2.5 L’apprendimento come azione sociale La teoria dell’attività
2.5.1 Partecipazione legittimata e comunità di pratiche
Nel 1988 dalle suggestioni offerte dalla teoria dell’attività, ed in particolare dal lavoro svolto da Cole, Mukerji ed Engeström, prende avvio a cura di Lave e Wenger la formulazione del concetto di “partecipazione periferica legittimata” - LPP - legitimate periferial partecipation (Lave, Wenger, 1991) e del costrutto di “comunità di pratica”, successivamente approfondito in particolare da Wenger (Wenger 1998; Wenger, McDermott, Snyder, 2002). L’apprendimento, in questa prospettiva, è eminentemente un processo di partecipazione, di acquisizione attraverso la pratica (l’attività), delle conoscenze disponibili all’interno di un contesto. “L’apprendimento visto come un’attività situata ha come caratteristica principale un processo che possiamo chiamare di partecipazione periferica legittimata. Attraverso questa formulazione intendiamo concentrare l’attenzione sul fatto che chi apprende inevitabilmente partecipa ad una comunità di praticanti e che padroneggiare la conoscenza e le competenze richieste ai neofiti muovono verso una piena partecipazione nelle pratiche socioculturali di una comunità” (Lave, Wenger, 1991, p.29). Per comprendere pienamente questa proposta, che sposta il focus dal livello psicologico a quello antropologico-sociale, è necessario acquisire il punto di vista dell’apprendista. Colui che entra nel processo lavorativo procede usualmente da compiti più semplici e meno importanti verso compiti cruciali e “centrali”. La motivazione all’apprendimento é data dalla legittimazione sociale, mentre la sua possibilità deriva proprio dal partecipare, come apprendista, ad ottenere gradualmente un’immagine dall’attività nel suo insieme e delle cose che sono necessarie. L’apprendimento
si sviluppa spontaneamente grazie all’opportunità di partecipare all’esecuzione pratica. Sono naturalmente presenti suggestioni vygotskijane in questa visione dell’avvicinarsi, dello spingersi, da parte dell’apprendista, nella propria zona dello sviluppo prossimale, verso la prestazione corretta offerta dagli esperti. In un processo di autoformazione, l’individuo progredisce nella pratica entrando attraverso i “bordi” nella comunità degli esperti. In base al principio dell’LLP ogni membro della comunità, dal meno esperto e quindi più “periferico”, al più competente e quindi più “centrale”, ha la stessa rilevanza e gode di eguali diritti di appartenenza ad essa, ma è comunque necessario che i ruoli e le competenze di ogni soggetto coinvolto vengano mostrati in modo da favorire la circolazione delle esperienze. Questo è particolarmente vero nei contesti lavorativi nei quali è soprattutto necessario apprendere, non solo nozioni astratte e decontestualizzate, ma piuttosto pratiche di lavoro, ruoli sociali e comportamenti comunicativi rilevanti e strategici in quello specifico contesto,
Il modello delle comunità di pratiche, precisato successivamente da Wenger (1998), definisce le caratteristiche di questi gruppi aggregativi informali e le modalità tipiche di sedimentazione, diffusione e sviluppo delle conoscenze derivanti dalle esperienze pregresse. Per comunità di pratica si può intendere, in senso ampio, ogni aggregazione sociale – tipicamente informale – nella quale sia presente una forte coesione attorno ad un impegno, interesse, obiettivo o necessità comune. La comunità di pratica condivide un vocabolario, un modo di parlare e di argomentare comune; ha una visione sufficientemente condivisa di cosa sia un problema e di cosa sia accettabile come soluzione; ha strumenti e metodi caratteristici per lo svolgimento delle attività; ha una storia in comune ed è presente una rete sociale tra i membri (Jordan, 1992). Una comunità di pratica si articola quindi in tre dimensioni fondamentali: il mutuo impegno (mutual engagement), un’impresa comune (joint a enterpraise) e un repertorio condiviso (shared repertori). Il concetto unificante è l’aggregazione informale caratterizzata e contraddistinta da una forte propensione alla condivisione di conoscenze ed esperienze: possono essere individui che svolgono attività uguali, simili o complementari e che condividono esperienze reciprocamente utili, anche se non necessariamente all’interno della stessa organizzazione. Le comunità di pratiche si basano sull’assunto che il processo di apprendimento sia interamente situato non soltanto nello spazio e nel tempo, ma anche inestricabilmente rispetto alla pratica sociale: “nella nostra prospettiva, l’apprendimento non è meramente situato nella pratica – come se esso fosse un qualche processo di reificazione indipendente che capita per caso in qualche luogo; l’apprendimento è una parte integrante della pratica generativa sociale del mondo in cui si vive” (Lave, Wenger, 1991, p.35). Nelle comunità di pratica i momenti del lavoro non sono disgiunti da quelli dell’apprendimento, anzi: i momenti di apprendimento sono perlopiù legati al pensiero pratico, ovvero “l’intelligenza è al lavoro” (Scribner, 1995) e agisce per realizzarne gli scopi.
