Essere madre dietro le sbarre
1. I principi: il superiore interesse del minore; il diritto del minore a crescere in famiglia e alla continuità degli affetti; il diritto del figlio e
del genitore al rispetto della vita familiare.
Principio guida della relazione tra genitore e figlio minorenne è, com’è noto, il cosiddetto “superiore interesse del minore”1, nella sua doppia acce- zione di direttiva che deve ispirare il legislatore nella individuazione di nor- me generali e astratte finalizzate alla protezione dei minorenni come gruppo di individui meritevoli di particolare tutela in ragione della loro condizione di immaturità biologica che li rende presuntivamente incapaci di badare ai propri interessi, ma anche di clausola che consente ai giudici di garantire che l’interesse di un determinato bambino o adolescente sia soddisfatto in con- creto, anche in deroga alle norme generali (Lenti, 2010, 2016; Lamarque, 2016). In applicazione di questo principio, nel diritto penitenziario si pre- vede per esempio che la presenza di figli minori favorisca l’accesso per i genitori, anzitutto per la madre e in subordine per il padre, a misure alterna- tive al carcere (v. infra, La marginalizzazione del carcere) e che, qualora tali misure non possano essere adottate, i “piccoli” minori possano essere accolti 1 La locuzione inglese best interests of the child pare in effetti preferibile rispetto alla locuzione italiana di “superiore interesse del minore” per due ordini di ragioni: da un lato evita di declinare l’interesse del minore come una monade, dando invece conto della molte- plicità di aspetti del vivere umano (pensiamo all’interesse del minore figlio di madre dete- nuta a stare con la madre, ma anche a vivere in un contesto sociale diverso dal carcere); in secondo luogo sconfessa l’interpretazione in termini di necessitata prevalenza dell’interesse del minorenne rispetto agli altri interessi coinvolti (interpretazione errata, come dimostra facilmente il fatto che in caso contrario essere genitore di un figlio in età minore dovrebbe di per sé escludere la permanenza in carcere, così come l’espulsione o il diniego del ricon- giungimento familiare).
nell’istituto penitenziario dove si trova il genitore2. La Corte costituzionale ha inoltre recentemente chiarito che la sanzione accessoria della decaden- za o sospensione dalla responsabilità genitoriale prevista per la condanna per taluni reati (qualitativamente individuati per il loro particolare disvalore alla luce della relazione genitore-figlio) non può considerarsi automatica, ma deve essere irrogata dal giudice caso per caso, valutando in concreto alla luce dell’interesse del minore la qualità della relazione tra genitore e figlio (sul punto cfr. infra, § 5.1). La giurisprudenza civile è del resto costante nell’affermare che la detenzione del genitore non sia segno inequivocabi- le di inidoneità a prendersi cura in modo adeguato della prole minorenne, dovendosi verificare in concreto se da essa derivi al minore un pregiudizio tale da rendere necessaria, nel suo interesse, una misura limitativa o ablativa della responsabilità genitoriale (v. infra, § 2).
Corollario del principio dei best interests of the child è il riconoscimento al minore del diritto a crescere nella sua famiglia (artt. 7 e 8 Conv. sui diritti dell’infanzia; art. 1 co. 1 legge 4.5.1983 n. 184) o, qualora quest’ultima non possa (perché non c’è o perché è inidonea) offrirgli un ambiente di crescita adeguato, presso una famiglia temporaneamente o definitivamente sostituti- va o, in subordine, presso una comunità “di tipo familiare”3. Come affermato nella Premessa alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, infatti, «la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività».
2 Cfr. § 36 Raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (cosiddette “European Prison Rules”): «Infants may stay in prison with a parent only when it is in the best interest of the infants concerned. They shall not be treated as prisoners. Where
such infants are allowed to stay in prison with a parent special provision shall be made for a nursery, staffed by qualified persons, where the infants shall be placed when the parent is involved in activities where the infant cannot be present. Special accommodation shall be set aside to protect the welfare of such infants». Analogamente cfr. le cosiddette “Bangkok Rules”,
allegate alla Risoluzione dell’Assemblea generale dell’O.N.U. n. 65/229 del 21.12.2010 (in particolare, nn. 48 – 52). Per l’Italia v. nel passato l’art. 58 r.d. 18.6.1931 n. 787 (che però consentiva la permanenza in carcere dei bimbi con le madri solo fino a due anni) e oggi l’art. 14 co. 6 o.p. (che parla anch’esso di “madri”) e gli artt. 285-bis c.p.p. e 47-quinquies co. 1-bis (unito al co. 7) o.p., introdotti dalla legge 21.4.2011 n. 62 (che consentono ai genitori, e quindi indipendentemente dal genere, sebbene con significative differenze, di tenere con sé i figli di età anche maggiore dei tre anni negli istituti o nelle sezioni penitenziarie a custodia attenuata). 3 Il titolo della legge 184/1983 è appunto “Diritto del minore a una famiglia”: tale diritto si declina nel diritto del minore a non essere allontanato dalla famiglia di origine salvo che ciò sia necessario nel suo stesso interesse (art. 1 co. 1) e nella preferenza nel caso di allon-
Strettamente correlato al diritto del minore alla famiglia è poi il diritto alla continuità degli affetti4. In forza di esso, il minore deve poter conserva- re i legami di fatto significativi maturati in situazioni di consuetudine di vita con un adulto dal quale sia stato poi separato o rischi di essere separato: se infatti è chiaro che la famiglia non garantisce di per sé il carattere affettivo del legame, è altresì vero che essa è la sede principale degli affetti (cfr. in questo senso la già citata Premessa alla Convenzione sui diritti dell’infan- zia). In quest’ottica, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’in- fanzia prevede che «gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo» (art. 9 co. 3). La Corte eu- ropea dei diritti dell’uomo è poi esplicita nell’affermare che la reclusione non determina la cessazione della «vita familiare» tra genitori e figli minori che quindi continuano a beneficiare della protezione di cui all’art. 8 C.e.d.u., con conseguente «obbligazione positiva» dello Stato di attivarsi affinché il legame familiare sia preservato e se possibile rinforzato5.
