• Non ci sono risultati.

I colloqui telefonici.

Nel documento Donne ristrette (pagine 73-77)

Il diritto all’affettività tra norme e prassi penitenziarie

2. Il mantenimento delle relazioni affettive in regime intramurario.

2.3. I colloqui telefonici.

Se i contatti visivi costituiscono la modalità privilegiata per coltivare le relazioni affettive in regime intramurario, le telefonate si rivelano altrettanto preziose, soprattutto per coloro che si trovano nell’impossibilità di ricevere visite in carcere: condizione che caratterizza buona parte della popolazione detenuta femminile, che – come si è avuto modo di accennare – non può giovarsi pienamente, per ragioni logistiche, di quel principio di territoriali- tà che dovrebbe garantire l’espiazione della pena in luoghi il più possibile prossimi al luogo di residenza della famiglia. A prescindere dalla situazione delle straniere i cui congiunti sono rimasti nel Paese d’origine, infatti, l’ubi- cazione sul territorio degli istituti penitenziari che possono accogliere don- ne fa sì che inevitabilmente solo una piccola percentuale delle detenute sia

effettivamente vicina ai propri affetti e possa quindi fruire con regolarità di colloqui visivi, mentre la maggioranza si vede costretta a mantenere contatti soprattutto telefonici anche con i familiari residenti in Italia, che a causa di impegni scolastici o lavorativi o semplicemente per l’impossibilità di soste- nere i costi di viaggio non possono recarsi in carcere con la frequenza che sarebbe loro consentita (Giacobbe, 2014, p. 113).

Con riferimento alla corrispondenza telefonica la disparità tra congiunti e terzi estranei alla famiglia sembrerebbe, ad una prima lettura del dato normativo, ancora più marcata rispetto a quanto previsto rispetto alle visite in istituto: l’art. 18 o.p. stabilisce infatti che i colloqui telefonici possono essere autorizzati, «con le cautele previste dal regolamento», «nei rapporti con i familiari e, in casi particolari, con terzi». Il regolamento esecutivo precisa tuttavia che anche questo tipo di contatto può essere consentito in presenza di «ragionevoli e verificati motivi» (art. 39 co. 2 reg. o.p.).

Va in primo luogo precisato che le chiamate dall’esterno dell’istituto – a meno che non provengano da congiunti o conviventi a loro volta detenuti e regolarmente autorizzati al colloquio telefonico – non possono essere inol- trate direttamente alle persone ristrette, a cui spetta unicamente il diritto di ricevere comunicazione dell’identità dichiarata dal chiamante (a meno che a ciò non ostino «particolari motivi di cautela»: art. 39 co. 10 reg. o.p.).

Le detenute hanno diritto ad effettuare verso l’esterno una telefonata alla settimana, della durata massima di dieci minuti; un colloquio aggiunti- vo può essere consentito al rientro in istituto da permessi o licenze, per at- tenuare il distacco dai familiari. Il direttore o l’autorità giudiziaria possono inoltre derogare al limite settimanale in presenza di ragioni «di urgenza o di particolare rilevanza», quando la corrispondenza telefonica si svolga con figli al di sotto dei dieci anni di età, nonché in caso di trasferimento. A causa dell’infelice formulazione della norma11, sono sorti dubbi interpreta- tivi circa il significato – di disgiuntiva o di congiuntiva – da attribuirsi alla virgola che separa il riferimento ai motivi rilevanti o urgenti dalla locuzio- ne relativa alla presenza di prole di età inferiore ai dieci anni, e dunque cir- ca la necessità di considerare le due situazioni come presupposti autonomi ed indipendenti, oppure come condizioni che devono ricorrere congiunta- mente per la concessione di colloqui telefonici aggiuntivi. Dopo un pri- mo orientamento più largheggiante, condiviso dalla dottrina (Bellantoni, 2015, p. 130; circolare DAP n. 3533/5983 del 3.11.2000 e n. 0177644 del 26.4.2010), tanto la giurisprudenza (Cass., Sez. VI, 4.6.2010, n. 32569) 11 Questo il tenore letterale dell’art. 39 co. 3 reg. o.p.: «L’autorizzazione può essere con- cessa, oltre i limiti stabiliti nel comma 2, in considerazione di motivi di urgenza o di parti- colare rilevanza, se la stessa si svolga con prole di età inferiore a dieci anni, nonché in caso di trasferimento del detenuto».

quanto l’amministrazione penitenziaria (circolare DAP n. 3642/6092 del 18.2.2013) paiono approdate ad una lettura più rigorosa, ritenendo che il limite di una telefonata settimanale possa essere derogato in melius solo in presenza di figli al di sotto dei dieci anni e, contestualmente, di urgenti o rilevanti ragioni che li riguardino (Picozzi, 2011, p. 147 ss.).

