• Non ci sono risultati.

DELLA SICUREZZA SUL LAVORO

2. Le principali posizioni di garanzia nella sicurezza sul lavoro alla luce del d.lgs n 81/

2.1. Il datore di lavoro

2.1.1. Gli obblighi del datore di lavoro

Avendo individuato quali sono i requisiti necessari al fine di poter definire un soggetto “datore di lavoro”, occorre adesso analizzare il tipo di obblighi rivolti a tale figura e, più specificamente, quanto il loro corretto adempimento possa legittimare il garante primario della sicurezza a far affidamento sulla correttezza dell’operato dei soggetti che con lui collaborano.

A carico del datore di lavoro vengono poste due categorie di obblighi: la prima concerne alcuni adempimenti non delegabili, sanciti dall’art. 17 del T.U.S.L., la seconda riguarda gli obblighi che il datore di lavoro condivide con il dirigente, indicati all’art. 18 del T.U.S.L.

Si noti, inoltre, che la giurisprudenza tende ad ampliare il novero degli obblighi di tale figura basandosi sull’art. 2087 c.c., definito quale “norma di chiusura” rispetto alle norme della legislazione antinfortunistica37, in quanto fonte di un dovere di diligenza residuale ben più ampio di quello positivizzato. Suddetta norma, infatti, è stata ritenuta fondante la posizione di garanzia che il datore di lavoro assume nei confronti dei lavoratori e, a causa della usa generalità38, è stata spesso utilizzata per individuare la responsabilità del datore di lavoro allorquando, pur avendo questi rispettato le norme disposte dalla disciplina in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, si siano comunque verificati eventi in danno di questi ultimi. Tale norma, in sostanza, è stata spesso utilizzata per fondare una contestazione residuale di colpa generica anche in assenza di violazioni di doveri preventivo-cautelari espressamente previsti, determinando l’ampliamento

36 Secondo quanto evidenziato da B. DEIDDA, I soggetti, in B. DEIDDA e A. GARGANI, Reati contro la salute, p. 46 ss.

37 In tal senso, L. MONTICELLI, Le fattispecie sanzionatorie speciali, in B. DEIDDA e A.

GARGANI, Reati contro la salute, cit., p. 298.

38 L’art. 2087 c.c., infatti, dispone che <<L'imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio

dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro>>.

sostanzialmente illimitato degli obblighi del datore di lavoro, in contrasto con le precise disposizioni del d.lgs. n. 81/200839.

Per quanto riguarda, invece, gli obblighi specifici indicati dalla normativa antinfortunistica, l’art. 17 stabilisce due doveri esclusivi assegnati al datore di lavoro: la valutazione di tutti i rischi e la conseguente elaborazione del documento di valutazione previsto all’art. 28; la designazione del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.

Rispetto all’analoga disciplina del d.lgs. n. 626/1994, il Testo Unico ha ristretto il campo della non delegabilità ai due obblighi indicati così che, se ne deduce, tutti gli altri obblighi sono da ritenersi delegabili.

La ragione per la quale il legislatore ha individuato solo questi due doveri come esclusivamente propri del datore di lavoro, dipende dal fatto che gli obblighi indicati riguardano profili strategici del sistema di prevenzione, che già la giurisprudenza aveva assegnato all’esclusiva competenza del datore di lavoro40.

Infatti, il procedimento di valutazione ed individuazione dei rischi ha un ruolo primario nelle scelte imprenditoriali, in materia di salute e sicurezza, e nell’adozione delle conseguenti misure di prevenzione. Inoltre, secondo quanto disposto dalla normativa europea41, di cui il d.lgs. n. 81/2008 è espressione, il datore di lavoro quando debba apprestare le misure di sicurezza per la salute e l’incolumità dei lavoratori è obbligato ad usare il metodo scientifico (similmente a quanto viene fatto per perseguire il massimo profitto).

39 La dottrina maggioritaria, per evitare simili derive applicative, ritiene che il ruolo dell’art.

2087 c.c. dovrebbe limitarsi alla sua originaria funzione di fonte di una posizione giuridica di garanzia, senza farne discendere ulteriori doveri, peraltro non precisamente identificati, in capo al datore di lavoro, dovendosi limitare gli obblighi riferibili a quest’ultimo alle disposizioni del d.lgs. n. 81/2008. Al massimo, sostiene la dottrina, l’art. 2087 c.c. potrebbe essere utilizzato quale parametro teleologico attraverso cui interpretare le diverse norme-scopo e regole cautelari “aperte”, in base al principio secondo cui il datore di lavoro deve orientarsi in base al parametro della “massima sicurezza possibile” nel perseguire una politica di prevenzione che sia, tuttavia, ragionevolmente esigibile. Per tali rilievi v. D. CASTRONUOVO e altri, Diritto penale della

sicurezza sul lavoro, p. 58 ss. 40

Secondo quanto ritenuto da D. CASTRONUOVO e altri, Diritto penale della sicurezza sul

lavoro, p. 48 ss.

