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Le regole cautelari in materia sanitaria

CIRCOLAZIONE STRADALE

5. La responsabilità per colpa del medico e l’applicabilità del principio di affidamento

5.1. Le regole cautelari in materia sanitaria

Tuttavia, non basta la sola esclusione dell’operatività del principio di affidamento a determinare la responsabilità del medico. Infatti, per poter muovere un autentico rimprovero colposo al sanitario è necessario altresì individuare puntualmente le regole cautelari che questi era tenuto a rispettare e, in caso di loro eventuale violazione e conseguente evento dannoso, verificare che il comportamento rispettoso di tali regole – concretamente esigibile in termini di rimproverabilità - avrebbe impedito l’evento.

Merita rilevare che, nel corso degli anni, vi è stata una progressiva procedimentalizzazione delle regole cautelari cui i sanitari sono tenuti a far riferimento, tanto che alcuni sono giunti ad affermare che, nell’ambito dell’attività medico-chirurgica (come per la sicurezza sul lavoro), si assiste ad uno sconfinamento della colpa generica in colpa specifica.

In campo medico si sono venuti via via diffondendo strumenti, quali le linee guida, i protocolli e le check list, volti a codificare, con modalità e finalità differenti, il sapere medico e a procedimentalizzarne l’attività. In particolare, le linee guida (secondo la definizione più accreditata, elaborata dall’Institute of

Medicine statunitense) sono raccomandazioni di comportamento clinico

sviluppate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni di esperti, aventi lo scopo di aiutare le decisioni del medico e del paziente riguardo alle cure sanitarie più adatte nelle specifiche circostanze cliniche79. In sostanza, esse consistono in un percorso diagnostico ideale che viene suggerito ai medici per decidere quali siano le modalità di assistenza più adeguate ed hanno, dunque, l’obiettivo di ridurre il più possibile la parte di variabilità nelle decisioni cliniche, legata alla carenza di conoscenze e alla soggettività nella scelta delle strategie terapeutiche. Tali strumenti, tuttavia, non essendo vincolanti per gli operatori sanitari, e avendo la funzione di fornire suggerimenti, sono di mero indirizzo; d’altronde una vincolatività delle linee guida confliggerebbe sia con la

natura dell’attività medico-chirurgica, rispetto a cui non è possibile standardizzare i rischi e limitare le scelte assistenziali degli operatori, sia con le esigenze di celerità del mondo scientifico, dovendo tali strumenti essere aggiornati a seguito dell’acquisizione di nuove conoscenze.

Una differente configurazione assumono, invece, gli altri strumenti contenenti regole cautelari per i sanitari: e cioè i protocolli. Questi ultimi sono schemi di comportamento diagnostico o terapeutico definiti e vincolanti a cui il medico deve pedissequamente attenersi nell’esercizio di una certa attività. Alla categoria dei protocolli sono riconducibili anche le c.d. check list, ossia vere e proprie liste di controlli e di procedure da eseguire che permettono, attraverso la verifica dei passaggi effettuati, di controllare i vari momenti di un’attività complessa, in modo da sincerarsi di non aver saltato o mal effettuato alcuni passaggi.

Le linee guida, i protocolli e le check list oltre ad orientare l’attività dei singoli operatori si rivelano strumenti particolarmente utili nelle attività plurisoggettive, in quanto regolamentano i profili di interazione tra i vari operatori, individuandone anche regole e mansioni. Inoltre, la codificazione, insita in tali strumenti, delle regole cautelari presenta vantaggi anche in relazione al principio di determinatezza e alla valutazione della colpa. Essendo la regola di diligenza predeterminata, essa risulterà conoscibile ex ante dal soggetto agente di modo che, in sede di accertamento, il giudice non sarà creatore di tale regola ma mero fruitore, non dovendo ricorrere all’individuazione degli usi comuni nel settore o all’utilizzo dell’agente modello per valutare la colpa del sanitario.

Tuttavia, bisogna precisare che parte della dottrina80 ha evidenziato che ricondurre, in particolare, le linee guida alla categoria delle regole cautelari non sarebbe corretto. Tali strumenti, infatti, non godono dell’autorevolezza della fonte di produzione, non essendo presenti solo nel Sistema Nazionale Linee Guida81 ma

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A, PALMA, Paradigmi ascrittivi, p. 69 ss.

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In Italia si è assistito alla progressiva introduzione di un sistema istituzionalizzato e pubblico di sviluppo delle linee guida mediante il Programma Nazionale per le linee guida, previsto dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 e dal d.l. n. 229/1999, che ha lo scopo di divulgare, aggiornare e implementare questo strumento. In tale contesto normativo il Ministero della Salute ha poi istituito, con d.m. 30 giugno 2004, presso l’Istituto Superiore di Sanità, il Sistema Nazionale Linee Guida, a cui è affidato il compito di elaborare raccomandazioni di comportamento clinico evidence based. La banca dati del Sistema Nazionale ha lo scopo di individuare le linee guida che descrivono le alternative disponibili per ogni patologia in modo da

potendo essere anche prodotti da società scientifiche nazionali o internazionali o essere adottati da singole Aziende Sanitarie o da singoli Dipartimenti, senza un’uniformità di orientamenti.