Sia il diritto del minore alla famiglia, sia il diritto del minore alla conti- nuità degli affetti sono diritti relazionali. I diritti del minore trovano infatti il loro necessario parallelo nel diritto dell’adulto al rispetto della vita fami- liare: pensiamo al “diritto” dei genitori di istruire, mantenere ed educare la prole proclamato dall’art. 30 co. 1 Cost.; al “right” to respect for family life riconosciuto a ogni essere umano (e quindi ad adulti e minori) dall’art. 8 C.e.d.u., dall’art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dall’art. 23 P. int. dir. civ. pol., dall’art. 10 P. int. dir. econ. soc. cult., dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nella premessa alla Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti si afferma l’intento di «tute- lare il diritto dei figli al legame continuativo e affettivo con il proprio genito- re detenuto, che ha il diritto/dovere di esercitare il proprio ruolo genitoriale» (corsivo mio)6. Nel senso che l’effettività della frequentazione tra genitori
4 Cfr. in termini generali l’art. 8 C.e.d.u., così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nella scissione della coppia genitoriale si parla di principio della bigeni- torialità: cfr. art. 337-ter c.c. La recente legge 19.10.2015 n.173 ha poi codificato in termini espliciti il «diritto delle bambine e dei bambini alla continuità degli affetti» maturati nei confronti degli affidatari durante l’affidamento familiare.
5 «Detention, like any other measure depriving a person of his liberty, entails inherent
limitations on his private and family life. (...) However, it is an essential part of a detainee’s right to respect for family life that the authorities enable him or, if need be, assist him in maintaining contact with his close family» (C. eur., Sez. I, 9.10.2008, Moiseyev, § 246).
6 La carta è tecnicamente un Protocollo d’Intesa tra il Ministero della Giustizia, l’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza e l’Associazione “Bambinisenzasbarre Onlus”. È
detenuti e figli minori attenga al «rispetto dei diritti personali e inalienabili di entrambi» si esprime anche recente giurisprudenza7.
Proteggere il diritto del minore tutela dunque il diritto del genitore e difen- dere il diritto dell’adulto salvaguarda indirettamente il figlio. Poiché gli adulti hanno di solito maggiori strumenti per far ascoltare le loro ragioni, è quest’ul- tima situazione quella che si verifica più frequentemente8. E ciò alimenta al- cuni rischi. Anzitutto che il genitore detenuto (ri)scopra strumentalmente la relazione con il figlio minore per ottenere vantaggi per sé. In secondo luogo un certo adultocentrismo alimentato dalla (giusta) convinzione che «i legami affettivi con i propri cari costituiscono per la persona detenuta un insostituibile supporto emozionale e motivazionale per intraprendere un reale processo di reinserimento sociale»9 e che una buona relazione tra i genitori detenuti e i figli sia fondamentale per ridurre la tendenza di questi a delinquere (Galletti, 2015). Nel diritto penitenziario in effetti il focus è sull’adulto. La magistratura di sorveglianza guarda al genitore e alla salvaguardia della collettività, non all’interesse della prole minorenne10. Anche dentro il carcere l’attenzione è sul genitore e non sul figlio, che è invece seguito dal servizio sociale territoriale, la cui competenza però si ferma fuori dal carcere. Da qui la complessità dell’in- treccio tra la posizione penale del genitore detenuto e quella civile focalizzata stata firmata per la prima volta nel 2014 e rinnovata nel 2016 e nel 2018.
7 Trib. min. Trieste, 23.8.2013: «il diritto del sig. P a poter continuare a svolgere un suo ruolo paterno si fond[a], nonostante il suo stato di attuale detenzione, sul suo diritto alla genitorialità, di cui all’art. 30, co. I, Cost.».
8 Un esempio è dato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: nella stragrande maggioranza dei casi sono i genitori a ricorrere alla Corte lamentando in nome proprio e nell’interesse della prole la violazione del diritto al rispetto della vita familiare di cui all’art. 8 C.e.d.u. Con specifico riferimento alla detenzione poi la Corte europea non si è mai pronunciata direttamente sull’impatto sulla prole delle restrizioni ai contatti con il genitore detenuto, ma ha sempre affrontato la questione dal punto di vista del diritto dell’a- dulto detenuto al rispetto della vita familiare: cfr. i casi citati da Scharff-Smith e Gampell, 2011, p. 43 ss.
