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Il diritto alla sessualità: “stato dell’arte” e prospettive di riforma.

Nel documento Donne ristrette (pagine 93-97)

Il diritto all’affettività tra norme e prassi penitenziarie

4. Il diritto alla sessualità: “stato dell’arte” e prospettive di riforma.

Nell’ambito dell’ampia dimensione degli affetti, un ruolo centrale gioca, indubbiamente, la delicata e controversa tematica del diritto alla sessualità di chi si trovi ristretto in un istituto penitenziario, rispetto alla quale il legi- slatore italiano non è stato ad oggi capace di approntare un’adeguata disci- plina; di conseguenza, il solo strumento che attualmente possa consentire alla detenuta di intrattenere rapporti intimi con il partner nel corso dell’ese- cuzione della pena consiste nei permessi-premio (v. supra, § 3.3), beneficio tuttavia in concreto fruibile solo da una minoranza di ristrette, restandone esclusa, oltre alla totalità delle imputate31, anche un’elevata percentuale del- le condannate, in conseguenza delle preclusioni dettate dalla legge.

L’obbligo di «astinenza sessuale» di fatto vigente all’interno degli isti- tuti penitenziari italiani costituisce senza dubbio una componente afflittiva supplementare della pena, che porta con sé, secondo quanto da più parti evidenziato, conseguenze deleterie che compromettono non solo la qualità della relazione con il partner della persona detenuta, ma anche la sua salu- te psicofisica, inducendo spesso un ricorso compensatorio, e dunque for- zato ed innaturale, a pratiche di masturbazione ed a rapporti omosessuali32 (Ceraudo, 2002, passim; Di Somma, 1997, p. 866; Goj e altri, 1998, p. 697 ss.) e portando allo sviluppo di atteggiamenti aggressivi in conseguenza del- la frustrazione, mettendo a rischio la sicurezza dell’ambiente carcerario.

La sessualità è del resto un’innegabile e fondamentale componente della sfera affettiva ed emotiva e dunque negarne ogni espressione significa ine- vitabilmente incidere sulla vita familiare e sugli equilibri relazionali della persona ristretta. Non a caso, la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 1340(1997), sugli «effetti sociali e familiari della detenzione», adottata il 22 settembre 1997, all’art. 6, punto iv), impegna gli Stati membri a «miglio- rare le condizioni previste per le visite da parte delle famiglie, in particolare mettendo a disposizione luoghi in cui i detenuti possano incontrare le fami- glie da soli», mentre la Raccomandazione R (2006)2 sulle regole peniten- ziarie europee, adottata dal Comitato dei ministri l’11 gennaio 2006, dispone che «le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali» (regola n. 24.4). In particolare il commento a quest’ultima disposizione sembra esplicitare l’esi- 31 Secondo i dati diffusi dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, seppure non disaccorpati in base al genere, gli imputati rappresentano, alla data del 31 luglio 2017, il 34% del totale delle persone ristrette (www.giustizia.it).

32 Sulla diffusione e le particolari caratteristiche del fenomeno delle relazioni omoses- suali all’interno delle sezioni detentive femminili cfr. ad es. Gadaleta e altri, 2013, p. 68 s.;

genza di lasciare spazio anche alla manifestazione della sessualità nel corso degli incontri, laddove precisa che, «quando è possibile, devono essere auto- rizzate delle visite familiari di lunga durata» che «consentono ai detenuti di avere relazioni intime con i loro partner», mentre «le “visite coniugali” più brevi, autorizzate a tale fine, possono avere un effetto umiliante per entram- bi i partner» (così il Commento alla regola n. 24 della Raccomandazione R (2006)2). Infine, la Raccomandazione del Parlamento europeo del 9 marzo 2004, n. 2003/2188(INI), relativa ai diritti dei detenuti nell’Unione europea, nel caldeggiare «l’elaborazione di una Carta penitenziaria europea comune ai paesi membri del Consiglio d’Europa», invita gli Stati membri ad inclu- dervi «norme precise e obbligatorie» concernenti, tra l’altro, il diritto dei de- tenuti «ad una vita affettiva e sessuale prevedendo misure e luoghi appositi».