41 La c.d. direttiva “quadro”, n. 89/391/CEE, dettava i requisiti minimi di sicurezza e salute dei

lavoratori destinati ad essere recepiti in tutti gli Stati membri. In Italia, il recepimento è avvenuto con il d.lgs. n. 626/1994; la disciplina ha mantenuto i propri caratteri fondamentali anche in presenza delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 81/2008, conseguente alla legge delega n. 123/2007, che ha dettato una disciplina unitaria per i vari rischi lavorativi e ha dato omogeneità alla materia, prima caratterizzata da discipline diverse e, a volte, contraddittorie.

Trattandosi di valutazioni e decisioni preliminari all’esercizio dell’impresa e destinate a tracciare il percorso che questo seguirà, il legislatore ha deciso di renderle esclusive del datore di lavoro, in quanto soggetto che primariamente ha il dovere di garantire la sicurezza dei propri dipendenti. Per questa ragione gli artt. 28 e 29 del T.U.S.L. sanciscono, da un lato, un metodo di valutazione fondato sulla programmazione e sull’organizzazione scientifica dell’attività di prevenzione e, dall’altro, pretendono che l’attuazione delle misure sia affidata a soggetti esperti e dotati di competenze specifiche e poteri adeguati. La portata di tale obbligo, tra l’altro, risulta particolarmente estesa in quanto, a seguito dei numerosi contrasti interpretativi sorti, si è ritenuto che il reato di cui all’art. 28 d.lgs. n. 81/2008 si concretizzi non solo in caso di mancanza assoluta di valutazione ma anche in presenza di una valutazione che fosse incompleta, imperita o inadeguata, ampliando la portata del dovere del datore di lavoro. A tal proposito, infatti, i giudici di legittimità hanno risolto la questione nel senso che <<non soltanto l’omessa redazione del documento di valutazione, ma anche il suo mancato, insufficiente o inadeguato aggiornamento, integra il reato>>42.

Dunque, qualora abbia tralasciato di valutare anche uno solo dei rischi attinenti alla lavorazione dell’impresa, il datore di lavoro contravviene all’obbligo generale di valutare tutti i rischi e a quello particolare previsto negli artt. 28 e 29. Ciò in ragione del fatto che la valutazione dei rischi deve essere completa, ossia deve contenere l’intero spettro di situazioni che, secondo varie modalità, potrebbero minacciare la salute dei lavoratori.

Discorso differente riguarda, invece, il contenuto valutativo del documento di valutazione dei rischi. Può, infatti, accadere che il datore di lavoro, avvalendosi dei collaboratori a ciò preposti (Responsabile del servizio di Prevenzione e Protezione e medico competente) abbia considerato tutti i rischi esistenti ma li abbia valutati in modo insufficiente o inadeguato. In questo caso, per stabilire se sia o meno integrata la relativa contravvenzione, occorre riferirsi ad criterio di prudenza: riservare la sanzione solo a quei documenti che, per la loro manifesta

inadeguatezza o palesi insufficienze, si concretino in vere e proprie mancate valutazioni dei rischi43.

Dai doveri posti a carico del datore di lavoro consegue che, secondo la volontà del legislatore, questi svolga un ruolo assolutamente centrale che si estrinseca nell’obbligo di istituire il sistema di prevenzione, di esserne il promotore, il regista e l’attento controllore in ogni fase della lavorazione. È questa la ratio della indelegabilità di taluni suoi compiti.