Anche il contenuto e il grado di diligenza richiesto nelle linee guida non è uniforme; talvolta, esse individuano il miglior trattamento terapeutico, altre volte si limitano ad individuare lo standard minimo, facendo riferimento non alle cure ottimali ma a quelle generalmente praticate82. Inoltre, spesso le linee guida sono prive di un autentico contenuto cautelare; avendo come obiettivo la riduzione del divario tra conoscenza scientifica e pratica clinica, esse sono costruite in funzione di un effetto strettamente clinico e terapeutico e non di prevedibilità ed evitabilità dell’evento infausto, come dovrebbero, se si trattasse di regole cautelari. E, ad ulteriore conferma del fatto che tali strumenti non abbiano natura autenticamente cautelare, bisogna rilevare che, nella prassi, esistono linee guida aventi scopi diversi dalla diffusione di metodi uniformi di comportamento, aventi il fine di contenimento della spesa sanitaria ed essendo prive, quindi, di finalità cautelare.

Per tali ragioni la dottrina, nell’individuare le regole cautelari riferibili agli operatori sanitari ha escluso le linee guida privilegiando, piuttosto, i protocolli e le

check list; questi strumenti, per il loro grado di precisione e vincolatività e per il

contenuto realmente preventivo, possono essere ricondotti alla nozione di “discipline” e di regola cautelare di cui all’art. 43 c.p., fondando, in caso di violazione, ipotesi di colpa specifica83.

Al fine dell’individuazione di una responsabilità autenticamente colposa, una volta individuate le regole cautelari che pongono obblighi in capo agli operatori sanitari e verificata la loro violazione, sarà altresì necessario verificare che l’evento infausto sia ricollegabile alla condotta colposa del sanitario non solo dal

orientare i medici nello scibile di informazione scientifica in circolazione. A tal riguardo, A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, p. 69.

82 Un minor grado di affidabilità, inoltre, sarebbe da riconoscere alle linee guida fondate sul

consenso di un gruppo di esperti rispetto a quelle basate su evidenze scientifiche derivanti da sperimentazioni cliniche controllate ( c.d. Evidence Based Medicine-EBM). Così A. PALMA,

Paradigmi ascrittivi, cit. p. 71.

83 Le “discipline” cui fa riferimento l’art. 43 c.p., infatti, sono norme generali emanate non solo

da Autorità pubbliche ma anche private, con il fine di fissare regole di comportamento precise per l’esercizio di una certa attività. Con tale riferimento l’art. 43 c.p. permette di dar rilievo a fonti subnormative (quali i protocolli ma anche le direttive del datore di lavoro, in materia di sicurezza sul lavoro) e a regole di condotta professionale accettate e condivise da una certa comunità scientifica. In tal senso, A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, cit., p. 72.

punto di vista della causalità materiale ma anche sotto il profilo del nesso tra condotta colposa ed evento (c.d. causalità della colpa). Non sarà, quindi, sufficiente che l’evento sia conseguenza della condotta attiva od omissiva del soggetto agente ma sarà, altresì, necessario che tale evento abbia come suo preciso presupposto la violazione della regola cautelare. In tale analisi assume principale rilevanza l’accertamento del c.d. comportamento alternativo lecito: si dovrà, cioè, verificare se il rispetto della regola cautelare avrebbe impedito o meno il verificarsi dell’evento84. Bisognerà, quindi, valutare l’efficacia preventiva della regola cautelare mediante un giudizio bifasico: il primo fondato su di un criterio

ex ante, sarà finalizzato ad individuare in astratto il contenuto della condotta

doverosa che rende evitabile l’evento; il secondo verrà effettuato mediante un giudizio ex post che, tenendo conto delle concrete circostanze del fatto, permetta di stabilire se nel caso concreto il rispetto della regola cautelare avrebbe svolto la propria funzione precauzionale impedendo l’evento. Infatti, la punibilità di un evento, realmente cagionato per colpa, deve derivare dalla constatazione della tendenziale evitabilità della lesione del bene in caso di osservanza della regola di diligenza.