In questa prospettiva, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ripetuta- mente sottolineato con favore la diffusa tendenza dei legislatori nazionali a migliorare le condizioni detentive consentendo le visite coniugali, pur senza giungere a ravvisare una violazione degli artt. 8 § 1 e 12 c.e.d.u. da parte degli Stati che persistono nel vietare ai detenuti i rapporti sessuali con il par- tner ed anzi ritenendo che l’esigenza di prevenire crimini e disordini possa legittimamente giustificare tale diniego (C. eur., G.C., 4.12.2007, Dickson; C. eur., Sez. IV, 29.7.2003, Aliev).

Il tema è stato, in tempi piuttosto recenti, anche portato all’attenzione del- la nostra Corte costituzionale, che con la sentenza 301/2012 è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 18 o.p., nella parte in cui, preveden- do l’obbligo del controllo visivo da parte del personale di polizia peniten- ziaria sui colloqui dei detenuti e degli internati, di fatto preclude loro di in- trattenere rapporti intimi, di natura affettiva e sessuale, con il coniuge o con il convivente. Il rimettente evidenziava il contrasto della disposizione cen- surata con numerosi principi costituzionali, primo fra tutti quello contenuto nell’art. 2 Cost., che esige il riconoscimento e la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, che in forza dello status detentivo possono subire limitazioni, ma certo non venire annullati. L’imposizione dell’astinenza sessuale in carcere si concretizzerebbe inoltre nell’imposizione di un trattamento contrario al senso di umanità, in palese violazione dell’art. 27 co. 3 Cost., e compro- metterebbe altresì la funzione rieducativa della pena, in conseguenza del mancato riconoscimento della dimensione affettiva del detenuto e del diritto di quest’ultimo, anche in un’ottica di risocializzazione, a vivere i rapporti familiari in un contesto di intimità piena. La disposizione censurata contra- sterebbe, ancora, con gli artt. 29 e 31 Cost., precludendo la consumazione del matrimonio e la realizzazione della maternità, nonché con l’art. 32 Cost., nuocendo alla salute psicofisica delle persone ristrette.

in ragione dell’omessa motivazione sulla rilevanza della norma censurata nel caso di specie e della mancata descrizione della fattispecie oggetto del giudi- zio principale. La Corte, nondimeno, ha colto l’occasione per soffermarsi sul problema del diritto al mantenimento di relazioni affettive intime, anche di natura sessuale, in un contesto di restrizione della libertà personale, esigenza reale e fortemente avvertita che nel nostro ordinamento incontra risposte par- ziali ed insoddisfacenti. La pronuncia – alla quale è stata, a ragione, attribuita «un’importante valenza monitoria» (Talini, 2015, p. 13) – ha esplicitamente riconosciuto come il problema meriti piena attenzione da parte del legislato- re, escludendo che il diritto all’espressione della sessualità in carcere possa trovare riconoscimento e concreta realizzazione attraverso una declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 18 o.p., nella parte in cui impone il con- trollo visivo del personale di custodia sui colloqui intramurari. L’espunzione della disposizione dal sistema risulterebbe infatti, da un lato, eccedente lo sco- po perseguito, dal momento che essa non mira specificamente ad impedire le manifestazioni di intimità tra il detenuto ed i suoi visitatori, ma persegue finalità generali di tutela dell’ordine e della sicurezza all’interno degli istituti penitenziari e di prevenzione dei reati. D’altro canto, la semplice abolizione del controllo visivo sui colloqui non costituirebbe certo misura sufficiente ai fini dell’attuazione delle cosiddette «visite intime», che per essere concreta- mente fruibili necessiterebbero di una disciplina ad hoc, che stabilisca termini e modalità di esplicazione del diritto di cui si discute, individuandone i relativi destinatari, dettandone la frequenza ed i presupposti, nonché adottando le in- dispensabili misure di carattere organizzativo.