Tuttavia, bisogna porre attenzione a una questione cruciale. La previsione di non delegabilità dei compiti non significa che il datore di lavoro sia personalmente impegnato nell’adempimento degli obblighi esclusivi. Anzi, lo stesso legislatore, all’art. 33 d.lgs. n. 81/2008, prevede che il compito della valutazione dei rischi sia effettuato con la consulenza del Responsabile del servizio di Prevenzione e Protezione e, all’art. 29, comma 1, che, nei casi di sorveglianza sanitaria (di cui all’art. 41 del T.U.S.L.), partecipi anche il medico competente. Dunque, il vero senso della non delegabilità degli obblighi consiste nell’attribuzione della responsabilità giuridica della loro attuazione esclusivamente al datore di lavoro il quale, pur facendosi assistere da collaboratori ed esperti necessari, resta il garante unico del corretto adempimento degli obblighi previsti dalla legge44, senza doversene desumere un’impossibilità di collaborazione con alti soggetti.

I compiti del datore di lavoro non si esauriscono nelle previsioni dell’art. 17. L’art. 18, infatti, elenca una serie di doveri attribuiti indifferentemente al datore di lavoro e al dirigente, nell’ambito delle competenze e attribuzioni di ciascuno.

Da ciò consegue che, per individuare la titolarità degli obblighi del datore e del dirigente, è necessario esaminare il tipo di organizzazione in cui tali soggetti sono inseriti e quali siano in concreto i compiti e le funzioni che sono attribuite all’uno o all’altro.

Tale necessità deriva dal fatto che, nel sistema del diritto penale della sicurezza sul lavoro, vige uno stringente nesso, rilevante sul piano giuridico, tra i poteri

43

In tal senso, B. DEIDDA, I soggetti, in B. DEIDDA e A. GARGANI, Reati contro la salute, cit., p. 49.

44 Come argomentato da B. DEIDDA, I soggetti, in B. DEIDDA e A. GARGANI, Reati contro la salute, cit., p. 49.

riconosciuti al datore di lavoro, nell’ambito dell’organizzazione d’impresa, e le responsabilità che derivano dall’aver adottato un modello organizzativo che non sia stato in grado di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Dunque, il potere organizzativo e la responsabilità sono due facce della stessa medaglia: gli obblighi della prevenzione si legano necessariamente al contesto aziendale e all’esercizio dei poteri di direzione e organizzazione.

Ne consegue che l’individuazione dei soggetti responsabili, in presenza di obblighi non esclusivamente riferibili al datore di lavoro, dovrà avvenire tenendo presente l’inscindibile nesso tra potere di direzione e di organizzazione e gli obblighi che ne discendono. Solo in questo modo si eviterà di attribuire responsabilità a chi abbia incarichi solo formali e non partecipi in concreto al progetto organizzativo dell’impresa e delle lavorazioni45

.

Inoltre, ai fini di attuare un modello di sicurezza che sia partecipata, al datore di lavoro sono riferibili ulteriori obblighi relativi alla formazione, informazione ed addestramento del lavoratore, previsti dalla lett. l) dell’art. 18, e disciplinati ulteriormente dagli artt. 36 e 37; le attività di informazione, formazione e addestramento sono definite espressamente dall’art. 2, comma 1, lett. aa), bb), cc). In particolare, dalla normativa si deduce che l’informazione si sostanzia in un processo di trasferimento, dal datore di lavoro al lavoratore, di tutte quelle nozioni che siano necessarie per identificare e gestire i rischi, in funzione di una consapevolezza generale del ciclo produttivo in cui opera, sul presupposto che, conoscendo i pericoli che possono riguardarlo, egli assuma un comportamento che non comprometta la propria sicurezza o quella di altri46. Per quanto riguarda, invece, i contenuti dell’obbligo di formazione, la giurisprudenza ha precisato che il datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione

45

Si tenga, inoltre, presente che nell’esercizio del suo potere organizzativo il datore di lavoro deve attenersi a criteri di fattibilità tecnica e non può subordinare l’attuazione delle misure di prevenzione alla fattibilità economica o produttiva, poiché l’art. 32 Cost. gli impone di attuare tutte le misure necessarie ad assicurare la salute dei lavoratori. In tal senso, tra le altre, Cass. pen. Sez.

IV, 29 aprile 2003, n. 41985, in Dir. e prat. lav., 2003, citata da B. DEIDDA, I soggetti, in B.

DEIDDA e A. GARGANI, Reati contro la salute, p. 51.