Un’ulteriore questione controversa, connessa a quella da ultimo esa- minata, è se nell’ambito dei colloqui consentiti ex art. 39 co. 2 reg. o.p. debbano essere conteggiate le telefonate al difensore, con ciò imponendo alla detenuta di scegliere se privilegiare i propri affetti oppure le proprie esigenze difensive. Sul punto l’amministrazione penitenziaria, pur propen- dendo per la soluzione affermativa, incoraggiava le direzioni a ricondurre la necessità di contattare telefonicamente il difensore tra i motivi rilevanti od urgenti in presenza dei quali era consentito derogare al limite di una chiamata a settimana, facendo «un utilizzo ampio» del potere discreziona- le loro attribuito, in particolare in caso di imminenti scadenze processuali o di difficoltà a svolgere colloqui visivi (circolare DAP n. 0177644 del 26.4.2010, cit.). Con l’affermazione della lettura più restrittiva a cui si è fatto cenno, tale soluzione non appare più percorribile, con la conseguen- za, per le detenute, di dover talora rinunciare al contatto telefonico con i familiari per poter compiutamente esercitare il proprio diritto di difesa; soluzione discutibile, attesa la rilevanza degli interessi in gioco.

Per essere autorizzata al colloquio la detenuta deve presentare un’i- stanza scritta all’autorità competente (v. supra, § 2.1), indicando, oltre al nominativo dell’interlocutore e, nel caso di terzi, le ragioni che giustifi- cano la richiesta, il numero telefonico da contattare, sul quale verranno effettuati gli opportuni preventivi controlli12. Per intuibili ragioni di sicu- rezza, si è a lungo radicalmente esclusa la possibilità di autorizzare chia- mate verso utenze mobili, con evidente pregiudizio per le straniere (già fortemente svantaggiate nell’accesso ai colloqui visivi, come si è avuto modo di accennare) e, più di recente, per la maggioranza della popolazio- ne detenuta, data la sempre minore disponibilità di linee telefoniche fisse. Sul punto è intervenuta l’amministrazione penitenziaria, dapprima con la già citata circolare n. 0177644/201013: essa prevedeva che, nel caso di

12 Per facilitarne ed accelerarne l’esecuzione, è invalsa la prassi di richiedere che l’istanza di colloquio sia corredata dall’esibizione di una bolletta dalla quale risulti l’identità del titolare dell’utenza telefonica.

13 È significativo notare che la circolare in parola reca quale oggetto “Nuovi interventi per ridurre il disagio derivante dalla condizione di privazione della libertà e per prevenire i fenomeni autoaggressivi”, testimoniando la consapevolezza, in capo all’amministrazione penitenziaria, dell’intrinseco legame tra mantenimento dei legami affettivi e benessere psi-

mancata effettuazione di colloqui visivi e telefonici per almeno quindici giorni, espressamente attribuita dalla persona ristretta all’impossibilità di contattare i propri familiari se non attraverso un’utenza mobile, potessero essere autorizzate le chiamate a cellulari, anche in attesa dell’esito degli accertamenti volti a verificare chi fosse l’intestatario dell’utenza indica- ta14. Da ultimo, la circolare n. 0085545 del 10.3.2017 ha infine rimosso anche tale vincolo, prendendo atto dell’«incremento smisurato di telefonia mobile e [del]la graduale eliminazione delle utenze fisse dalle abitazioni» e consentendo tout court le telefonate verso i cellulari per tutti i detenuti appartenenti al circuito della media sicurezza.

Nel rispetto del diritto alla riservatezza, le comunicazioni non possono essere oggetto di ascolto né di registrazione, a meno che non ricorrano esi- genze investigative o di sicurezza connesse a specifiche caratteristiche del caso concreto, alla tipologia del reato in espiazione o alla sottoposizione a regimi di rigore (v. infra, § 2.5).