Appare pertanto ormai indifferibile un intervento legislativo sul punto (Ciavola, 2014, p. 94 s.; Della Casa, 1999, p. 127; Siracusano, 2015, p. 337): l’elevato numero dei disegni di legge elaborati in materia nel nostro Paese33 – ad oggi infruttuosamente, anche a causa delle diffuse resistenze culturali – e l’ampio divario esistente tra le scelte concretamente attuate dai diversi Paesi europei34 costituiscono, del resto, eloquente dimostrazione della va- rietà delle soluzioni al riguardo prospettabili: dalla creazione di vere e pro- prie unità abitative interne all’istituto penitenziario, soggette al solo moni- toraggio esterno del personale, nelle quali ricreare un’atmosfera domestica, alla mera predisposizione di «locali appositi», alla concessione di permessi speciali per l’uscita dal carcere; dalla previsione di incontri della durata mi- nima di poche ore alla concessione di tempi più estesi, che consentano anche il pernottamento; dall’autorizzazione del solo coniuge o del convivente a prendere parte agli incontri riservati all’estensione di tale diritto a tutte le persone autorizzate ai colloqui visivi.

Il momento per affrontare la questione sembrava finalmente giunto con l’approvazione della legge 103/2017, che, nell’imporre il riconoscimento del «diritto all’affettività» entro le mura del carcere e la regolamentazio- ne delle modalità concrete del suo esercizio (v. supra, § 1), evocava sen- za dubbio anche la necessità di consentirne, entro certi limiti, l’espressione fisica. Le risultanze dei lavori degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale offrivano interessanti spunti in proposito, in parte trasfusi nelle proposte provenienti da autorevoli esperti del settore penitenziario ed elaborate al di- chiarato scopo di «offrire un prezioso punto di riferimento per il legislatore delegato» (Giostra e altri, 2017, p. VII). Tra le soluzioni ipotizzate figurava- no, in particolare, la previsione di momenti di incontro variamente denomi- nati (“colloqui intimi”, Bortolato e altri, 2017, p. 238, e Ciavola , 2017, p. 244; «visite coniugali», Della Bella a), 2017, p. 248; «visite intime», Renon, 2017, p. 252; o semplicemente «incontri», Fiorio, 2017, p. 251) della durata di alcune ore con il coniuge, il convivente, ed eventualmente con altra per- sona con la quale intercorra «una relazione affettiva di comprovata stabilità» (Della Bella a), 2017, p. 248), oppure, ancora, con tutti i soggetti ammessi ai colloqui ordinari (Renon, 2017, p. 253), autorizzati dal direttore dell’istituto con cadenza mensile o bimestrale, e da riservarsi, a seconda delle opinioni, ai soli condannati che non fruiscano di benefici extramurari, o da estender- si all’intera popolazione detenuta; si è inoltre prospettata l’introduzione di specifici «permessi di affettività», concedibili al di fuori dei presupposti di cui agli artt. 30 e 30-ter o.p. ed ulteriori rispetto a questi ultimi, «al fine di coltivare specificamente interessi affettivi» (Renon, 2017, p. 258).

Numerosi e controversi apparivano comunque gli aspetti di dettaglio, la cui definizione è demandata alla discrezionalità legislativa, per quanto at- tiene, ad esempio, all’individuazione dei destinatari, del novero dei soggetti ammessi agli incontri ed alla durata di questi ultimi; le soluzioni preferibi- li, in ogni caso, paiono quelle orientate ad una maggiore ampiezza dell’e- stensione temporale delle visite e della determinazione della cerchia delle persone autorizzate a parteciparvi, in quanto più aderenti ad un’accezione della sessualità come espressione della dimensione affettiva ed emotiva del detenuto, e dunque maggiormente rispettose del diritto all’intimità nelle re- lazioni personali.

Nonostante queste incoraggianti premesse, nei decreti attuativi della de- lega contenuta nella legge 103/2017 il tema della sessualità in carcere conti- nua a risultare pretermesso. Tra le “Disposizioni in tema di vita penitenzia- ria” contenute nel d.lgs. 123/2018 si rinviene unicamente la già menzionata previsione mirante a favorire, «ove possibile», una «dimensione riservata» dei colloqui visivi (v. supra, § 2.2.): norma che pare peraltro destinata a restare poco più di un manifesto, nell’ambito della clausola di invarianza

finanziaria, e che comunque rappresenta solo un embrionale e del tutto in- soddisfacente principio di attuazione del «diritto all’affettività» della po- polazione detenuta, del quale il legislatore italiano appare così riluttante ad occuparsi.

5. Diventare moglie e madre in carcere: la celebrazione del matrimonio

Nel documento Donne ristrette (pagine 93-97)

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