46 Come rileva M. GROTTO, Obbligo di informazione e formazione dei lavoratori, nesso di rischio e causalità della colpa, in Dir. pen. cont., 2012. Si noti, tra l’altro, che il legislatore non ha

codificato le modalità di somministrazione delle informazioni, concentrando l’attenzione sull’esigenza che, secondo quanto stabilito dall’art. 37 comma 13, il contenuto dell’informazione sia <<facilmente comprensibile per i lavoratori>> e consenta loro di <<acquisire le relative conoscenze>>.

sufficiente e adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento alle mansioni del lavoratore, in modo da metterlo a conoscenza dei rischi relativi ai lavori cui è adibito, senza che abbia alcun rilievo la circostanza della destinazione occasionale del datore a mansioni differenti da quelle cui abitualmente attendeva47. Sempre al fine di garantire il massimo livello di sicurezza per i lavoratori, mediante l’esercizio dell’obbligo di formazione, la Corte di Cassazione ha precisato che l’attività di formazione del lavoratore non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenze del soggetto, legato ad una lunga esperienza operativa; anche in tal caso, dunque, sarà strettamente necessario fornire al lavoratore una preparazione adeguata.

L’assolvimento di tali obblighi da parte del datore di lavoro si rivela di importanza esiziale ai fini dell’applicabilità, a suo favore, del principio di affidamento. Infatti, nel caso in cui egli abbia correttamente informato e formato i lavoratori e abbia disposto le opportune cautele per la loro tutela, potrebbe riconoscersi l’operatività del principio in questione, sebbene questa sia raramente concessa dalla giurisprudenza.

Con particolari risvolti in materia di principio di affidamento, si presentano alcuni ulteriori doveri posti in capo al datore di lavoro, e al dirigente, sanciti dal comma 3 bis dell’art. 18 (introdotto dal d.lgs. n. 106/2009), relativi alla vigilanza circa l’adempimento di alcuni obblighi da parte dei collaboratori, ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati qualora la mancata attuazione di tali obblighi sia addebitabile solo agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro o dirigenti48. In particolare, si fa riferimento al rispetto degli obblighi previsti dagli artt. 19, 20, 22, 23, 24, 25, rispettivamente riferibili a preposti, lavoratori, progettisti, fabbricanti e fornitori, installatori, e medico competente.

L’obbligo di vigilanza in questione non ha motivo di essere invocato quando l’evento sia dovuto a colpa esclusiva di uno dei soggetti indicati, mentre (tale obbligo) assume rilievo quando la condotta del datore di lavoro, o del dirigente

47

In tal senso Cass. pen. Sez. IV, 4 ottobre 2007, n. 4063.

48 L’art 18, comma 3 bis, citato non è l’unica norma che contempla un obbligo di vigilanza a

carico del datore di lavoro: lo prevede anche il comma 3 dell’art. 16 del T.U.S.L., relativo all’istituto della delega di funzioni.

(poiché il comma 3 bis richiama entrambi i soggetti), si aggiunge all’inadempimento di terzi o quando tale inadempimento possa essere rimproverato al datore di lavoro, o al dirigente, per un difetto di vigilanza.

Merita precisare che, secondo la dottrina prevalente49, suddetto obbligo non è, ragionevolmente, da intendersi quale necessità di un controllo continuativo e costante sull’operato dei soggetti indicati ma, piuttosto, un controllo che si uniformi ad uno standard di diligenza modulato sulla base della concreta attività svolta e del contesto lavorativo di riferimento50. Prendendo ad esempio l’obbligo di vigilanza sull’opera dei prestatori di lavoro, esso sarà meno stringente in presenza di attività caratterizzate da estrema semplicità, affidate ad operai altamente specializzati, con lunga esperienza di servizio e dotati di un particolare grado di autonomia, mentre diventerà più intenso con riferimento a lavoratori aventi minori abilità tecniche o che abbiamo commesso errori in passato.

La graduazione dell’obbligo di vigilanza, inoltre, non potrà che corrispondere anche alla possibilità, o meno, di applicare il principio di affidamento a favore dei soggetti tenuti a vigilare. Infatti, in generale, il datore di lavoro o il dirigente sono autorizzati a contare sul fatto che i soggetti, che con loro interagiscono, osserveranno i doveri di diligenza su di essi incombenti, ciò finché non si palesino indizi concreti rivelatori di una condotta opposta a tale aspettativa. Dunque, in presenza di soggetti dotati dell’idoneità tecnica e dei poteri necessari a svolgere una determinata attività, è da riconoscersi l’applicabilità del principio di affidamento, in ragione del quale il datore di lavoro (o dirigente) vedrà ridursi la richiesta di diligenza a lui riferibile, potendo questi confidare sul corretto comportamento altrui51 e non potendosi ritenerlo responsabile per eventi dannosi connessi esclusivamente alle altrui inadempienze.

