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Un tentativo di bilancio.

Nel documento Donne ristrette (pagine 147-159)

Essere madre dietro le sbarre

6. Un tentativo di bilancio.

La domanda di ricerca da cui si sono prese le mosse era se, alla luce dell’assunto che condanna penale e detenzione non pregiudicano di per sé la capacità di una donna di crescere la prole, esistano effettivamente nell’ordi- namento vigente le condizioni per un’adeguata tutela della relazione mater- no-filiale nei casi di madre ristretta in carcere.

La risposta emersa dalla ricognizione svolta nei paragrafi che precedono è complessa. Occorre infatti valutare ogni situazione in concreto considerando numerose variabili: l’esistenza di una rete familiare idonea, l’età della prole, la tipologia di istituto penitenziario o sezione (es. sezione nido, ICAM) e le caratteristiche del singolo istituto che accoglie la madre (alcuni sono meglio attrezzati di altri, pensiamo per esempio alla possibilità di svolgere colloqui on line tramite programmi VoIP: v. supra, § 4.2), la durata della detenzione.

In linea generale può affermarsi che il diritto positivo penale e peniten- ziario si è progressivamente avvicinato ai principi del diritto civile minorile. Nessuna condizione soggettiva della madre (e più in generale del genitore), e dunque neppure la detenzione, può di per sé ritenersi causa di inidoneità genitoriale, dovendosi invece accertare in concreto se la condizione stessa abbia una ricaduta negativa significativa sulla relazione con la prole mino- 70 Ma il fatto viene invece considerato per argomentare la decisione di prevedere, pur contro la volontà materna, contatti epistolari e colloqui in carcere tra il figlio di cinque anni

renne. Nel caso in cui non vi siano specifici indici di prova in questo senso, lo Stato deve attivarsi per limitare quanto più possibile le ingerenze nella vita familiare tra genitore ristretto e prole.

Tuttavia, l’analisi condotta sembra dimostrare che, sebbene non accom- pagnata nella grande maggioranza dei casi dall’ablazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale né in sede penale né in sede civile, la condizione detentiva costituisce spesso in concreto un limite rilevantissimo a un adeguato esercizio della funzione materna. L’analisi del contesto amministrativo e giu- diziario dimostra infatti che, al di là delle declamazioni di principio, le (poche) madri effettivamente ristrette incontrano rilevanti difficoltà nel mantenere e sviluppare in modo adeguato il loro rapporto con la prole minorenne71.

E questo per una pluralità di ragioni.

Se infatti l’assunto dell’irrilevanza della detenzione sulla relazione con la prole è certamente condivisibile da un punto di vista teorico, esso si scontra con il fatto che essa pone in concreto un’ipoteca sulla relazione di filiazione (e tale ipoteca risulta assai rafforzata dai recenti interventi di cui all’art. 15-bis d.l. 113/2018). Da un punto di vista formale perché può accompagnarsi alla sanzione accessoria della decadenza o sospensione dall’esercizio della respon- sabilità genitoriale in sede penale (v. supra, § 5.1). Da un punto di vista sostan- ziale poi in ragione del fatto che la detenzione consegue all’accertamento di una condotta illecita (o comunque gravemente sospettata di illiceità, nel caso di custodia cautelare) ponendosi così in contrasto con il dovere di educare i fi- gli alla legalità, intesa come obiettivo funzionale a un adeguato inserimento di bambini e ragazzi nel contesto sociale (sulla relazione tra condanna alla pena detentiva e giudizio di incompetenza genitoriale cfr. diffusamente supra, § 2). Inoltre, come ampiamente sottolineato dagli operatori (cfr. Forcolin, 2016, p. 13; Iori, 2014, p. 77), l’ambiente carcerario è per le sue caratteristiche fisiche e organizzative in larga misura inidoneo al contatto con i minorenni, anche perché, proprio in ragione delle sue caratteristiche, non solo rende fragile lo stato genitoriale (Bouregba, 2005, p. 61; Forcolin, 2016, p. 14) ma addirittura rischia di determinare o comunque contribuisce a causare l’inidoneità educa- tiva della madre. E per giunta poi proprio le caratteristiche dell’ambito peni- tenziario, per esempio la mancanza di personale appositamente formato alla protezione dei minori, rischiano di ostacolare o comunque ritardare l’inter- vento degli organi istituzionalmente impegnati nella protezione dell’infanzia e dell’adolescenza in condizioni di disagio (il tema è stato affrontato supra, § 3). Per le mamme di figli collocati all’esterno, invece, la carcerazione rischia di determinare, anche nei tanti casi in cui il rapporto giuridico di filiazione venga mantenuto, una frattura del rapporto con la prole minore e un forte rischio di 71 Anche qui da un punto di vista generale, la tutela della maternità appare anche nella prassi più intensa di quella paterna.

