Essere madre dietro le sbarre
5. La rottura del rapporto giuridico di filiazione.
5.2. Profili di diritto civile: a) la limitazione, la decadenza, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale e lo stato di adottabilità deli-
berati dal giudice civile.
Nel caso in cui la condotta della madre ristretta sia fonte di “pregiudizio” per la prole minore, il giudice civile può decidere la limitazione (art. 333 c.c.) o nei casi più gravi l’ablazione (art. 330 c.c.; artt. 8 ss. legge 184/1983) dei poteri e delle facoltà connessi con la responsabilità genitoriale. In base ai principi illustrati supra (§ 1), poiché il focus deve essere sul figlio, la condanna e la detenzione del genitore non possono essere di per sé sole pre- supposti dell’intervento pubblico di protezione della prole. Occorre invece che siano specificamente individuati e declinati gli effetti pregiudizievoli per il minore: per esempio la prolungata assenza di cure in una fase particolar- mente delicata della vita del bambino come l’età prescolare (cfr. supra, § 2).
Un esempio di provvedimento di limitazione della responsabilità geni- toriale è l’allontanamento dalla madre con collocamento presso la famiglia allargata, un’altra famiglia o una comunità di tipo familiare (art. 2 legge 184/1983). Sebbene come spiegato supra la limitazione della responsabilità della madre non sia di per sé necessaria nel caso di allontanamento (potendo la stessa disporre in via informale o con provvedimento del servizio sociale un affidamento consensuale), avviene non infrequentemente che l’affida- mento extrafamiliare del figlio di genitori detenuti sia adottato giudizial- mente con limitazione della responsabilità genitoriale. Nella già menzionata vicenda di una famiglia rom serba in cui i genitori e la nonna erano stati arrestati e poi condannati per riduzione in schiavitù e lesioni personali gravi a danno di due dei dieci figli, il Tribunale per i minorenni di Torino dispone- va l’affidamento familiare degli altri otto fratellini al Comune di Milano per l’elaborazione di un progetto di affido eterofamiliare «limitando l’esercizio della responsabilità genitoriale sotto tutti gli aspetti della vita dei figli». La limitazione pareva in concreto determinata dall’impossibilità di esercizio della responsabilità genitoriale a causa della detenzione: le capacità geni- toriali sembravano infatti sufficienti (si evidenziava come «l’osservazione presso l’ICAM aveva evidenziato l’adeguatezza della relazione tra la madre e le tre bambine più piccole», «il costante desiderio dei minori di incontrare i genitori e uno stile relazionale affettuoso dei genitori» durante gli incontri in carcere), malgrado la condanna per la condotta verso gli altri figli (Trib. min. Milano, 18.8.2014).
La decadenza viene invece pronunciata nei confronti di uno o di entram- bi i genitori «quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio» (art. 330 c.c.). In una vicenda già illustrata supra il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha pronunciato la decadenza nei confronti di un padre già sospe- so in sede penale dall’esercizio della responsabilità genitoriale a titolo di pena accessoria conseguente alla condanna per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso: secondo il giudice infatti l’appartenenza a una pericolosa organizzazione criminale di stampo ndranghestistico «ha già provocato effetti dannosi incalcolabili sulle giovani vite dei figli sia sotto il profilo psicologico personale che sotto quello relazionale» e rischia concre- tamente di pregiudicarne la «sana crescita psico-fisica che presuppone anzi- tutto il rispetto delle regole condivise del vivere civile» (Trib. min. Reggio Calabria, 26.4.2016). Ha invece rigettato la domanda materna di decadenza del padre detenuto formulata essenzialmente con il mancato adempimento degli obblighi di contribuzione economica il Tribunale di Trieste, secondo cui ai fini della pronuncia della decadenza occorre dunque grave disinteresse del genitore, anche valutato con riferimento al periodo precedente la deten- zione, non basta invece che non paghi perché detenuto («Il fatto, altrettanto pacifico, che il resistente abbia cessato di contribuire economicamente al mantenimento del figlio, non può ritenersi a lui imputabile, atteso il suo stato di detenzione»: Trib. min. Trieste, 23.8.2013).
