Il diritto all’affettività tra norme e prassi penitenziarie
3. La disciplina dei permessi.
3.2. Le visite al minore infermo o al figlio, al coniuge o convivente grave mente disabile.
Come già accennato, la legge 62/2011, recante norme «a tutela del rap- porto tra detenute madri e figli minori», ha introdotto, attraverso la formula- zione di un nuovo articolo 21-ter o.p., la possibilità per la madre condannata, imputata o internata (nonché per il padre che versi nelle medesime condi- zioni) di fare visita al figlio minorenne, anche se non convivente, «in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute»; locuzione, quest’ultima, giudicata eccessivamente generica, tanto più dovendola appli- care alla «vasta gamma di situazioni in cui possono venire a trovarsi i bam- bini, specie se in tenera età» (Cesaris a), 2015, p. 298). A tali ipotesi la legge 16.4.2015 n. 47 ha successivamente affiancato quella del figlio «affetto da handicap in situazione di gravità» ai sensi dell’art. 3 co. 3 legge 5.2.1992 n. 10428; prima della modifica, il tenore letterale della norma aveva indotto la giurisprudenza a ritenere che essa non si potesse applicare nel caso di figlio maggiorenne della detenuta colpito da analoga disabilità, con cui il contat- to poteva «essere assicurato nelle forme consentite dagli artt. 30 e 30-ter» 28 In base all’art. 3 co. 1 legge 104/1992 «è persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un proces- so di svantaggio sociale o di emarginazione»; il co. 3 precisa che «qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera indivi- duale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità». Si è peraltro sottolineato come risulti ormai doveroso sostituire in seno all’ordinamento penitenziario il
o.p. (Cass., Sez. I, 13.3.2015, n. 32456). Oggi, seppure a fronte della poco felice formulazione del dato normativo, pare invece doversi considerare non più operante il limite della minore età, quando a necessitare della presenza del genitore ristretto al proprio capezzale sia un figlio gravemente disabile (Carrillo, 2015, p. 4; Cesaris c), 2015, p. 284 ss.).
Le visite, che non hanno una durata predeterminata dalla legge, devono svolgersi «con le cautele previste dal regolamento» – e dunque, qualora ne- cessario, con l’accompagnamento della scorta – e con modalità che, in caso di ricovero ospedaliero, tengano conto della durata del ricovero stesso «e del decorso della patologia».
Il co. 2 dell’art. 21-ter o.p. rafforza poi ulteriormente la tutela dell’in- teresse della prole a poter contare sulla presenza materna nel corso di visi- te specialistiche «relative a gravi condizioni di salute», disponendo che la madre condannata, imputata o internata sia autorizzata ad assistere in tali occasioni il figlio di età inferiore a dieci anni o affetto da grave disabilità29.
Analogo permesso può essere accordato al padre detenuto, ma solo qua- lora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata ad assistere essa stessa la prole: formula che rievoca quella dettata dall’art. 47-ter co. 1 lett. b) o.p. in tema di detenzione domiciliare ordinaria e pare quindi dover sog- giacere agli stessi criteri interpretativi.
Infine, l’ultimo comma dell’articolo, aggiunto dalla legge 47/2015, esten- de le disposizioni anche alle ipotesi di coniuge o convivente affetti da grave handicap, peraltro avvalorando ulteriormente l’opinione secondo la quale occorre prescindere dal limite di età per quanto attiene alle visite al figlio gravemente disabile: non si vede infatti per quale ragione al maggiorenne disabile in condizioni di salute critiche dovrebbe essere accordata la possi- bilità di beneficiare della presenza di un eventuale partner, ma non del ge- nitore detenuto, anche considerando la più frequente ricorrenza della figura materna o paterna quale riferimento affettivo centrale nella vita di un adulto affetto da grave handicap.
Quelle contemplate nell’art. 21-ter o.p., a ben vedere, sono situazioni del tutto assimilabili ed anzi in parte sovrapposte a quelle che giustificano la concessione dei permessi di necessità, il che avrebbe dovuto probabilmen- te suggerire una diversa collocazione sistematica delle nuove disposizio- ni, accostate invece, discutibilmente, a quelle che disciplinano l’assistenza all’esterno dei figli minori (Cesaris a), 2015, p. 298). Alla luce delle diffor- mità interpretative che caratterizzano l’istituto dei permessi ex art. 30 o.p., 29 Si è giustamente osservato (Cesaris a), 2015, p. 299) come la scelta normativa di con- sentire al solo minore di dieci anni di fruire della presenza del genitore nel corso di una visita medica desti “qualche perplessità”, dal momento che anche un bambino più grande può necessitare della vicinanza della madre o del padre in simili occasioni.
tuttavia, non si può che apprezzare l’esplicita regolamentazione di queste “visite”, che, pur con i limiti sopra evidenziati, rappresentano un importante tassello della tutela del diritto al mantenimento del legame tra madri detenu- te e figli minorenni.
Anche dal punto di vista dell’individuazione delle autorità competenti, la disciplina dettata dall’art. 21-ter co. 1 o.p. si discosta da quella dei permessi, demandando l’emissione del provvedimento autorizzativo in via esclusiva al magistrato di sorveglianza e, solo in caso di assoluta urgenza, al direttore dell’istituto: la scelta di attribuire al giudice di sorveglianza anziché a quello del procedimento di merito una decisione de libertate riguardante la persona imputata ed anche quella sottoposta alle indagini è inedita e non ha mancato di suscitare qualche perplessità (Cesaris a), 2015, p. 299). Nel silenzio della legge, la giurisprudenza ha peraltro ritenuto che il provvedimento di diniego del magistrato di sorveglianza sia reclamabile al tribunale, ai sensi dell’art. 30-bis o.p. (Cass., Sez. I, 20.2.2015, n. 10341).
Per ragioni difficili da comprendere, il legislatore ha scelto infine di re- golare diversamente la concessione delle autorizzazioni di cui al comma 2 dell’art. 21-ter, demandandola al «giudice competente», da individuarsi verosimilmente sulla scorta dell’art. 11 o.p. (Cesaris a), 2015, p. 299).