“cancellazione” della genitorialità (o addirittura “distruzione dei legami fa- miliari” secondo Iori, 2014, p. 77) mediante la sospensione che poi diventa interruzione o comunque “evaporazione” del rapporto di fatto: qui la difficoltà è cioè esercitare la funzione materna in situazioni in cui non vi è “continuità fisica” con la prole (Calle, 2005, p. 117. Cfr. inoltre supra, § 4).

Ci sono poi certamente difficoltà organizzative ma anche “culturali” nell’instaurazione e nello sviluppo di una proficua collaborazione tra ammi- nistrazioni penitenziarie e servizi sociali territoriali, pur essendo tale colla- borazione già prevista dall’art. 45 o.p. («il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un’azione di assistenza alle loro famiglie […] rivol- ta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari […]. È utilizzata, all’uopo, la collaborazione degli enti pubblici e privati qualificati nell’assistenza sociale»). Come già illustrato, l’Amministrazione penitenziaria è infatti tradizionalmente centrata sulla madre detenuta, men- tre il servizio sociale territoriale è impegnato anzitutto nella protezione del figlio minorenne. E analoga difficoltà di rapporto riguarda la magistratura di sorveglianza e l’amministrazione penitenziaria da un lato e le giurisdizioni civili impegnate nella protezione dei minorenni dall’altro.

Infine, la ridotta incidenza statistica della delinquenza femminile e ancor di più delle donne ristrette ha spesso portato a trattare le donne detenute in modo analogo agli uomini, senza considerare le specificità dei bisogni delle detenute madri (v. supra, Quale genere di detenzione?). Se è vero infatti che la madre detenuta ha goduto a livello legislativo di un trattamento pre- ferenziale rispetto all’uomo72, non può essere disconosciuto che scarsi, sia pure proporzionalmente, siano gli investimenti economici e progettuali sulla genitorialità delle mamme, malgrado il fatto che la stragrande maggioranza delle detenute abbia figli minori e ne sia stata il riferimento genitoriale pre- valente (se non esclusivo) prima della detenzione (sull’opportunità di una lettura che tenga conto anche della prospettiva di genere cfr. supra, § 2).

Al contrario, nell’ottica di una più efficace protezione e promozione dei diritti dei minori figli di madri detenute, occorre sviluppare interventi di politica sociale e penitenziaria specificamente dedicati al sostegno della re- lazione tra madri ristrette e figli minori. Sono dunque da segnalare positiva- mente l’allestimento di aree di attesa e di visita idonee e più accoglienti73,

72 Come già illustrato, l’art. 14 co. 6 o.p. consente alle sole “madri” di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni. Neutrale è invece la legge 62/2011 che consente ai “genitori”, e quindi indipendentemente dal genere, di tenere con sé i figli di età anche maggiore dei tre anni negli istituti o nelle sezioni penitenziarie a custodia attenuata (“privilegiando” comun- que la figura materna, come del resto rivela il nome stesso – Istituti a custodia attenuata per madri – di tali strutture).

orari di visita estesi e più flessibili per i bambini negli istituti penitenzia- ri74, organizzazione nei colloqui di un momento di convivialità (pranzo o merenda) al fine di ritornare alla quotidianità persa75, possibilità di colloquio via skype con gli insegnanti dei figli (per una ricognizione di queste iniziati- ve ed esperienze cfr. Galletti, 2015, p. 54 ss.). Negli ultimi anni, inoltre, let- tere e circolari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria hanno promosso un cambiamento culturale e operativo verso la tutela e il rispetto dei diritti dei figli dei detenuti e la cura del mantenimento delle relazioni pa- rentali e iniziative da parte delle singole Amministrazioni penitenziarie che facilitassero la comunicazione tra genitori e figli dei detenuti76, così come

che prevede espressamente l’impegno a realizzare “spazi bimbi” nelle aree di attesa e di colloquio.

74 I dati raccolti dall’Associazione Bambinisenzasbarre indicano che le visite pomeridiane sono oggi possibili nel 70% degli istituti e domenicali una o due volte al mese nel 76% . Si trattava del resto di un preciso impegno: ex art. 2 n. 6 Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti infatti «il Ministero della Giustizia […] si impegna a mettere in campo tutte le azioni necessarie affinché […] i colloqui siano organizzati su sei giorni alla settimana, prevedendo almeno due pomeriggi, in modo da non ostacolare la frequenza scolastica dei minorenni. I colloqui siano previsti anche nei giorni festivi».