Di “sospensione” della responsabilità genitoriale si parla invece, quale facoltà del giudice civile, nelle more del procedimento per l’accertamento dello stato di abbandono e la dichiarazione dello stato di adottabilità (art. 10 co. 3 legge 184/1983). In effetti, le dichiarazioni dello stato di adottabi- lità di figli di madri detenute sono rare65. E ciò malgrado la giurisprudenza dalla metà degli anni ’90 concordi sul fatto che lo stato di detenzione del genitore non integra gli estremi della forza maggiore idonea ad escludere lo stato di abbandono ai sensi dell’art. 8 legge 184/1983 essendo tale stato conseguenza di una condotta criminosa volutamente posta in essere dal ge- 65 Cfr. Cass. civ., Sez. I, 19.1.2018, n. 1431 e Cass. civ., Sez. I, 2.10.2015, n. 19735. Accolgono invece il ricorso per Cassazione della madre detenuta Cass. civ., Sez. I, 14.5.2005, n. 10126 e Cass. civ., Sez. I, 27.9.2009, n. 22215. L’impressione desumibile dal- la giurisprudenza edita è confermata da interviste a testimoni privilegiati. Il giudice onora- rio Cristina Calle, nel corso di un’intervista condotta il 19 aprile 2016 dagli studenti Claudia Caci, Luigi Rendina, Veronica Zappone, Beatrice Gozzarino nell’ambito della Clinica le- gale “Famiglie, minori e diritto” del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, riferisce infatti che nella sua lunga esperienza presso il Tribunale per i minorenni e poi la Corte d’Appello di Milano ricorda un solo caso, eclatante, in cui si è proceduto alla
nitore nella consapevolezza della possibile condanna e carcerazione (Cass. civ., Sez. I, 27.5.1995, n. 5911; Cass. civ., Sez. I, 22.7.1997, n. 6853; Cass. civ., Sez. I, 11.3.1998, n. 2672; Cass. civ., Sez. I, 10.6.1998, n. 5755 e, più recentemente, Cass. civ., Sez. I, 2.10.2015, n. 19735 e – ma qui il focus è essenzialmente sulla lunghissima durata della detenzione della madre – Cass. civ., Sez. I, 19.1.2018, n. 143166). Attenta giurisprudenza di merito ha precisato che un’interpretazione soggettiva della nozione di forza maggiore è «palesemente erronea» e conduce alla «aberrante conclusione che even- ti come la detenzione, l’emigrazione […] venivano considerati come forza maggiore perché non voluti dai genitori», quando invece scopo della legge non è quello di sanzionare i genitori (funzione che appunto richiederebbe la prova dell’imputabilità) ma proteggere il minore che si trovi in una oggetti- va condizione di pregiudizio o anche solo di pericolo a causa della condotta del genitore (così Trib. min. L’Aquila, 10.11.1997).
Nella maggioranza dei casi comunque la presenza di uno o più parenti entro il quarto grado disponibili a prendersi cura del minore e giudicati suf- ficientemente idonei alla crescita del bambino evita la dichiarazione dello stato di adottabilità. Ai sensi dell’art. 8 legge 184/1983, infatti, lo stato di abbandono sussiste quando il minore è privo di assistenza morale e materia- le non solo da parte dei genitori ma anche dei parenti “tenuti a provvedervi”, locuzione oggi interpretata dalla giurisprudenza costante come riferita ai pa- renti tenuti agli alimenti (Moro, 2014, p. 273). In quest’ottica, la Cassazione ha accolto il ricorso contro la dichiarazione dello stato di adottabilità nel caso di minore figlio di madre single tossicodipendente con previsione di scarcerazione a dieci anni affidato dalla nascita alla nonna settantacinquen- ne, già affidataria di una sorellina più grande (Cass. civ., Sez. I, 14.5. 2005, n. 10126).
Oltre a ciò, anche in mancanza di una famiglia allargata, la rottura dei rapporti giuridici viene spesso evitata e viene invece utilizzato lo strumen- to dell’affido familiare qualora risultino comunque rapporti affettivi signi- ficativi tra genitori e figli o almeno un “serio” interesse del genitore per la prole. Così, per esempio, il Tribunale per i minorenni di Milano valorizza il dato che gli incontri protetti avevano dimostrato «il costante desiderio dei minori di incontrare i genitori e uno stile di relazione affettuoso dei genitori nei loro confronti», e ciò malgrado il fatto che i genitori e la nonna paterna fossero in carcere a seguito di una condanna per concorso in riduzione in 66 In ossequio alle declamazioni della giurisprudenza più risalente (es. Cass. civ., Sez. I, 27.3.1979, n. 1772), parte della dottrina continua invece a portare la detenzione come esem- pio di forza maggiore di carattere transitorio idonea ad escludere lo stato di adottabilità in quanto causa di abbandono indipendente dalla volontà dei genitori: cfr. Moro, 2014, p. 274. Attento all’evoluzione della giurisprudenza è Sesta, 2016, p. 422.
