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CIRCOLAZIONE STRADALE

2. La struttura della colpa

Una volta superate le posizioni che intendevano collegare il fondamento del principio di affidamento ad altre categorie dogmatiche, quali l’area del rischio consentito ed il principio di autoresponsabilità, si può ora volgere lo sguardo ad un’impostazione23

che mira ad individuare un fondamento autonomo di tale principio. Per raggiungere suddetto scopo è necessario ricondurre il principio in questione a una differente base dogmatica, quella del reato colposo. A tal fine, si

21 Sarebbe, infatti, irrazionale permettere al soggetto di confidare sulla correttezza della

condotta altrui per poi richiedergli di prevedere eventuali inadempienze.

22 Si tenga presente che uno dei limiti all’operatività del principio di affidamento è proprio

l’esistenza di elementi concreti che rendano prevedibile l’inosservante condotta altrui e la conseguente verificazione di un evento infausto. Ne consegue che, laddove il principio trovi applicazione, debba escludersi a priori la possibilità di prevedere l’evento di danno.

palesa necessario, dunque, riassumere i caratteri fondamentali della colpa nel diritto penale.

L’articolo 43 c.p., al comma 1, definisce il delitto “colposo, o contro

l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

Tale definizione legislativa evidenzia un requisito negativo ed un requisito positivo. Il primo si risolve nell’involontarietà del fatto tipico e antigiuridico, che vale a distinguerlo dall’ipotesi dolosa, tuttavia tale fatto, seppur non voluto, può formare oggetto di previsione dando così luogo alla forma aggravata della colpa cosciente, disciplinata dall’articolo 61 n. 3 c.p.; il secondo requisito si lega alla circostanza che il fatto colposo debba essere riconducibile a negligenza, imprudenza o imperizia (nei casi della c.d. colpa generica) oppure alla violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline (nelle ipotesi della c.d. colpa specifica).

L’essenza del reato colposo è data dalla normatività del nesso di imputazione: si esige un comportamento contrario alle regole di diligenza, siano esse ricavate dall’esperienza oppure formalizzate. Da questo punto di vista emergerebbe24

, la cosiddetta “doppia misura” della colpa; secondo tale impostazione le regole cautelari, prima che sul terreno della colpevolezza, eserciterebbero un ruolo fondativo sul piano della tipicità del fatto; esse descriverebbero la condotta tipica, svolgendo una fondamentale funzione orientativa, così che si parla di “misura oggettiva”25

della colpa.

Per quanto riguarda, invece, il piano soggettivo, il rimprovero viene mosso all’agente nei soli casi in cui egli fosse nelle condizioni di adempiere alla richiesta di diligenza indicata nel tipo e imposta dall’ordinamento; in tal senso si parla di “misura soggettiva” della colpa, contrapponendo da un lato la diligenza

24 FIANDACA G., MUSCO E., Diritto Penale, Parte Generale, VIIª ed.,Bologna, Zanichelli,

2014; D. PULITANÒ, Diritto Penale, VIIª ed., Torino, Giappichelli, 2017, G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di diritto penale. Parte Generale, VIª ed., Milano, Giuffrè, 2017, F. PALAZZO, Corso di diritto penale. Parte Generale, Vª ed., Torino, Giappichelli, 2013.

25 C. PIERGALLINI, Colpa (diritto penale), in Enciclopedia del Diritto: Annali, volume X, p.

226 ss. Secondo l’autore dalla normatività della colpa emerge come, giacché la colpa si configura in termini di violazione della regola cautelare, il disvalore della condotta svolga un ruolo cruciale sul piano della tipicità penale solo se consiste nel non rispetto delle cautele volte a neutralizzare o minimizzare il rischio, da ciò derivando che tale disvalore risulti iper-tipicizzato, nel senso che il diritto penale si occuperebbe soltanto dei comportamenti in contrasto con le regole cautelari.

obbiettivamente richiesta dall’ordinamento e dall’altro la capacità del soggetto di ottemperare a tale richiesta.

Essendo questi i caratteri generali della condotta colposa, si evince che il nucleo fondamentale, che rileva ai fini dell’operatività del principio di affidamento, è costituito dalle regole cautelari; è grazie ad esse che i partecipanti ad una data attività possono orientare la propria condotta e confidare sul loro rispetto da parte dei soggetti con cui interagiscono. Pertanto, risulta necessario soffermarsi sulle caratteristiche di tali norme.

Si è visto che la responsabilità colposa, alla luce della concezione normativa della colpa, si fonda sulla violazione di regole doverose, appunto le regole cautelari, che si configurano come un modello di previsione e prevenzione; da un lato, esse individuano specifiche cornici di rischio da cui è possibile pronosticare la verificazione di alcuni eventi lesivi, sulla base di conoscenze esperienziali o nomologiche, dall’altro, selezionano le condotte idonee ad evitare o minimizzare il rischio di verificazione dell’evento. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, relativo all’efficacia preventiva di tali norme, parte della dottrina26

distingue tra norme cautelari “proprie” e “improprie”; le prime si fonderebbero su un giudizio di prevedibilità dell’evento e di sicura, con probabilità confinante con la certezza, evitabilità di questo mediante l’adozione del comportamento doveroso, le seconde, invece, imporrebbero di adottare precauzioni che non garantiscono un azzeramento del rischio ma solo una sua riduzione.

