allo stesso tempo. “Le nuove tecnologie sono un passo oltre nella possibilità dei media di rendersi invisibili e trasparenti all’utente, dal momento che permettono la costruzione di veri e propri ambienti cognitivi a più dimensioni, ordinati in modo spaziale e non temporale, all’interno dei quali il sensorio dell’uomo distingue con sempre maggiore difficoltà quale realtà, quella ‘effettuale’ o quella ‘virtuale’, i sensi gli restituiscono” (Ferri, 2002, p.124). Siamo nell’ambito della mimesi digitale, che a differenza di ogni precedente forma di rappresentazione del reale, comprese le - pur prossime - arti figurative moderne, a partire dalla pittura realistica fino alla fotografia, al cinema e alla televisione, si caratterizza specificamente per la tendenza a rendersi “trasparente” e manipolabile. Una fotografia può consentire di stupire, nella sua osservazione, sul modo immediato con cui restituisce un fatto o un evento. Un film potrà coinvolgere molto più intensamente lungo una storia, magari fantastica, ma un “ambiente virtuale spaziale a più dimensioni, non solo genera in forma digitale un luogo dell’esperienza all’interno del quale la maggior parte dei sensi sono

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Una esemplificazione di queste prospettive è rappresentata dal fenomeno dilagante in rete del così detto copyleft (un neologismo che si contrappone al più noto copyright), il quale propone, a differenza del diritto d’autore remunerato, il diritto alla copia indiscriminata. L’esempio più significativo è rappresentato dal sistema operativo gratuito Linux e dai vari programmi

coinvolti, ma risponde agli input ed alle sollecitazioni che noi stessi creiamo” (Ferri, 2002, p. 125). Naturalmente il limite estremo è rappresentato dalle esperienze messe a disposizione della realtà virtuale, che oggi soprattutto nel mondo dei giochi elettronici tridimensionali, grazie ad opportuni dispositivi (caschi, tute e “data glove”) consentono una “visione in soggettiva” dell’ambiente virtuale esplorato, ponendosi di realizzare l’obiettivo della totale immersione dell’utente nell’ambiente virtuale. Nella formazione in rete, a parte sperimentazioni particolari, le tecnologie forniscono supporti molto meno avveniristici, ma non per questo incapaci di garantire un passaggio efficace e duraturo verso una dimensione spaziale “realistica” dove possono avvenire efficaci – e reali – interazioni sociali. Questi spazi virtuali sono prevalentemente spazi relazionali, ovvero luoghi dove in primo luogo è la dimensione dialogica a rappresentare il collante e il supporto capace di fornire alla mente gli elementi per l’ipostasi, la rappresentazione concreta di una realtà astratta e consistente al di là del fluire fenomenico. Come fa notare Banzato (2003, p. 61): “gli spazi virtuali relazionali spesso non hanno nessuna correlazione con il piano spaziale in cui ci troviamo. Noi in continuazione passiamo attraverso ‘i mondi possibili’ in un costante dialogo tra reale e virtuale senza con questo confonderci nelle relazioni o con le persone. […] La nostra attività cognitiva ci consente di ‘calcolare’ le distanze tra i vari sistemi, orientandoci costantemente tra le informazioni temporali, spaziali, affettive, linguistiche”. Il dialogo, nel “luogo, non- luogo”, messo a disposizione dal cyberspazio, è quindi capace di creare i presupposti per lo sviluppo di esperienze sociali efficaci e tangibili secondo modalità che, nella prospettiva contestualista, vengono evidenziate come centrali per il significativo sviluppo di processi cognitivi ed apprenditivi.