schiavitù e lesioni personali aggravate nei confronti di due fratelli più grandi (Trib. min. Milano, 18.8.2014)67. Uguale soluzione è stata adottata nel caso di una donna cilena madre di cinque figli con fine pena a lungo termine e assenza di rete parentale disponibile a prendersi cura dei minori: il giudice si limita infatti a constatare che la detenzione rende la madre concretamente impossibilitata a svolgere i suoi compiti di cura vigilanza e istruzione «né tali funzioni possono essere esercitate validamente da altre figure parenta- li» (Trib. min. Milano, 1.12.2009). Dal canto suo, la Corte di cassazione si è per esempio pronunciata sul ricorso contro lo stato di adottabilità di una figlia di genitori detenuti e tossicodipendenti, affermando che nel caso di detenzione «la serietà ed affidabilità della […] disponibilità ad ovviare allo stato di abbandono del figlio non possono che essere valutate alla stregua delle possibilità concretamente offerte dalla situazione» e valorizzando in concreto la constatazione da parte del Tribunale di sorveglianza e le rela- zioni del Ministero della Giustizia secondo cui la donna aveva «mostrato in carcere […] progettualità futura con desiderio di recupero degli affetti familiari (specialmente la figlia minore…)» e aveva partecipato durante la detenzione ad incontri sulla maternità a cadenza settimanale (Cass. civ., Sez. I, 27.9.2013, n. 22215).
Le (poche) dichiarazioni dello stato di adottabilità di figli di genitori de- tenuti paiono invece dovute ad elementi di disagio psicosociale dell’inte- ro nucleo familiare che trascendono la detenzione: la completa incapacità educativa ed inidoneità affettiva dei genitori (di solito accertata tramite una consulenza tecnica d’ufficio psicologica o psichiatrica); il loro persistente disinteresse verso la prole; la gravissima inidoneità della rete parentale alla cura sussidiaria del minore. Così per esempio la Cassazione (Cass. civ., Sez. I, 19.1.2018, n. 1431) ha recentemente avallato la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore allontanato alla nascita dalla madre condannata (con il compagno e padre del bambino) per lesioni personali gravissime pro- curate a ex-partner nel quadro di un disegno criminoso incentrato proprio sulla procreazione: secondo i giudici di merito lo stato di abbandono deriva- va infatti dall’inidoneità genitoriale, desumibile dalle particolari caratteristi- che e motivazioni dei reati commessi (così come accertate tramite la perizia psichiatrica in sede penale) e dalla valutazione negativa delle competenze genitoriali della madre (anche alla luce dell’osservazione fatta dal consu- 67 Si legge nella pronuncia che «i genitori non hanno mai avuto un’abitazione fissa, non hanno mai svolto attività lavorativa ed hanno sempre vissuto con i proventi dei furti com- messi dalla signora e dai figli, sono una coppia coesa che non mostra consapevolezza delle ricadute educative del proprio stile di vita sulla crescita dei figli […]», i minori «si espri- mono in un idioma serbo, nessuno di loro ha mai frequentato la scuola ed è stato sottoposto
lente durante le visite protette tra madre e figlio), e dall’inadeguatezza della rete parentale (era infatti stata disposta CTU anche sulla capacità educativa dei nonni, anche qui mediante osservazione degli incontri in luogo neutro: cfr. Trib. min. Milano, 5.10.2016, confermata da C. App. Milano, 6.3.2017). A medesima conclusione si è giunti nel caso di quattro fratellini dei quali i genitori si erano del tutto disinteressati durante la detenzione, affidandoli alla nonna paterna la quale si era tuttavia dimostrata maltrattante e del tutto inadeguata (Cass. civ., Sez. I, 2.10.2015, n. 19735), nonché in casi di mi- nori figli di madre gravemente inadeguata, padre condannato a una lunga reclusione e nonni disinteressati o risultati in concreto incapaci di prendersi cura dei nipotini (Cass. civ., Sez. I, 10.6.1998, n. 5755; Cass. civ., Sez. I, 11.3.1998, n. 2672). In tempi meno recenti era stata confermata la dichia- razione dello stato di adottabilità di un minore il cui padre era detenuto per favoreggiamento della prostituzione della madre (poi defunta) ed era stato giudicato «strutturalmente e non in via transitoria inadeguato a provvedere alle esigenze di crescita ed educative del minore»; i cui nonni erano sta- ti ritenuti “inadeguati” per le gravi malattie cardiache da cui erano affetti, mentre la zia paterna risultava invalida al 70%, presentava “anomalie carat- teriali” (tendenza alla captazione e all’invasività) e viveva in un’abitazione eccessivamente affollata (Cass. civ., Sez. I, 22.7.1997, n. 6853).