75 Tale obiettivo è segnalato nel punto 24(4) delle Regole penitenziarie europee e dall’art. 5 n. 3, 5, 6 Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti.

76 La circ. 3.11.2000, n. 3533/5983, “Colloqui e corrispondenza telefonica dei detenuti e

degli internati articoli 37 e 39 D.P.R. 230/2000”, interpretando l’art. 39 del regolamento di

esecuzione, indica la facoltà dei Direttori di autorizzare anche un numero più elevato di col- loqui telefonici in alcuni casi, tra cui quello in cui vi sono figli minori di 10 anni; la circ. n. 3593/6043 del 9.10.2003, “Le aree educative degli Istituti”, invita le Direzioni degli Istituti Penitenziari a indicare nel “Progetto pedagogico dell’Istituto” le attività trattamentali da sviluppare per il mantenimento dei rapporti del detenuto con la famiglia, che assume «un imprescindibile valore ai fini della rieducazione e reintegrazione sociale» per cui «si curerà in particolare la definizione di una progettualità che miri al recupero da parte del detenuto (o di gruppi di detenuti) del ruolo genitoriale, quale elemento fondante del progetto di cam- biamento […]»; la circ. n. 0308268 del 17.9.2008, “Regolamento interno per gli istituti e le

sezioni femminili”, presta attenzione a differenza di genere e dimensione affettiva (artt. 19 e

20); la circ. 10.12.2009-PEA 16/2007 “Trattamento penitenziario e genitorialità - percorso

e permanenza in carcere facilitati per il bambino che deve incontrare il genitore detenuto”,

indica specifiche modalità d’intervento per l’accoglienza e le azioni da incrementare, tanto da guadagnarsi il soprannome di “circolare del sorriso” per l’attenzione al mantenimento della relazione e all’accoglienza dei figli dei detenuti; la circ. 26.4.2010, “Nuovi interventi

per ridurre il disagio derivante dalla condizione di privazione della libertà e per prevenire i fenomeni auto aggressivi”, ha previsto, tra le misure indicate per «superare le contingenti

difficoltà», un punto specifico 73 sui contatti con la famiglia, con possibilità per i detenuti di “media sicurezza” di effettuare telefonate anche a cellulari.

l’adozione di programmi di genitorialità, come gruppi di discussione e la- boratori artigianali negli istituti dove i genitori possano creare oggetti per il bambino (per una ricognizione di quelli esistenti cfr. Galletti, 2015, p. 52 ss.). Oltre a ciò, occorre sostenere, anche finanziariamente, le tante inizia- tive del privato sociale in questo ambito77 (sul ruolo del privato sociale a sostegno delle madri soggette alla detenzione extramuraria v. infra, Le case famiglia protette e il “caso milanese”): pensiamo per esempio ai servizi di accompagnamento al nido e alla scuola dell’infanzia e alle attività ricreative esterne organizzate a Venezia dall’Associazione “La Gabbianella e altri ani- mali” (nel passato in parte finanziati dal Comune di Venezia78), agli “spazi gialli” allestiti dall’Associazione Bambini Senza Sbarre in diversi istituti penitenziari79, ai sotto-progetti “nido” e “ ludoteca” del più ampio progetto “Bambini e carcere” ideato e curato da Telefono Azzurro in collaborazio- ne con il Ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria80. Indispensabile sarebbe inoltre la presenza costante (e non lasciata alla durata di singoli progetti) nelle sezioni nido e negli ICAM di personale formato e specializzato nella cura e protezione dei minori e dun- que di puericultori, educatori, psicologi dell’età evolutiva (in relazione al contesto della casa famiglia protetta v. infra, Le case famiglia protette).

Altrettanto essenziale è inoltre l’instaurazione di buone prassi di coopera- zione tra le diverse autorità coinvolte e di promozione del coordinamento tra interventi civile, penale e penitenziario. Appare infatti opportuna l’istituzio- ne, per esempio su sollecitazione dei Garanti regionali per l’infanzia e l’ado- lescenza, di tavoli di lavoro e confronto tra Amministrazione penitenziaria, magistratura di sorveglianza, procure minorili e ordinarie, tribunali per i mi- norenni e ordinari e servizi socio-assistenziali territoriali e l’adozione di proto- colli d’intesa81. Dal canto loro, i tribunali ordinari e i tribunali per i minorenni dovrebbero sistematicamente inserire nei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale del detenuto (affidi alla famiglia allargata o a terzi e, ove opportu- no, persino nei provvedimenti di decadenza) l’indicazione (che pure come si 77 Per una panoramica cfr. Pregliasco e altri, 2016, p. 89 ss.