L’impegno comune è la base cognitiva ed emotiva della comunità, è l’insieme delle relazioni che tengono unita la comunità e l’atteggiamento che ogni partecipante ha nei confronti della pratica stessa.
Un’impresa comune è ciò che caratterizza la comunità in concreto: è ciò che sostiene gli interessi del gruppo. Condividere un compito, lavorare insieme ad un progetto, avere gli stessi obbiettivi non è un punto di partenza ma un punto di arrivo, è il risultato di un processo collettivo di negoziazione che riflette la piena complessità di un mutuo impegno. L’impresa comune quindi non è identificata tanto da un’omogeneità di intenti, ma piuttosto da una negoziazione condivisa, attiva e mutevole degli obiettivi, impliciti o meno, e delle pratiche. Il “repertorio condiviso” è quell’insieme di risorse che la comunità ha prodotto o adottato nel corso del tempo, è cioè un “patrimonio storico” della comunità, una memoria collettiva, ma ha la caratteristica di rimanere sempre un po’ ambigua, suscettibile alla dinamicità delle relazioni e alla negoziazione dei significati. Wenger, per rendere il carattere dialettico dell’appartenenza attiva alle comunità, distingue in due momenti complementari: quello della partecipazione e quello della reificazione (Wenger, 1998, p. 104). Vivere una comunità in termini di partecipazione significa sentirsi coinvolti, aderire alla sua cultura, conoscersi e
riconoscersi negli altri membri. La partecipazione in questo senso è fonte di identità, in un movimento che va dagli altri verso il nostro mondo interiore. La reificazione è invece quel processo sintetico di astrazione attraverso il quale vengono generati nuovi significati. Al contrario della partecipazione, qui il significato viene alienato e concretizzato al di fuori dell’individuo sotto forma di strumenti, enunciati o leggi. La reificazione è però anche il momento in cui è possibile riconoscersi come individui attivi e creativi, essendo quello in cui l’identità viene proposta agli altri attraverso i suoi prodotti. L’identità è uno dei concetti più sviluppati nelle riflessioni di Wenger. L’identità viene vista, al di fuori di categorie psicologiche, come processo continuo e in continuo divenire: non determinata dalla nascita, né assunta in un momento particolare, ma un “work in progress” all’interno dei processi di partecipazione e reificazione. Le caratterizzazioni principali dell’identità sono cinque (ibidem, pp.149-163): identità come esperienza di negoziazione, ovvero come risultato dell’interazione tra partecipazione e reificazione. Identità come appartenenza: il far parte di una comunità consente di definire l’individuo e dargli la possibilità di riconoscere e condividere atteggiamenti, obiettivi e repertori comuni. Identità come traiettoria di apprendimento: qui la dimensione temporale, in una prospettiva non lineare, fornisce la possibilità di incorporare “il passato ed il futuro nello stesso processo di negoziazione del presente” ovvero consente di stabilire ciò che è rilevante per l’individuo e quindi gli consente di selezionare e apprendere in maniera personale all’interno della comunità. Identità come un nesso tra diverse appartenenze: ognuno partecipa a diverse comunità, e quindi l’identità è sostanzialmente riconciliazione di appartenenze multiple. Infine c’è la dimensione dell’identità come relazione tra locale e globale, ovvero equilibrio tra la dimensione della specificità e quella dell’astrattezza e della generalità.