Le regole cautelari, la cui violazione determina un’imputazione dell’evento per colpa, hanno natura modale e conformativa, poiché impongono le modalità di svolgimento di certe attività e non l’astensione da queste (nel qual caso corrisponderebbero ad un divieto). In particolare, tali norme si differenziano in base alla loro fonte di produzione, distinguendosi, in caso di violazione seguita da un evento dannoso, tra colpa generica e colpa specifica.

La prima si identifica con la negligenza, imprudenza ed imperizia: per negligenza si intende l’omesso compimento dell’azione doverosa, per imprudenza il contrasto tra l’azione di fatto compiuta e la norma che vietava di agire o imponeva di agire secondo alcune modalità specifiche e, infine, per imperizia la

non conformità della condotta a norme preventive di natura tecnica, derivanti dallo svolgimento di attività che richiedono il possesso di particolari conoscenze o capacità operative27.

La colpa specifica, viceversa, si configura come violazione di regole cautelari positivizzate in leggi, regolamenti, ordini o discipline; sia gli ordini che le discipline non sono fonti del diritto, possono individuare norme cautelari, ma solo le discipline sono caratterizzate da genericità ed astrattezza, mentre sia queste che gli ordini presentano prescrizioni cui devono attenersi soggetti in posizione subordinata rispetto ad altri, perciò si parla di “autonormazione cautelare”; si pensi, ad esempio, alle normative interne ad un’impresa, dettate dal datore di lavoro, finalizzate a prevenire la verificazione di eventi lesivi. Nell’ambito della colpa specifica, inoltre, occorre distinguere tra norme cautelari rigide e norme cautelari elastiche; le prime ritagliano per intero il comportamento dovuto dall’agente, senza lasciare spazi di discrezionalità, le seconde individuano la condotta doverosa aprendola alle circostanze del caso concreto.

Particolarmente rilevante, ai fini di valutare la possibilità di affidamento dei consociati sul rispetto delle regole cautelari da parte dei soggetti con cui interagiscono, è l’individuazione della fonte da cui esse derivano.

Per quanto riguarda le norme la cui violazione dà origine a colpa generica, trattandosi di regole non scritte, assumono rilievo massime di origine esperienziale, basate sull’id quod plerumque accidit; tali norme traggono origine da usi e consuetudini derivanti dall’esperienza collettiva, ne consegue che l’agente è indotto ad un atteggiamento di conformazione al comportamento della maggioranza facendo così nascere nei terzi l’aspettativa di una certa condotta fino a legittimarne una posizione di affidamento. In tal senso, il soggetto sarebbe un mero fruitore della norma cautelare chiamato, in virtù di questa, a conformarsi al comportamento della maggioranza. Lo sviluppo di criteri di normazione spontanea nell’esperienza collettiva fungerebbe da paradigma comportamentale, liberando il soggetto dall’eccessivo compito di verificare la validità empirica della norma di comportamento e dall’onere di prevedere le condotte degli altri consociati nei vari contesti in cui si trovano ad agire. Da ciò deriva il fondamento

extragiuridico delle cautele sociali, che induce il soggetto a conformare il proprio comportamento a quello degli altri consociati, che riguarda la disciplina delle più comuni situazioni di rischio in cui il riferimento al criterio dell’id quod plerumque

accidit plasma il contenuto della norma prudenziale.

Diversa risulta, invece, la configurazione delle norme cautelari formalizzate, la cui violazione dà origine a colpa specifica, in quanto provenienti da fonti scritte e definite. Le norme scritte mirano a selezionare peculiari classi di rischio, relative a certe attività autorizzate dall’ordinamento, descrivendo puntualmente, e non sulla base dell’esperienza collettiva, i pericoli insiti in una certa situazione di fatto; in questo ambito la cornice nomologica, che sostiene i giudizi di prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso, si basa su criteri più stringenti che determinano l’adozione di comportamenti cautelari non sempre coincidenti con quelli dettati dall’esperienza collettiva. Le norme cautelari positivizzate in leggi, regolamenti, ordini o discipline, sono create per gestire aree di rischio omogenee, si pensi alla circolazione stradale, alla materia antinfortunistica e all’attività medico-chirurgica in cui la complessità dei comportamenti, i beni giuridici in gioco e l’affinarsi delle conoscenze necessitano di una precisa e migliore cernita dei rischi da prevenire e contenere. L’individuazione di aree omogenee di rischio e l’utilizzo, in tali settori, di norme formalizzate permettono di svolgere una migliore funzione di orientamento per i soggetti appartenenti al gruppo sociale cui esse si riferiscono; la determinatezza della regola è funzionale alla standardizzazione del comportamento28 così che il singolo agente non potrà sostituire la propria valutazione prudenziale a quella indicata della regola scritta e, di conseguenza, potrà far affidamento sul fatto che anche gli altri destinatari si conformino ad essa. Dall’esistenza di regole cautelari deriva la possibilità di far affidamento sul loro rispetto da parte dei soggetti interessati; un affidamento che avrà origine diversa a seconda della fonte da cui tali regole derivano, sia essa l’esperienza collettiva o norme positivizzate.

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