Ma ciò non basta. Una volta effettuati questi accertamenti, sarà altresì necessario valutare se al soggetto (in questo caso, il medico) si possa muovere un rimprovero colposo dal punto di vista soggettivo. Si tratta, cioè, di valutare la riconoscibilità o meno dei presupposti di fatto che rendono obbligatorio il dovere di diligenza (in particolare di quei presupposti che fanno sorgere il dovere di controllo) e, alla luce delle reali attitudini del soggetto concreto, valutare se egli fosse in grado di uniformare la propria condotta alla regola di cautela. Il giudizio di imputazione colposa così instaurato (alla luce delle circostanze peculiari del caso concreto e dell’accertamento delle reali attitudini del soggetto) potrà dirsi

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Per quanto riguarda il grado di probabilità di evitabilità dell’evento a seguito dell’ipotetico comportamento alternativo lecito, si assiste a due differenti orientamenti. Un primo, prevalente, orientamento ritiene che per l’ascrivibilità dell’evento al soggetto sia sufficiente che la condotta non diligente abbia aumentato il rischio di verificazione dell’evento. Altro orientamento, viceversa, volendo limitare l’ampliamento di sfere di responsabilità, ritiene che per l’imputazione dell’evento sia necessaria la certezza o alta credibilità dell’effettiva efficacia preventiva della regola cautelare. Per la distinzione tra i due orientamenti v. A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, p. 93 ss.

rispettoso sia del principio di personalità della responsabilità penale, ex art. 27, comma 1, Cost., sia del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost85.

Nell’effettuare tale giudizio in concreto, non si potrà tener conto di tutte le caratteristiche del soggetto agente; la dottrina86 ritiene che si debba, in particolare, tenere in considerazione tutte le caratteristiche fisiche ed intellettuali (ad esempio il livello di socializzazione, cattive condizioni di salute ecc.) ed eventuali circostanze anomale concomitanti all’agire (quali, ad esempio, stanchezza, stress emotivo e paura), mentre saranno da escludere la valutazione circa le qualità di tipo morale o caratteriale (come, ad esempio, l’insensibilità, la superficialità ecc.).

Bisogna, tuttavia, rilevare che nella giurisprudenza si assiste ad una carenza di valutazioni in merito al profilo dell’attribuibilità soggettiva del fatto e dell’individualizzazione della colpa e che, nei rari casi in cui si effettua un esame delle componenti soggettive, queste non vengono compiutamente valorizzate in sede di decisione. Esemplificativa, in tal senso, risulta l’analisi della posizione giurisprudenziale nei casi di cooperazione multidisciplinare in campo medico; le decisioni relative a tali contesti, in particolare, si avvalgono di due parametri al fine di orientare il giudizio di individualizzazione: l’evidenza e la non settorialità dell’errore.

Parametri evidentemente generici, l’individuazione del cui contenuto non potrà che essere rimessa alla discrezionalità interpretativa del giudice che, nella maggior parte dei casi, ne amplia il contenuto fino ad impedire l’applicazione del principio di affidamento. In particolare, la giurisprudenza intende il requisito dell’evidenza in senso meramente quantitativo, come grossolanità e macroscopicità dello scostamento del sanitario dalle leges artis che disciplinano le modalità di intervento. Tuttavia, ai fini di un giudizio autenticamente individualizzante, sembrerebbe più corretto che l’evidenza fosse intesa su un piano qualitativo, come concreta percezione o percepibilità dell’errore altrui da parte del sanitario che,

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Le regole cautelari, infatti, essendo volte a regolare categorie di situazioni in modo omogeneo e uguale per tutti i consociati, non permettono di valutare se nel contesto in cui ha operato il soggetto si siano innestate condizioni soggettive così anomale da mettere in dubbio la possibilità di ricomprendere l’agente nella categoria disegnata in sede normativa. Dunque, se si applicassero le medesime conseguenze giuridiche a situazioni che, per il loro grado di anomalia, si distanziano dal dato normativo, si avrebbe una violazione del principio di uguaglianza. Argomenta in tal senso A. PALMA, Paradigmi ascrittivi, cit., p. 99.

non si può dimenticarlo, è già impegnato dal rispetto delle regole di diligenza relative alle mansioni svolte. La percepibilità dell’errore, inoltre, è necessariamente legata alla non settorialità dello stesso: si può richiedere ad un sanitario di avvedersi di un errore altrui e di emendarlo (riconoscendo in capo a questi un dovere di controllo), soltanto se tale errore sia riconoscibile alla luce delle conoscenze comuni a ogni sanitario e non sulla base di conoscenze tecniche legate alla specializzazione87.

Alla luce dei requisiti inerenti al dovere di controllo da parte dei colleghi, risulta quindi necessario tener conto delle circostanze concrete in cui si sia verificato l’evento: non si potrà perciò prescindere dal considerare le competenze del soggetto agente (si pensi, ad esempio, al medico in posizione iniziale, il quale ha minori strumenti per riconoscere gli errori del collega rispetto ad un medico esperto), il tipo di mansioni tecniche a questi affidate e il ruolo svolto nel contesto del trattamento88.

5.2. La responsabilità penale del medico alla luce della riforma “Gelli-

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