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DELLA SICUREZZA SUL LAVORO

1.1. Questioni preliminar

Per comprendere le modalità con cui il principio di affidamento trova accesso al settore della sicurezza sul lavoro, risulta necessario partire da alcune precisazioni terminologiche e sistematiche.

In primo luogo, merita rilevare che la locuzione “sicurezza del/sul lavoro”3 non deve essere intesa come assenza di rischio, ma soltanto come sua riduzione ad un livello ritenuto ancora (sia socialmente che giuridicamente) accettabile; in tal senso la nozione di sicurezza implicherà l’individuazione di livelli di rischio consentito o tollerato, ma mai del tutto eliminato. Si è, infatti, passati da un sistema (come quello previsto dai decreti del 1955 e 1956) che mirava ad eliminare integralmente la presenza di rischi4, ad un modello basato su una “gestione” del rischio5

, dove è data centralità a processi di valutazione di tale elemento, sia a livello diagnostico, relativo al giudizio sulle condizioni esistenti,

2 Tale operazione risulta particolarmente complessa per una pluralità di ragioni: in primo

luogo, il dettato normativo configura posizioni di garanzia estese e stringenti, individuando numerosi obblighi a carico dei soggetti, ponendo così ostacoli alla possibilità di escludere eventuali responsabilità per aver confidato sul corretto operato altrui. In secondo luogo, merita rilevare come, nell’ambito in esame, il principio di affidamento incontri forti resistenze da parte della giurisprudenza, la quale tende a far prevalere esigenze di tutela della salute e sicurezza dei soggetti coinvolti (in particolare, i lavoratori) limitando le possibilità di assoluzione dei vari garanti della sicurezza (quali datore di lavoro, dirigenti e preposti) facendo leva sulla posizione da questi rivestita, senza valutare le reali possibilità di impedire l’evento dannoso (si pensi ad infortuni o a malattie professionali), rischiando, in alcuni casi, di determinare mere responsabilità per posizione.

3La denominazione è tradizionalmente variabile (del/sul lavoro). Alcuni autori hanno precisato

che, mentre si può indifferentemente parlare di “sicurezza sul lavoro o del lavoro”- a seconda che l’accento ricada sul lavoro come “luogo” e sui fattori di rischio ivi presenti, o, in maniera più generale, sul lavoro come “occasione” di esposizione a fattori di rischio – ove, viceversa, si faccia esplicito riferimento alla salute sembrerebbe più corretto parlare di “salute e sicurezza sul lavoro”. In tal senso, D. CASTRONUOVO e altri, Diritto penale della sicurezza sul lavoro, Bologna, Bononia University Press, 2016, p. 13.

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Richiedendo, in caso di rischio ineliminabile, la cessazione dell’operazione che lo implica sino a giungere, se del caso, alla chiusura del reparto dell’azienda o dell’impresa stessa.

5 Come sottolinea T. PADOVANI, Il nuovo volto del diritto penale del lavoro, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1996, p. 1165.

che a livello terapeutico, concernente l’attuazione programmatica delle misure necessarie per fronteggiare i rischi evidenziati; entrambi sottoposti ad un obbligo di aggiornamento continuo.

Dunque, ogni riflessione in tema di disciplina della sicurezza del lavoro implica il riferimento a modelli normativi orientati alla prevenzione di eventi lesivi collegati ai fattori di rischio lavorativo. Ciò è dovuto al fatto che ogni attività lavorativa, sebbene in misura differente, a seconda del tipo e del contesto in cui si svolge, è intrinsecamente pericolosa, nel senso che ha la potenzialità di esporre i lavoratori a vari fattori di rischio. Ne consegue che, non potendosi eliminare il problema all’origine, la metodologia usata è quella di delimitare, mediante norme, le aree di rischio consentito: il rispetto delle regole finalizzate all’eliminazione di fattori di pericolo o, più spesso, alla loro riduzione a livelli socialmente tollerabili e giuridicamente accettati, rende lecita l’attività rischiosa anche in presenza di eventi infausti che siano da essa derivati.

Al fine di limitare il più possibile le eventualità di concretizzazione del rischio, la disciplina in tema di sicurezza del lavoro si caratterizza per la previsione di numerosissime norme sanzionatorie, penali e amministrative, collocate su differenti piani di un complesso sistema di tutela. Infatti, nell’ambito in esame, la normativa italiana (a differenza di quanto avviene in altri contesti europei) è stata definita a carattere “punitivo”6 in quanto fa ricorso ad un ampio sistema sanzionatorio di natura afflittiva: la tutela della sicurezza è affidata sia a fattispecie di reato, per lo più contravvenzionale, e, quindi, alla minaccia di pene in senso stretto, sia a fattispecie di illecito amministrativo con le relative sanzioni. Tuttavia, per stemperare eventuali eccessi sanzionatori sono stati anche introdotti dei meccanismi premiali finalizzati all’estinzione delle contravvenzioni, la cui attuazione richiede il pagamento di una somma a titolo di sanzione amministrativa7. Si tenga presente che la tutela anche penale implica

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In tal senso, D. CASTRONUOVO e altri, Diritto penale della sicurezza sul lavoro, cit., p. 13.