Come accennato, ciascuna chiamata non può eccedere i dieci minuti (al netto dei tempi tecnici necessari per stabilire il collegamento e accertare l’identità del destinatario) e non è prevista, a differenza di quanto stabilito per i colloqui visivi, la possibilità di accordare prolungamenti in casi par- ticolari. Al rigore di questa disposizione parte della magistratura ha talora tentato di ovviare ricorrendo alla concessione di inediti permessi premio cd. intramurari – in particolare nei confronti di stranieri impossibilitati ad altre forme di contatti con i congiunti – articolati sotto forma di telefonata di durata prolungata ai familiari residenti all’estero, da effettuarsi a proprie spese dagli apparecchi dell’istituto (Cass., Sez. I, 14.10.2005, n. 42001; Blasi, 2005, p. 48 s.). Si tratta, tuttavia, di provvedimenti isolati, peral- tro talora annullati in sede di legittimità in quanto tendenti ad introdurre, in materia di colloqui telefonici, una procedura autorizzativa contrastante con quella prevista dalla legge (Cass., Sez. I, 20.1.2006, n. 5669).

Il costo delle telefonate – rilevante soprattutto nel caso di comunicazioni internazionali – è a carico delle detenute e deve essere contabilizzato conte- stualmente ad ogni singola chiamata, anche mediante scheda prepagata (art. 39 co. 8 e 9 reg. o.p.); chi non dispone dei fondi necessari si vedrà dunque 14 In particolare, la circolare prevede che, decorsi quindici giorni dalla presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’autorizzazione a contattare un cellulare senza che l’interes- sato abbia fruito di colloqui, e fermo l’obbligo dell’amministrazione di avviare immediata- mente gli accertamenti volti a verificare la titolarità dell’utenza (nel caso in cui la persona detenuta non abbia potuto fornire adeguata documentazione), le chiamate vengano comun- que consentite, salva poi naturalmente la revoca del provvedimento concessorio nel caso in cui i controlli forniscano successivamente un esito negativo circa la veridicità di quanto dichiarato.

preclusa la possibilità di comunicare con i propri congiunti, a meno di poter contare sul sostegno del volontariato penitenziario. Proprio l’introduzione delle schede telefoniche, gradualmente attuata di recente in molti istituti italiani in quanto annoverata tra le misure finalizzate a ridurre il disagio derivante dal sovraffollamento, ha costituito una significativa innovazione in melius rispetto alla concreta fruizione dei colloqui: la scheda prepagata, sulla quale vengono memorizzate le utenze autorizzate e che può essere li- beramente utilizzata nel periodo di apertura delle camere di pernottamento presso gli appositi apparecchi installati nelle sezioni, evita infatti il neces- sario ricorso al personale dell’istituto per la composizione del numero del destinatario e rende possibile l’effettuazione di chiamate al di fuori di fasce orarie predeterminate, che potrebbero risultare inconciliabili con le esigenze lavorative o scolastiche dei familiari delle detenute, o con il fuso orario del Paese di destinazione.

La normativa penitenziaria dispone che il contatto telefonico venga sta- bilito «con le modalità tecnologiche disponibili» (art. 39 co. 6 reg. o.p.), rendendo in linea teorica ammissibile il ricorso a programmi che consen- tono di effettuare conversazioni e videochiamate attraverso la rete inter- net, con il duplice vantaggio dell’azzeramento dei costi e del sensibile miglioramento della qualità della comunicazione, in particolare per chi non può usufruire di colloqui visivi. In questa prospettiva, alcuni istituti penitenziari – tra cui merita di essere segnalata la casa di reclusione fem- minile di Venezia Giudecca – hanno recentemente avviato sperimentazio- ni volte a consentire l’utilizzo di Skype, in particolare nei contatti con i figli minori (v. infra, Essere madre dietro le sbarre, § 4.2.); non a caso la legge 103/2017, tra i principi direttivi dettati con riferimento alla rifor- ma dell’ordinamento penitenziario, annovera espressamente la «disciplina dell’utilizzo dei collegamenti audiovisivi […] per favorire le relazioni fa- miliari». L’apertura all’utilizzo delle nuove tecnologie trova una conferma nell’introduzione in seno all’art. 18 o.p., ad opera del d.lgs. 123/2018, di un esplicito riferimento agli «altri tipi di comunicazione» che, accanto ai colloqui ed alla corrispondenza telefonica, possono essere autorizzati dall’autorità giudiziaria o dal direttore dell’istituto.

Nel documento Donne ristrette (pagine 73-77)

Outline

Documenti correlati