È, tuttavia, da rilevare che, nel settore in analisi, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha fatto un uso limitato e severo di tale principio, trasformandolo da

49

D. CASTRONUOVO e altri, Diritto penale della sicurezza sul lavoro, p. 73 ss., e B. DEIDDA, I soggetti, in B. DEIDDA e A. GARGANI, Reati contro la salute, p. 52 ss.

50 A tal proposito, la giurisprudenza è costante nel ritenere che il dovere del datore di lavoro,

dei dirigenti e, in modo meno stringente, dei preposti, non si esaurisca nell’informazione e nella predisposizione di misure di sicurezza ma comprenda anche la successiva attività di controllo volta alla pretesa del rispetto delle norme e delle procedure.

51 M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, 1997, p. 371

regola in eccezione52 e riscontrando, nella maggior parte dei casi, la responsabilità del datore di lavoro o del dirigente.

2.2. Il dirigente

La definizione di “dirigente” (come quella di preposto) è del tutto nuova, poiché per la prima volta il legislatore ha individuato i requisiti di tale figura nella lett. d) dell’art. 2 T.U.S.L.

Tale definizione, infatti, non era inizialmente prevista dalla legislazione in materia di igiene e sicurezza del lavoro, che si limitava a un rinvio implicito alla nozione civilistica e giuslavoristica di dirigente.

Secondo suddetta disposizione il dirigente è <<la persona che, in ragione delle competenze professionali e dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa>>53

.

La normativa, dunque, delinea la figura del dirigente c.d. prevenzionistico54, identificandolo in colui che ha il potere organizzativo dell’attività lavorativa e il controllo su di essa, adottando una nozione funzionale. Così come per il datore di lavoro, non è possibile una determinazione aprioristica del quantum di potere conferito, e l’accertamento della “dirigenzialità” (al pari di quello della “datorialità”) richiede un’indagine aderente al caso di specie. Ne consegue che, per identificare il dirigente, non basterà individuare colui che ha la titolarità del contratto di lavoro in qualità di dirigente ma sarà necessario verificare che tale qualifica sia accompagnata dalla presenza di reali poteri di vertice. In particolare,

52

Ad esempio, Cass. Sez. IV, 27 marzo 2009, n. 18998, afferma che <<il responsabile della sicurezza sul lavoro, che ha negligentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non può invocare, quale causa di esenzione da colpa, l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze e disubbidienze(…)>>.

53 Il Testo Unico ha tracciato i confini dei contenuti e della responsabilità della figura del

dirigente sia rispetto alla figura (sovra-ordinata) del datore di lavoro sia a quella (sotto-ordinata) del preposto, recependo le numerose indicazioni provenienti dalla giurisprudenza. Quest’ultima definisce i dirigenti come <<quei dipendenti che hanno il compito di impartire ordini ed esercitare la necessaria vigilanza, in conformità alle scelte di politica d’impresa adottata dagli organi di vertice che formano la volontà dell’ente: essi rappresentano, dunque, l’alter ego del datore di lavoro, nell’ambito delle competenze loro attribuite e nei limiti dei poteri decisionali e di spesa loro conferiti>>. In tal senso, Cass. pen., Sez. IV, 8 aprile 2008, n. 22615, in Guida dir., 2008.

54 Come viene definito da D. CASTRONUOVO e altri, Diritto penale della sicurezza sul lavoro, cit., p. 75.

il dirigente deve essere dotato di autonomia decisionale, mentre l’autonomia di spesa non è espressamente richiamata dalla norma definitoria e, dunque, non è da considerarsi elemento indefettibile anche se, nella prassi, questa è spesso accompagnata allo svolgimento di tale funzione e la sua presenza inciderà sul livello di mansioni da svolgere55. Un altro aspetto qualificante la figura del dirigente è la sua formazione: questi deve essere dotato di competenze tecniche sufficienti a svolgere il suo ruolo, come indicato dagli artt. 15, comma 1 lett. o), e 37, comma 7, d.lgs. n. 81/2008.

Merita rilevare che la fonte della responsabilità che grava sul dirigente, così come quella dei preposti, non è da ricondurre all’esistenza di una delega di funzioni da parte del datore di lavoro ma direttamente dall’investitura nel ruolo ricoperto. La Corte di Cassazione, infatti, ha ritenuto che i dirigenti (così come i preposti) sono destinatari dei precetti antinfortunistici iure proprio, anche in

Documenti correlati