7 Si sancisce, in particolare, che tutte le contravvenzioni (esistenti e/o di futura emanazione,

previste dal Testo Unico e/o da altre fonti; permanenti e/o istantanee) punite con pena alternativa o con la sola ammenda sono regolarizzabili ex artt. 19 ss. del d.lgs. n. 758/1994. L’art. 301 bis del d.lgs. n. 81/2008, sulla falsariga di quanto disposto dai precedenti artt. 19 ss. del d.lgs. n. 758/1994, ha previsto che tutti gli illeciti amministrativi (commissivi, omissivi, sanabili, istantanei-non sanabili) sono estinguibili ripristinando le condizioni entro il termine (perentorio)

necessariamente un bilanciamento tra interessi potenzialmente in conflitto: la libertà di impresa, il diritto al lavoro e l’interesse al mantenimento dei livelli occupazionali, da un lato, e i beni primari della salute, sicurezza, libertà e dignità umana, dall’altro8

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Merita, infine, rilevare che la sicurezza del lavoro, in quanto bene strumentale finalizzato alla tutela di beni primari, è una nozione comprensiva non solo della prevenzione degli infortuni, bensì anche della tutela dell’igiene e della salute sui luoghi di lavoro. Invero, alla luce dell’evoluzione legislativa, innescata da varie direttive comunitarie a partire dagli anni Ottanta, ha prevalso la tendenza ad unificare concettualmente nella nozione di “(salute e) sicurezza” i due aspetti complementari (benché concettualmente differenziati in ragione della diversa dinamica causale) della prevenzione contro gli infortuni (quali eventi caratterizzati da una dinamica immediata e violenta) e della prevenzione delle malattie professionali (quali eventi caratterizzati, viceversa, da un’eziologia graduale e progressiva). Infatti, mentre nella legislazione italiana degli anni Cinquanta le due prospettive di tutela erano distinte sul piano della disciplina normativa9, a seguito della direttiva-quadro n. 89/391/CEE10 esse sono confluite in una disciplina generale unificata (all’insegna della valutazione di tutti i rischi, quali ne siano i processi eziologici innescabili, a causa violenta o meno) dapprima col d.lgs. n.

indicato dall’organo di vigilanza nel <<verbale di primo accesso ispettivo>> (contenente la compiuta contestazione della violazione) e pagando una somma pari al minimo previsto dalla legge. Nei casi, invece, di mancata, inefficacie o tardiva regolarizzazione l’unico rimedio risulta essere il pagamento in misura ridotta ex art. 16 l. n. 689/1981. L’art. 302, in materia di contravvenzioni punite col solo arresto, sancisce che il contravventore può chiedere al giudice la sostituzione della pena detentiva irrogata nel limite di dodici mesi col pagamento di una somma, determinata secondo i criteri ex art. 135. Inoltre, qualora il trasgressore non intenda approfittare della sequenza delineata dagli artt. 19 ss. del d.lgs. n. 758/1994 potrà comunque chiedere l’oblazione ex art. 162 bis c.p., sempre che non ricorrano gli impedimenti previsti da tale articolo, comma 3 e 4 (recidiva reiterata, abitualità o professionalità nel reato, permanenza di conseguenze dannose o pericolose). In tale ultimo caso, l’unico beneficio astrattamente applicabile sarebbe l’attenuante comune ex art. 62, n. 6, c.p. Così secondo la ricostruzione di D. CASTRONUOVO e altri, Diritto penale della sicurezza sul lavoro, p. 165 ss.

8 Tale bilanciamento avviene mediante il riferimento all’art. 41, comma 2, Cost. il quale

sancisce che <<l’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi(…) in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana>> e all’art. 32, comma 1, secondo cui la Repubblica <<tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività>>

9 In particolare, il d.P.R. n. 547/1955 recava le “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” e il d.P.R. n. 303/1956 conteneva le “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

10 Tale direttiva del Consiglio, del 12 giugno 1989, concerneva <<l’attuazione di misure volte a

promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro>> ed è ancora oggi alla base del modello di armonizzazione europea della disciplina in materia.

626/1994, di attuazione delle direttive relative al miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, e poi con la riforma, a livello interno, apportata mediante il c.d. Testo Unico del 2008 (d.lgs. n. 81/2008)11.

2. Le principali posizioni di garanzia nella sicurezza sul lavoro alla luce

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