9 Circ. 10.12.2009-PEA 16/2007, Trattamento penitenziario e genitorialità-percorso e
permanenza in carcere facilitati per il bambino che deve incontrare il genitore detenuto.
10 Conseguenza di ciò è il fatto che se si lamenta la violazione di un diritto della madre alla relazione con la prole (per esempio l’Amministrazione penitenziaria non ha consentito alla madre di tenere con sé il figlio di età inferiore ai tre anni, senza alcuna motivazione giuridicamente rilevante) è competente il magistrato di sorveglianza. La competenza però non c’è nel caso in cui siano in discussione questioni attinenti esclusivamente ai diritti dei bambini (per esempio legati alla fruizione di servizi educativi esistenti all’interno dell’isti-
sulla protezione dei figli minori11, definiti le “vittime dimenticate” del sistema penitenziario (Ayre, Gampell e Scharff Smith, 2011, p. 4). Oggi peraltro l’im- portanza di specifiche misure di protezione e promozione dei diritti dei figli di genitori ristretti12 è da più parti riconosciuta e proclamata: penso, oltre al già citato art. 9 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, al Bill of Rights for Children of Incarcerated Parents predisposto nel 2005 dall’associazione statunitense Children of Incarcerated Parents con il contributo delle famiglie colpite dalla carcerazione e di giovani i cui genitori sono o sono stati incar- cerati e, per l’Italia, alla già citata Carta dei diritti dei figli dei genitori dete- nuti nata dal protocollo d’intesa promosso dall’Associazione Bambini senza sbarre, firmato nel 2014 e rinnovato nel 2016 e nel 2018 dal Ministro della Giustizia, dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e dall’Associa- zione stessa (per una presentazione Tomaselli, 2014).
Più in generale, diversi enti internazionali, governativi e non, sono da anni impegnati per l’attuazione dei diritti dei figli minori di genitori ristretti, in considerazione della particolare vulnerabilità di questo gruppo di bambi- ni e adolescenti. La già citata Associazione Bambini senza sbarre è mem- bro fondatore del European Committee for Children of Imprisoned Parents (EUROCHIPS). Il Comitato sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha organizzato nel 2011 una giornata di discussione sul tema dei diritti dei mi- nori figli di genitori detenuti13. Nelle osservazioni conclusive del Comitato relative al rapporto italiano si evidenzia che il Comitato stesso, «pur ac- cogliendo con favore l’adozione dell’atto n. 62/2011 sulla protezione della 11 Per un esempio di tale complessità cfr. Trib. min. Milano, 5.10.2016, che evidenzia la competenza del giudice penale a disporre il trasferimento dell’imputata dopo il parto presso l’ICAM in considerazione delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (v. art. 285-bis c.p.p.) ma quella del tribunale per i minorenni a valutare la collocazione del minore nel
superiore interesse dello stesso.
12 Ci si intende qui riferire essenzialmente ai genitori detenuti in istituti penitenziari, in- dipendentemente dalla loro posizione giuridica di condannati (all’ergastolo, alle reclusione, all’arresto) o di persone oggetto di custodia cautelare. Si noti tuttavia che nei paragrafi che seguono si farà talvolta riferimento anche a madri beneficiarie di misure alternative al carcere, e dunque ristrette in una casa famiglia protetta (o altro luogo di accoglienza) poiché le proble- matiche incontrate da tali donne nell’esercizio della responsabilità genitoriale sono almeno in parte assimilabili a quelle delle madri costrette all’interno di un istituto penitenziario. 13 Cfr. Committee on the Rights of the Child Report and Recommendations of the day of
general discussion on “Children of incarcerated parents”, 2011. Il Comitato sui diritti dell’in-
fanzia è stato istituito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e ha il compito di monitorare l’implementazione della Convenzione negli Stati membri tramite l’esa- me dei rapporti periodici presentati dagli Stati sull’attuazione della Convenzione nei rispettivi ordinamenti e, con l’entrata in vigore del recente Terzo Protocollo alla Convenzione, altresì attraverso l’esame di ricorsi individuali che possono essere presentati anche dai minori.
relazione tra madri detenute e i propri figli minori, nutre preoccupazioni in merito all’elevato numero di figli che sono separati da uno o da entrambi i genitori a causa dello stato di detenzione di questi ultimi e di neonati che vi- vono nelle carceri insieme alle proprie madri e che rischiano di venire sepa- rati dalle stesse salvo il caso in cui queste soddisfino i requisiti necessari per gli arresti domiciliari» (Committee on the Rights of the Child, 31.10.2011, punto 55). In tempi recentissimi la già menzionata Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti è stata invece citata come prassi virtuosa dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (Raccomandazione (2018)5 relativa ai figli delle persone detenute, 4.4.2018).
2. La valutazione delle competenze genitoriali della madre ristretta: al-