78 Sulle complesse e alterne vicende di relazione con gli enti pubblici Forcolin, 2016, p. 15 ss.

79 Per maggiori informazioni cfr. www.bambinisenzasbarre.org. 80 Per maggiori informazioni cfr. www.azzurro.it.

81 Cfr. per esempio il Protocollo d’intesa sulle procedure per l’attivazione di forme di ac- coglienza dei bambini in carcere con la madre firmato il 29 aprile 2015 dal Pubblico Tutore dei minori della Regione Veneto, dal Ministero della Giustizia, dalla Questura di Venezia, dal Comune di Venezia e da alcuni comuni limitrofi, nonché dall’Associazione “La gabbia- nella e altri animali”. Il protocollo è stato redatto nell’ambito di un tavolo interistituzionale

è visto non sarebbe necessaria) della necessità di mantenimento dei contatti con la prole minorenne tramite colloqui in carcere, telefonate e anche video- chiamate (prevede la possibilità di videochiamate tra il figlio di cinque anni e il padre detenuto, anche come strumento propedeutico alle visite in carcere, Trib. min. Trieste, 23.8.2013; in tema in letteratura cfr. C. Minnella, 2016), con incarico ai servizi sociali di vigilanza e di sostegno al nucleo familiare82. I provvedimenti dovrebbero inoltre prevedere l’obbligo per il caregiver del minore di tenere costantemente informato il genitore detenuto della vita del figlio, sia con riferimento alla quotidianità sia, tempestivamente, per eventi straordinari83. Occorrerebbe, infine, promuovere il coordinamento tra inter- venti civili e penitenziari. Se, come già sottolineato, è pacifico che la detenzio- ne pone un’ipoteca sulla relazione tra madre e figlio, deve essere salutata con favore la formalizzazione dell’obbligo di segnalazione al pubblico ministero minorile della detenzione di una madre di prole di età minore e della presenza di minori in istituti di pena, così come l’obbligo per l’Amministrazione pe- nitenziaria di segnalare alla procura minori le situazioni di pregiudizio di tali minori. A patto ovviamente che ciò non significhi sovvertire i principi generali (v. supra, § 1) e ritenere di per sé la detenzione indizio di inidoneità genito- riale. In quest’ottica pare interessante segnalare quale buona prassi un decreto del Trib. Reggio Calabria che dispone l’affidamento insieme alla madre e ai servizi di due minori cresciuti in un contesto di criminalità organizzata con indicazione, essendovi il consenso della donna, di individuare una comunità familiare lontana dal luogo di origine e in prossimità di una casa circondariale che possa eventualmente accogliere la madre stessa nel caso di suo ingresso in carcere (la donna era stata condannata in primo grado per associazione a de- linquere ed estorsione), nonché di trasmissione del provvedimento stesso, «in uno con il verbale delle dichiarazioni rese dalla Sig.ra […] al Procuratore della Repubblica del Tribunale di Reggio Calabria per ogni valutazione consequen- ziale (anche in ordine alla produzione nel processo penale pendente contro… [la madre])» (Trib. min. Reggio Calabria, 26.4.2016).

82 Un provvedimento triestino dispone per il figlio minore (addirittura) l’«affidamento al servizio sociale per attività di sostegno nel guidarne la ripresa dei contatti col padre […] e per controllo dell’adempimento materno al di lei dovere facilitativo, con onere del detto Servizio di segnalazione alla Procura minorenni competente di ogni condotta genitoriale lesiva dei diritti del minore»: Trib. min. Trieste, 23.8.2013.

83 Poiché «il padre, non foss’altro per gioire di tale positiva condizione, aveva ed ha diritto di esser tenuto regolarmente al corrente della vita di suo figlio da parte della madre», si pre- scrive alla madre «di rendere dettagliate informazioni al sig. P, con cadenza almeno mensi- le, di tutte le notizie riguardanti il loro figlio F e in tempo reale quelle attinenti ad eventuali stati patologici di rilievo […] di fornire immediatamente recapito telefonico al quale il sig. P possa riferirsi per necessità attinenti al figlio F» (Trib. min. Trieste, 23.8.2013).

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